Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 30433 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 30433 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 08/07/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da
COGNOME NOME nato a Gela il 03/02/1979
avverso l’ordinanza emessa il 24 aprile 2025 dal Tribunale di Caltanissetta
Visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME lette le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale NOME COGNOME che ha concluso per il rigetto del ricorso.
RILEVATO IN FATTO
NOME COGNOME ricorre per cassazione avverso l’ordinanza del Tribunale di Caltanissetta che ha rigettato l’appello proposto avverso il provvedimento di rigetto della richiesta di sostituzione della misura della custodia cautelare in carcere, cui lo stesso è sottoposto in relazione al reato di cui all’art. 74 d.P.R. n. 309 del 1990 e a due reati scopo, con la misura dell’obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria o altra misura meno afflittiva, indicata in via estremamente subordinata, anche in quella degli arresti domiciliari.
Con due motivi di ricorso che, in quanto tra loro logicamente connessi, possono essere esposti congiuntamente, deduce vizi cumulativi di violazione dell’art. 274, lett. c), cod. proc. pen. e di motivazione dell’ordinanza impugnata
che, ad avviso del ricorrente, si è limitata a porre l’accento sulla irrilevanza del mero decorso del tempo e sulla condotta passata del ricorrente, senza considerare il tempo trascorso dalla commissione del reato, risalente all’anno 2019, e, soprattutto, l’elemento sopravvenuto rappresentato dalla opportunità di un lavoro a tempo indeterminato in una zona lontana dalla Sicilia, dove lo stesso può ricominciare un nuovo stile di vita lontano dalle organizzazioni criminali. Sotto altro profilo, si deduce la illogicità e contraddittorietà della motivazione in relazione alla evidente disparità di trattamento subita dal ricorrente rispetto ad altri soggetti indagati per il più grave reato di cui all’art. 416bis cod. pen. che, sul solo presupposto del mero decorso del tempo, hanno ottenuto la sostituzione della misura custodiale. Ad avviso del ricorrente, la motivazione dell’ordinanza impugnata è contraddittoria là dove, da un lato, sottolinea che non trova applicazione in materia cautelare il principio di parità di trattamento tra i coindagati e, dall’altro lato, rileva la mancata allegazione da parte del ricorrente, di elementi idonei a dimostrare la sovrapponibilità delle posizioni processuali.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I due motivi di ricorso sono inammissibili in quanto generici e, quanto alla questione relativa alla asserita disparità di trattamento con altri coindagati, aspecifici.
1.1. In primo luogo, il ricorrente omette di confrontarsi criticamente con le argomentazioni dell’ordinanza impugnata che, lungi dal porre a fondamento del rigetto la sola irrilevanza del tempo trascorso dalla commissione del reato, ha adeguatamente valutato, senza incorrere in alcuna illogicità manifesta, l’elemento della offerta lavorativa, reputato subvalente rispetto alla intensità delle esigenze cautelari. Ciò in considerazione delle circostanze, completamente trascurate dai motivi in esame, concernenti: a) il ruolo di assoluto protagonismo svolto dal ricorrente nell’ambito del narcotraffico, curato dalla mafia locale; b) il numero elevato di soggetti con cui il ricorrente si sarebbe associato allo scopo di gestire il narcotraffico, risultando uno stretto collaboratore della figura apicale del sodalizio; c) le dichiarazioni del collaboratore di giustizia COGNOME, che ha riferito che il ricorrente sarebbe proprio il soggetto che si occupava attivamente di diverse piantagioni di marijuana; d) la commissione delle condotte criminose provvisoriamente ascritte al ricorrente proprio mentre costui svolgeva una lecita attività lavorativa come rappresentante; e) la totale assenza di resipiscenza e di rivisitazione critica.
Sulla base della complessiva valutazione di tali circostanze, non specificamente censurate dai motivi in esame, il Tribunale, senza incorrere in alcun
vizio logico, ha, pertanto, ritenuto che il mero dato geografico, unitamente alla possibile attività lavorativa, non siano sufficienti a superare la duplice presunzione operante nella fattispecie in esame, vista la capacità del ricorrente di intessere legami con pericolose organizzazioni criminali.
1.2. Quanto al tema della lamentata disparità di trattamento, le doglianze del ricorrente si limitano a riproporre le medesime generiche censure, già reputate aspecifiche dal Tribunale, senza alcuna argomentazione idonea, da un lato, a superare tale valutazione espressa nell’ordinanza impugnata, e dall’altro lato, ad illustrare compiutamente le ragioni della asserita identità delle posizioni del ricorrente e dei coindagati che avrebbero beneficiato di un’attenuazione della misura cautelare. Identità di posizioni che, in ogni caso, avrebbe potuto costituire fatto nuovo sopravvenuto, del quale tener conto ai fini della rivalutazione del quadro indiziario -circostanza, questa, nemmeno prospettata dal ricorrente – ma non delle esigenze cautelari, che devono essere vagliate con riferimento a ciascun indagato (Sez. 2, n. 42352 del 06/10/2023, COGNOME, Rv. 285141).
All’inammissibilità del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila da versare in favore della Cassa delle ammende, non potendosi ritenere che lo stesso abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte cost. n. 186 del 2000).
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1ter , disp. att. cod. proc. pen.
Così deciso l’ 8 luglio 2025