Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 20850 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 3 Num. 20850 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 06/02/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da COGNOME COGNOME, nato a Palermo il DATA_NASCITA avverso l’ordinanza del 29/09/2023 del Tribunale di Palermo; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME; letta la ‘requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO COGNOME AVV_NOTAIO, ai sensi dell’art. 23, comma 8, del d.l. n. 137 del 2020, che ha concluso chiedendo che il ricorso sia dichiarato inammissibile.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 29 settembre 2023, il Tribunale di Palermo ha rigettato l’appello proposto dall’imputato avverso l’ordinanza, emessa il 7 settembre 2023 dal Gup del medesimo Tribunale, con la quale era stata respinta l’istanza difensiva di sostituzione della misura cautelare in carcere con quella degli arresti domiciliari, disposta, nei confronti dell’imputato, per il reato di cui all’art. 73, comma 1, d.P.R n. 309 del 1990.
Avverso l’ordinanza del Tribunale l’imputato, tramite difensore, ha proposto ricorso per cassazione, chiedendone l’annullamento.
2.1. Con un primo motivo di impugnazione, si deducono la violazione degli artt. 125 e 292, comma 2, cod. proc. pen. ed il connesso difetto di motivazione.
Contrariamente a quanto affermato dalla giurisprudenza di legittimità circa l’annullamento del provvedimento impugnato in caso di motivazione non autonoma rispetto alla richiesta del pubblico ministero, il Tribunale di Palermo si sarebbe limitato a ripetere le argomentazioni del Gup – a sua volta reiterative di quelle avanzate, in sede di appello, da parte della pubblica accusa – omettendo, pertanto, di confrontarsi con l’assenza di un’autonoma valutazione da parte del giudice di merito, in ordine alla sussistenza delle specifiche esigenze cautelari e degli indizi di colpevolezza, posti a giustificazione dell’effettiva disposizione dell misura custodiale in luogo di quella domiciliare, nonché relativamente agli elementi addotti dalla difesa, ritenuti fallacemente non rilevanti ai fin dell’accoglimento dell’istanza di sostituzione.
2.2. In secondo luogo, si censurano la violazione degli artt. 125, 292, comma 2, lettera c), 275, comma 3, 284 e 285, cod. proc. pen., sul rilievo dell’erronea valutazione dei presupposti applicativi dell’invocata restrizione domiciliare, nonché la carenza della motivazione in ordine alla ritenuta inadeguatezza della medesima a far fronte alle esigenze cautelari riconducibili all’imputato.
Secondo la ricostruzione difensiva, il Tribunale del riesame si sarebbe erroneamente confrontato con i principi del minor sacrificio necessario e della gradualità delle misure cautelari, altresì omettendo qualsivoglia motivazione in ordine all’inadeguatezza della misura degli arresti domiciliari. Nello specifico, il giudice cautelare si sarebbe astenuto dal precisare le ragioni in virtù delle quali la nuova abitazione del ricorrente – faticosamente reperita in diversa zona della città, a dimostrazione di un atteggiamento di resipiscenza – non sarebbe stata idonea ad assicurare il decisivo sradicamento dal contesto delittuoso di appartenenza; ciò che, a parere della difesa, contrasterebbe, peraltro, con il convincimento dei precedenti organi giudicanti in ordine alla circostanza che il rischio di reiterazione del reato promanasse proprio dal luogo di residenza del COGNOME, in quanto rappresentante il fulcro dell’approvvigionamento degli avventori. Il Tribunale di Paiermo, inoltre, sulla scorta della intervenuta condanna in primo grado del ricorrente, avrebbe acriticamente fondato il proprio convincimento in ordine al requisito dell’attualità del pericolo di reiterazione su quanto emerso nel giudizio di merito, ancora in corso di definizione, senza tenere conto della sussistenza, o meno, di indici, effettivamente sintomatici, della certezza, o dell’alta probabilità,
che all’imputato potessero presentarsi concrete occasioni di reiterazione criminosa.
La difesa lamenta, infine, l’irragionevolezza delle argomentazioni, addotte dal Tribunale, a sostegno della inidoneità del braccialetto elettronico a far fronte alle esigenze cautelari ritenute sussistenti; asserzioni che, laddove condivise, annullerebbero qualsiasi spazio di fruizione di tale misura, per l’impossibilità di vigilare sull’assenza di contatti esterni del ristretto, per mezzo di apparecchi multimediali o social network.
CONSIDERATO IN DIRITTO
4. Il ricorso è inammissibile.
4.1. Il primo motivo di censura – afferente alla violazione degli artt. 125 e 292, comma 2, cod. proc. pen. ed al relativo difetto di motivazione – è manifestamente infondato.
La difesa, invero, non si confronta con il provvedimento impugnato, allorché esso correttamente chiarisce (pag. 3) che, in sede di appello avverso l’ordinanza di rigetto dell’istanza di sostituzione di una misura cautelare, il giudice non è tenuto a riesaminare la questione della sussistenza delle condizioni di applicabilità della misura, dovendo limitarsi esclusivamente a verificare che il provvedimento sia immune da violazioni di legge o da vizi di motivazione relativi all’eventuale allegazione di fatti nuovi, idonei a modificare il quadro probatorio o ad influire sulla permanenza delle esigenze cautelari. Del resto, in tema di revoca o sostituzione di misure cautelari, a fronte della prospettata sopravvenienza, a sostegno della richiesta, di elementi nuovi, asseritamente modificativi di una situazione già precedentemente valutata dal giudice nel suo complesso, compito di quest’ultimo, ove non riconosca la novità o la decisività dei suddetti elementi, è solo quello di dare atto delle ragioni giustificatrici di tale mancato riconoscimento, e non già quello di rinnovare l’intera motivazione riflettente l’esame di tutto il complesso delle risultanze di fatto già valutate in occasione di precedenti provvedimenti (Sez. 3, n. 41185 del 20/10/2021, Rv. 282376). Inoltre, è principio ormai consolidato, nella giurisprudenza di legittimità, quello secondo cui la cognizione del giudice d’appello non possa superare i confini tracciati non solo dai motivi, ma anche dal decisum del provvedimento impugnato, che è del tutto autonomo rispetto all’ordinanza genetica, non dovendo riesaminare la questione della sussistenza delle condizioni di applicabilità della misura, ma stabilire se il provvedimento sia immune da violazioni di legge ed adeguatamente motivato in relazione all’eventuale allegazione di fatti nuovi, fermo restando il dovere di revocare la
misura al venir meno delle condizioni di sua applicabilità (ex multis, Sez. 6, n. 45826 del 27/10/2021, Rv. 282292).
Ebbene, nel caso di specie, il Tribunale di Palermo ha correttamente omesso di riesaminare la sussistenza delle condizioni di applicabilità della misura cautelare in contestazione, rilevando e apprezzando adeguatamente l’inesistenza di elementi di novità, atti ad incidere sulla permanenza del pericolo di reiterazione, allorché ha ritenuto che nessun profilo di novità potesse rinvenirsi né nel diverso domicilio in cui sarebbero stati scontati gli arresti domiciliari, né nell’osservanza, da parte del ricorrente, di quegli obblighi che, all’opposto, costituendo l’essenza stessa dello strumento cautelare, si impongono come comportamento doveroso e non già come elemento autonomo, rilevante ai fini della potenziale sostituzione, o revoca, della misura cautelare disposta. Né pertinente può ritenersi, infine, il richiamo, operato dalla difesa in sede di ricorso, ad una giurisprudenza che, a ben vedere, trova applicazione con riguardo al provvedimento genetico di disposizione della misura cautelare, e non anche a quello, autonomo, di revoca o sostituzione della medesima.
4.2. Anche il secondo motivo di ricorso – riferito alla violazione degli artt. 125, 292, comma 2, lettera c), 275, comma 3, 284 e 285, cod. proc. pen., nonché al connesso vizio motivazionale – deve ritenersi manifestamente infondato.
La motivazione del Tribunale di Palermo, in ordine all’inadeguatezza della misura degli arresti domiciliari a far fonte al pericolo di reiterazione del reato – i luoao della custodia cautelare in carcere – appare esaustiva e coerente, laddove evidenzia che il pericolo attuale e concreto di reiterazione criminosa, correttamente desunto dalla gravità dei fatti e dalla personalità dell’odierno ricorrente – gravato da precedenti specifici ed infraquinquennali – non potrebbe essere contenuto con una misura cautelare presso un domicilio ubicato nel medesimo ambito territoriale. Alla luce dell’abituale modus operandi dell’imputato, facente riferimento ad un’attività di spaccio su larga scala, nonché al suo stabile inserimento nell’ambito di un più ampio contesto criminale dedito al traffico di sostanze stupefacenti, infatti, il giudice cautelare ha correttamente ritenuto sussistente l’alta probabilità che l’odierno ricorrente potesse mantenere i contatti con l’ambiente criminale di riferimento, anche dalla diversa abitazione da lui indicata; di talché, altrettanto correttamente, ha rigettato l’istanza di sostituzione della misura custodiale carceraria con quella domiciliare.
Né funzionale al contrasto del pericolo di reiterazione del reato potrebbe ritenersi l’applicazione del braccialetto elettronico, il quale, volto ad impedire l’allontanamento del ristretto dal domicilio, non può, tuttavia, garantire il rispett di altre prescrizioni – quali il divieto di comunicazione e di contatti con persone diverse da quelle con lui conviventi, tali da favorire l’effettiva perpetrazione della
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condotta delittuosa in contestazione – ed in relazione al quale, peraltro, il giudizio del Tribunale del riesame, circa l’inadeguatezza degli arresti domiciliari a contenere il predetto pericolo, per la sua natura di valutazione assorbente e pregiudiziale, costituisce pronuncia implicita di impossibile utilizzazione (ex multis, Sez. 2, n. 43402 del 25/09/2019, Rv. 277762; Sez. 2, n. 31572 del 08/06/2017, Rv, 270463).
Per questi motivi, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile. Tenuto conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che “la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in € 3.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di € 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma Iter, disp. att. cod. proc. pen.
Così deciso il 06/02/2024