Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 6595 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 6595 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 11/02/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto dal NOME COGNOME NOME COGNOME nato in Rep. Dominicana il 04/08/1974; nel procedimento a carico del medesimo; avverso la ordinanza del 19/09/2024 del tribunale di Bologna; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME letta la requisitoria del Sost. Procuratore Generale dr. NOME COGNOME che ha chiesto l’inammissibilità del ricorso
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza di cui in epigrafe, il tribunale del riesame di Bologna, adito con atto di appello nell’interesse di NOME COGNOME NOME COGNOME avverso il rigetto della richiesta di sostituzione della misura della custodia in carcere, disposta in ordine a reati in materia di stupefacenti, con quella degli arresti domiciliari, confermava l’impugnata ordinanza.
Avverso la predetta sentenza NOME COGNOME NOME COGNOME mediante il proprio difensore ha proposto, con due motivi, ricorso per cassazione.
Deduce, con il primo, vizi di violazione di legge e di motivazione lamentando la violazione del principio di proporzionalità di cui all’art. 275 comma 2 cod. proc. pen. per la mancata considerazione, da parte del tribunale, della
applicabilità di misure meno afflittive in proporzione alle esigenze cautelari, e per la mancata considerazione della probabile prospettiva di una rideterminazione della pena definitiva a carico del ricorrente in termini più favorevoli, come tale in grado di incidere sul tema in questione.
GLYPH Con il secondo motivo deduce vizi di violazione di legge e di motivazione, in relazione all’art. 275 commi 3 e 3 bis cod. proc. pen. Il tribunale non avrebbe illustrato la ritenuta inidoneità della misura degli arresti domiciliari con applicazione del braccialetto elettronico. Né avrebbe considerato la distanza cronologica tra i fatti oggetto della prima condanna, del 2003, e quelli oggetto dell’attuale procedimento. Per cui sarebbe falso e pretestuoso affermare che il ricorrente non avrebbe mai preso le distanze dall’ambiente criminale frequentato, stante la lunga assenza di episodi criminali dal 2003. E nulla, in ultima analisi, si sarebbe rappresentato quanto ai motivi del permanere delle esigenze cautelari. Si sottolinea anche il tempo trascorso dalla applicazione della misura e la condotta diligente del ricorrente per la durata della misura attualmente applicata oltre a circostanze dimostrative di una tendenza al reinserimento sociale. Generico e apodittico sarebbe il riferimento alla assenza di capacità di autocontrollo. Non si sarebbero considerati i principi giurisprudenziali in tema di applicabilità della misura degli arresti domiciliare con braccialetto elettronico.
CONSIDERATO IN DIRITTO
GLYPH Il primo motivo è inammissibile. Il tribunale ha premesso la illustrazione della ipotesi di incolpazione a carico del ricorrente, afferente all detenzione, in plurime sedi, di circa 93.070,56 grammi di cocaina distribuiti in 175 panetti e di altri 313 panetti del peso di 167.282 grammi, sempre di cocaina, e ha sottolineato l’intervenuta condanna, seguita da annullamento con rinvio disposto in sede di legittimità, limitato alla sola determinazione della pena. Ha quindi congruamente spiegato la permanenza delle esigenze cautelari con lo specifico precedente a carico, che, in uno con la fattispecie attualmente ascritta, sarebbero dimostrativi di costanti contatti con ambienti criminali in materia di stupefacenti, in funzione della trattazione di ingenti quantitativi di cocaina. Ha quindi respinto l’assunto difensivo sulla portata riduttiva delle esigenze cautelari ad opera della sopravvenuta decisione di annullamento con rinvio da parte della Corte di Cassazione, quanto alla pena applicata nel procedimento di merito, sull’incontestato rilievo per cui, anche nell’ipotesi di una rideterminazione del trattamento sanzionatorio in termini più favorevoli, il presofferto cautelare costituirebbe comunque una frazione minima della pena espianda. Con
esclusione di ogni violazione del canone di proporzionalità, anche nel quadro di una motivazione che, coerentemente, ha evidenziato come i mantenuti legami con ambienti criminali dediti al traffico di stupefacenti, per ingenti quantità, no escluderebbero il pericolo di recidiva anche in sede domiciliare, come tale non ostativa a forme di illecita trattazione di stupefacenti mediante custodia o supporto per complici. Né rileva la obiezione per cui tali condotte non sarebbero ricomprese nell’ipotesi accusatoria specifica, posto il principio per cui, in tema di esigenze cautelari, il pericolo di reiterazione va inteso con riferimento alla commissione non solo dei reati che offendono il medesimo bene giuridico, ma anche di quelli che presentano uguaglianza di natura in relazione al bene tutelato e alle modalità esecutive (Sez. 6 – , Sentenza n. 47887 del 25/09/2019 Rv. 277392 – 01). Puntuale e corretto è poi il rilievo sulla insufficienza della intervenuta donazione, in favore di una Comunità terapeutica, ai fini di dimostrare con certezza la scelta di mutare lo stile di vita, come anche l’osservazione per cui la commissione di un nuovo reato, a fronte di un precedente specifico ancorchè risalente, nel quadro complessivo sopra esposto è dimostrativa anche essa della assenza di distanza dall’ambiente criminale. Con cura il tribunale ha anche evidenziato come la confessione formulata dal ricorrente sia intervenuta in un contesto indiziario schiacciante, e come le stesse responsabilità familiari dedotte ai fini in esame non abbiano dissuaso l’uomo dal gestire traffici illeciti. La conclusione finale, per cui il decorso del tempo dal applicazione della misura non costituirebbe elemento da cui desumere la produzione di effetti dissuasivi sul ricorrente, alla luce della elevat professionalità criminale e della comprovata insensibilità rispetto alla precedente esperienza di privazione della libertà personale, oltre ad apparire più che ragionevole, fornisce la risposta, incomprensibilmente esclusa dalla difesa nel ricorso, all’invocazione di un vaglio anche del tempo trascorso durante l’applicazione della misura contestata. Invero, il tempo trascorso dalla applicazione della misura può integrare un elemento idoneo a fini di revoca o sostituzione della stessa solo ove ricorra con altri elementi che come tali consentano al decorso del tempo stesso di essere qualificato come fatto sopravvenuto, incidente sulle esigenze cautelari. Questa Corte, al riguardo, ha più volte precisato che il c.d. “tempo silente” trascorso dalla commissione del reato deve essere oggetto di valutazione, a norma dell’art. 292, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., da parte del giudice che emette l’ordinanza che dispone la misura cautelare, mentre analoga valutazione non è richiesta dall’art. 299 cod. proc. pen. ai fini della revoca o della sostituzione della misura, rispetto alle quali l’unico tempo che assume rilievo è quello trascorso dall’applicazione o dall’esecuzione della misura in poi, essendo qualificabile, ma solo in presenza di ulteriori elementi, come fatto sopravvenuto da cui poter desumere il venir meno Corte di Cassazione – copia non ufficiale
ovvero l’attenuazione delle originarie esigenze cautelari. (Sez. 2 – n. 12807 del 19/02/2020 Rv. 278999 – 01).
Non si vede dunque dove possa rinvenirsi il vizio di motivazione come anche di violazione di legge, così che la censura, piuttosto, si riduce ad una mera quanto inammissibile rivalutazione del merito. La illustrazione del pericolo di recidivanza assorbe ogni questione in punto dell’ulteriore esigenza inerente il pericolo di fuga.
COGNOME Manifestamente infondato, per le medesime ragioni citate in precedenza, è anche il secondo motivo, atteso che attraverso la sopra sintetizzata motivazione il tribunale ha illustrato la inadeguatezza della misura degli arresti domiciliari oltre che l’assenza di ogni vizio di proporzionalità, ne quadro della gravità dei reati commessi, della pena anche solo irroganda, ancorchè eventualmente rideterminata in senso favorevole, e del presofferto, spiegando come il motivato pericolo di reiterazione, anche in sede domiciliare, in termini di condotte illecite di custodia e supporto, non sarebbe ostacolato neppure dal ricorso aggiuntivo al braccialetto elettronico. Come già evidenziato nel precedente paragrafo, i giudici hanno fornito risposta anche in ordine alla rappresentata distanza cronologica tra i fatti oggetto della prima condanna e quelli oggetto dell’attuale procedimento, alla ritenuta (dalla difesa) presa di distanze dall’ambiente criminale frequentato, alla contestazione della assenza di capacità di autocontrollo, e alle descritte condotte tenute in termini di ammissione di addebiti e donazioni, fornendo alfine una risposta che respinge comunque, ancorchè anche implicitamente, ogni altra deduzione difensiva sul punto in esame. A tale ultimo riguardo, si ribadisce che si devono considerare disattese le deduzioni difensive le quali, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata, purché siano spiegate in modo logico ed adeguato le ragioni del convincimento senza vizi giuridici (cfr., Sez. un., n. 24 del 24 novembre 1999, Rv. n. 214794; Sez. un., n. 12 del 31 maggio 2000, Rv. n. 216260; Sez. un., n. 47289 del 24 settembre 2003, Rv. n. 226074). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Sulla base delle considerazioni che precedono, la Corte ritiene pertanto che il ricorso debba essere dichiarato inammissibile, con conseguente onere per il ricorrente, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., di sostenere le spese de procedimento. Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale in data 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza “versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, si dispone che il ricorrente versi la somma,
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determinata in via equitativa, di euro 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle Ammende. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1 ter, disp. att., cod. proc. pen.
Così deciso in Roma, il 11 febbraio 2025.