Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 21174 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 21174 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 06/02/2024
SENTENZA
sui ricorsi proposti da: COGNOME NOME nato a ATRIPALDA il DATA_NASCITA COGNOME NOME nato a AVELLINO il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 27/10/2023 del TRIB. LIBERTA’ di NAPOLI
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; sentite le conclusioni del PG, ASSUNTA COGNOME, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
udito il difensore:
lAVV_NOTAIO si riporta ai motivi di ricorso e ai motivi nuovi e insiste per il loro accoglimento;
RITENUTO IN FATTO
1. Il Tribunale di Napoli, con l’ordinanza in epigrafe resa il 27 ottobre 2023, ha accolto l’appello proposto dal Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Avellino avverso l’ordinanza emessa dal AVV_NOTAIO per le AVV_NOTAIO AVV_NOTAIO del Tribunale di Avellino il 28 luglio 2023 con cui era stata disposta la sostituzione della misura della custodia in carcere con quella degli arresti domiciliari per NOME COGNOME e NOME COGNOME, già avvinti dalla misura custodiale inframuraria nel procedimento a loro carico in ordine al reato di tentato omicidio, poi divenuto omicidio aggravato in danno di NOME COGNOME, colpito con numerosi fendenti di coltello alla schiena e al collo (capo A) e, per quanto di interesse, in ordine al reato di cui all’art. 4 della legge 18 aprile 1975, 110, per il porto ingiustificato luogo pubblico del coltello e di un tirapugni (capo B), in Mercogliano, il 10 gennaio 2023, con decesso della vittima in data 11 gennaio 2023.
Il AVV_NOTAIO per le AVV_NOTAIO AVV_NOTAIO, valutata l’istanza di sostituzione dell misura custodiate carceraria presentata dai due indagati, che avevano prestato il consenso all’applicazione degli arresti domiciliari rafforzati dal dispositivo d controllo elettronico, aveva considerato una serie di elementi: il corso della custodia inframuraria (in essere dal gennaio 2023), con il connaturato effetto deterrente, in rapporto alla giovane età degli indagati, l’incensuratezza di COGNOME e i due soli precedenti di COGNOME, nonché le loro dichiarazioni in sede di interrogatorio di garanzia, che avevano sortito una versione dei fatti almeno parzialmente credibile, circa l’aggressione patita da loro e dal terzo indagato (NOME COGNOME) da parte del gruppo in cui era compreso COGNOME, salvo poi ad aver alzato il livello dello scontro con l’impiego del coltello, del tipo molletta, c aveva ferito quest’ultimo, con parziale riscontro fornito al riguardo dalle immagini del sistema di videosorveglianza del negozio “RAGIONE_SOCIALE” ubicato di fronte al Bar “Verdarina”, teatro del delitto; questi elementi – i particolare quelli relativi alla ricostruzione della dinamica del fatto – erano tali riverberare i loro effetti in punto di adeguatezza e proporzionalità della misura custodiale, in ragione dell’inevitabile rivisitazione critica dell’efferato re commesso indotta dalla carcerazione sofferta, indipendentemente dal mancato deposito della relazione medico-legale; pertanto, le esigenze cautelari andavano tutelate con la misura degli arresti domiciliari rafforzati dal controllo elettronico.
Il Tribunale – sull’appello proposto dal Pubblico ministero che aveva censurato la valutazione del AVV_NOTAIO AVV_NOTAIO le AVV_NOTAIO AVV_NOTAIO con riferimento all’esposto affievolimento delle esigenze cautelari, in assenza di elementi sopravvenuti, nonché all’assunta parziale conferma della versione resa dagli imputati desumibile dalle immagini esaminate, appello resistito dalla difesa degli
imputati che ne aveva prospettato l’inammissibilità – ha osservato che non era riscontrabile l’inammissibilità dell’appello della parte pubblica e, quanto alla valutazione dell’impugnazione, ha affermato di condividerne la sostanza non ravvisando elementi nuovi idonei a far ritenere attenuate le esigenze cautelari poste a fondamento dell’originaria misura: il tempo trascorso (pari a dieci mesi) e l’esame delle immagini citate dal primo giudice non sono stati reputati dati nuovi nel senso valorizzato nel provvedimento impugnato, per cui è stato disposto il ripristino della custodia carceraria, con efficacia sospesa sino alla definitività del provvedimento.
Avverso l’ordinanza ha proposto impugnazione con atto unitario il difensore di NOME COGNOME e NOME COGNOME chiedendone l’annullamento sulla scorta di tre motivi.
2.1. Con il primo motivo si prospetta l’inosservanza degli artt. 310, 581 e 591 cod. proc. pen. per il mancato accoglimento dell’eccezione di inammissibilità dell’appello del Pubblico ministero.
Nell’impugnazione della parte pubblica – rimarca la difesa – mancavano motivi dotati di specificità, con i corrispondenti rilievi critici avverso l’ordina genetica, non essendo stato censurato il punto che aveva determinato l’attenuazione della misura cautelare, ossia l’avere il giudice ritenuto maggiormente idonei gli arresti domiciliari con braccialetto elettronico.
La centralità di questo argomento, invece, era determinante, avendo la giurisprudenza chiarito che, con l’inserimento del comma 3-bis nell’art. 275 cod. proc. pen., l’ordinamento è giunto a considerare in astratto gli arresti domiciliari con braccialetto elettronico egualmente idonei, rispetto alla custodia in carcere, a tutelare le esigenze cautelari, con conseguente restituzione alla motivazione giudiziale di un ruolo essenziale in merito all’argomento.
2.2. Con il secondo motivo si denuncia la mancanza di motivazione alla base dell’ordinanza impugnata, in tema di valutazione dell’idoneità cautelare degli arresti domiciliari con braccialetto elettronico.
I ricorrenti fanno carico al Tribunale di essersi sottratto all’onere di spiegare, in relazione al disposto dell’art. 275, commi 3 e 3-bis, cod. proc. pen., perché la custodia carceraria fosse l’unica idonea a tutelare le esigenze cautelari e, in particolare, quali fossero le specifiche ragioni per le quali avesse ritenuto inidonea la misura degli arresti domiciliari rafforzati dal controllo elettronico, fronte della necessità, puntualizzata dalla giurisprudenza, di spiegare sempre la specifica ragione per la quale tale cautela, dopo l’eguale valenza contenitiva attribuitale dal comma 3-bis, fosse inidonea a soddisfare le esigenze cautelari.
Non bastano, secondo la difesa, i riferimenti che nel provvedimento
impugnato sono stati fatti alla necessità della custodia carceraria e alla presunzione relativa di adeguatezza della stessa, siccome essi si sono esauriti in formule tautologiche: l’asserzione è disconnessa da indici fattuali dimostrativi dell’inadeguatezza della misura domiciliare, in particolare non essendo state indicate le ragioni per le quali non rilevava il comportamento corretto tenuto dagli indagati nel periodo di custodia cautelare domestica in corso; né si è tenuto conto che essi già alle ore 21:40 de 1° gennaio 2023 si erano costituiti, omettendosi di valorizzare la loro condotta collaborativa, e nemmeno si è considerato l’ammissione di COGNOME del possesso e dell’utilizzo dell’arma e la presentazione di scuse per quanto era accaduto.
2.3. Con il terzo motivo si deduce il vizio della motivazione nella parte in cui ha escluso l’emersione degli elementi di novità valutati dal AVV_NOTAIO per le AVV_NOTAIO AVV_NOTAIO per addivenire alla sostituzione della misura.
Sul tema, il ragionamento del Tribunale è, per i ricorrenti, contraddittorio, in quanto, in merito alla valutazione delle immagini estratte dal sistema di videosorveglianza, dapprima ne ha affermato il segno confermativo della dinamica originariamente ritenuta e poi ne ha riconosciuto il dato, valorizzato nel provvedimento del primo giudice, del susseguirsi di due colluttazioni; pertanto, è emersa la coerenza tra il dato dichiarativo proveniente dagli indagati e le indicate immagini, risultando manifestamente illogica l’attribuzione a NOME di una condotta passiva, laddove il AVV_NOTAIO per le AVV_NOTAIO AVV_NOTAIO aveva rimarcato la differente ricostruzione dalle stesse derivante, rispetto a quanto si era sostenuto nell’ordinanza genetica, emessa quando le immagini non erano ancora disponibili.
Questo elemento di contraddittorietà è, ad avviso della difesa, tale da incrinare l’intero ragionamento posto alla base dell’ordinanza impugnata, poiché il Tribunale, muovendo dal diverso angolo visuale dell’insussistenza di una novità effettiva, ha escluso il dato da quelli oggetto di valutazione.
Più in generale, l’omessa valutazione degli atti di indagine successivi all’emissione dell’ordinanza applicativa della misura – fra le quali le sommarie informazioni rese da NOME COGNOME (il quale aveva riferito che, soltanto dopo aver separato i contendenti, aveva visto che NOME era sanguinante), atti che orientavano nel senso che l’accoltellamento era avvenuto nella seconda colluttazione – ha, per i ricorrenti, cagionato un salto logico nel ragionamento decisorio; l’anticipazione della fase cruenta alla prima colluttazione ha fuorviato la complessiva considerazione del fatto da parte del Tribunale, determinando la mancata spiegazione del progressivo comportamento degli indagati e l’omessa messa a fuoco della seconda fase, con la condotta provocatoria della vittima.
La motivazione viene ritenuta carente pure per avere omesso di tener conto
di quegli elementi, ivi inclusa la condotta ultima di entrambi gli indagati nell’attuale collocazione domiciliare, dimostrativi dell’adeguatezza della misura.
La difesa dei ricorrenti ha depositato successiva memoria con motivi nuovi con cui ha segnalato la sussistenza di un ulteriore documento dimostrativo della mancanza e contraddittorietà della motivazione dell’ordinanza impugnata.
È stata, infatti, acclusa alla memoria copia dell’ordinanza con cui il AVV_NOTAIO per le AVV_NOTAIO AVV_NOTAIO del Tribunale di Avellino aveva rigettato un’altra richiesta di applicazione della custodia cautelare in carcere nei confronti degli indagati formulata dal Pubblico ministero, nonché la richiesta di estensione della misura al terzo indagato NOME COGNOME.
Il Procuratore generale ha chiesto il rigetto dei ricorsi osservando che premessa l’ammissibilità dell’appello proposto dal Pubblico ministero, accolto dal Tribunale, e delimitato l’oggetto del procedimento alla verifica delle esigenze cautelari e dell’adeguatezza della misura rispetto alla loro entità – la motivazione fornita dai giudici dell’appello cautelare risulta congrua nella spiegazione dell’attualità e concretezza della persistente pericolosità degli imputati, rispetto a cui è stata correttamente esclusa l’evenienza e la rilevanza degli elementi di novità, attenuativi delle esigenze stesse, che il AVV_NOTAIO per le AVV_NOTAIO AVV_NOTAIO, nel provvedimento di sostituzione, aveva enfatizzati.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Le impugnazioni di COGNOME e COGNOME, veicolate con atti unitari e motivi comuni, nel loro complesso non si rivelano fondate.
In premessa, va segnalata l’irrilevanza delle valutazioni di merito emesse in sede diversa da quelle afferenti ai provvedimenti oggetto di questo procedimento: così, il provvedimento citato nella memoria con motivi nuovi, addotto come riprova della rilevanza delle immagini restituite dal sistema di videosorveglianza, da valutarsi in modo diverso da quello compiuto dal Tribunale, viene addotto per svolgere una critica inammissibile, siccome basata su dati comunque estranei alla dialettica procedimentale qui delibata.
Le impugnazioni, con la prima doglianza, tornano – ma in modo privo di fondamento – sulla verifica di ammissibilità dell’appello del Pubblico ministero.
Era ed è evidente che la valutazione di idoneità degli arresti domiciliari costituiva tema centrale del subprocedimento cautelare.
È, poi, corretto ritenere applicabile anche all’atto di appello proposto dal
pubblico ministero avverso ordinanze di revoca o sostituzione della misura cautelare il principio di diritto secondo cui l’appellante non può sorreggere l’impugnazione con il mero richiamo ad atti precedenti, quale il contenuto della originaria richiesta cautelare, pena l’inammissibilità del mezzo, giacché esso, se così concepito, non soddisfa i requisiti di specificità, che, anche in questo ambito, consistono nella precisa indicazione dei punti censurati e delle questioni di fatto e di diritto da sottoporre al giudice del gravame e vanno sempre parametrati al contenuto del provvedimento oggetto di appello (v., sia pure con riferimento all’impugnazione dell’ordinanza di rigetto della misura richiesta, Sez. 6, n. 45948 del 29/10/2015, COGNOME, Rv. 265276 – 01; Sez. 1, n. 32993 del 22/03/2013, Adorno, Rv. 256996 – 01).
Si tiene anche conto delle precisazioni che l’ordinamento, all’art. 581, comma 1-bis, cod. proc. pen., nell’alveo definito dall’elaborazione regolatrice (Sez. U, n. 8825 del 27/10/2016, dep. 2017, Galtelli, Rv. 268822 – 01), ha introdotte sancendo più esplicitamente l’inammissibilità dell’appello per mancanza di specificità dei motivi quando, per ogni richiesta, non sono enunciati in forma puntuale ed esplicita i rilievi critici in relazione alle ragioni di fatto diritto espresse nel provvedimento impugnato, con riferimento ai capi e punti della decisione ai quali si riferisce l’impugnazione.
Posto ciò, il Tribunale ha, con motivazione congrua, ritenuto l’atto di impugnazione del Pubblico ministero dotato di sufficiente specificità, per gli effetti di cui all’art. 581, comma 1-bis, cod. proc. pen.
Nell’atto era venuto in rilievo il tema dell’adeguatezza della misura custodiale domestica: esso non era obliterato, ma risultava trattato nell’ambito della critica avverso la scelta di sostituzione operata nell’ordinanza impugnata.
I ricorrenti – a tal proposito e anche con riferimento alle doglianze successive – hanno richiamato l’insegnamento regolatore in virtù del quale, quando sia da fare applicazione della misura della custodia cautelare in carcere, a seguito della riforma introdotta dalla legge 16 aprile 2015, n. 47, ove non si sia al cospetto di una delle ipotesi di presunzione assoluta di adeguatezza, il giudice deve sempre motivare sulla inidoneità della misura degli arresti domiciliari con braccialetto elettronico (Sez. U, n. 20769 del 28/04/2016, COGNOME, Rv. 266651).
Dall’esatta osservanza di questo principio, che si condivide, non può farsi derivare, però, la conseguenza che – una volta contestata in modo specifico la situazione di fatto su cui il AVV_NOTAIO si era basato per sostituire la misura custodiale inframuraria in quanto non si era verificato l’affievolimento addotto nel provvedimento sostitutivo – il Pubblico ministero, dedotta l’insussistenza del presupposto dell’affievolimento, dovesse necessariamente dedurre anche sulla mancata sostituzione della misura in atto
con quella domiciliare rafforzata dallo strumento di controllo elettronico.
In primo luogo, nel caso di specie, non si verteva in tema di applicazione della misura, bensì di sostituzione di misura cautelare già applicata secondo lo statuto di massimo rigore, ed era dalla situazione in atto che l’analisi, anche contestativa, doveva muovere, nel solco segnato dall’art. 299 cod. proc. pen.
In secondo luogo, rispetto alla sostituzione della misura cautelare disposta, il Tribunale ha rettamente considerato osservante dell’art. 581, comma 1 -bis, cod. proc. pen. la doglianza articolata dal Pubblico ministero, in quanto dotata di adeguata specificità: era stato il AVV_NOTAIO AVV_NOTAIO le AVV_NOTAIO AVV_NOTAIO a sostituire l misura inframuraria in atto sul presupposto dell’affievolimento delle esigenze cautelari; il Pubblico ministero, con l’appello, aveva contestato radicalmente la motivazione con cui era stata ritenuta sussistente l’attenuazione delle esigenze cautelari; sicché, essendo stato il provvedimento impugnato a collegare l’affievolimento delle esigenze cautelari con il giudizio di idoneità degli arrest domiciliari rafforzati con il mezzo elettronico, la censura dell’impugnante volta a contestare il suddetto affievolimento implicava, in modo logicamente necessario, anche quella relativa all’idoneità della misura nella situazione determinata con il provvedimento, senza che occorresse rinvenire nel tessuto argomentativo dell’atto di appello ulteriori formule lessicali volte a dedurre l’inidoneità de arresti domiciliari rafforzati a presidiare le medesime esigenze cautelari.
Il primo motivo va, pertanto, disatteso.
3. Per ciò che concerne le altre censure, giova premettere che il Tribunale, una volta superata la questione di ammissibilità dell’appello del Pubblico ministero, ha dato atto di aver proceduto all’esame delle immagini suindicate e, pur non mancando di segnalarne la scarsa nitidezza, ha concluso che la loro disamina non consentiva di ritenere superato il punto nodale emerso dalle dichiarazioni acquisite, secondo cui era stato NOME COGNOME a innescare la lite minacciando NOME COGNOME di accoltellarlo se non avesse spostato la macchina, condotta che aveva determinato lo sguardo di NOME rivolto a COGNOME e agli altri occupanti dell’auto Volkswagen Golf, con il suo susseguente avvicinamento, l’uscita dal veicolo di COGNOME e dei fratelli COGNOME e la successiva colluttazio culminata con l’inflizione a NOME dei fendenti al torace, al dorso e alla gola.
In questo quadro, secondo i giudici dell’appello cautelare, il fatto che NOME non avesse subìto passivamente l’aggressione era già stato rilevato e valutato nella fase di emissione dell’ordinanza genetica, avendo i due indagati riportato, a loro volta, lesioni: restava il fatto che la vittima era disarmata e si era difes colpendo a mani nude, mentre i tre antagonisti, essendo in auto, avrebbero potuto allontanarsi evitando lo scontro.
Da tali rilievi è derivato il convincimento che l’unico elemento di nov favorevole agli indagati fra quelli esaminati nell’ordinanza impugnata è il tempo detentivo nelle more trascorso: però, esso non è stato considerato, in concreto, sintomatico di un mutamento effettivo della situazione cautelare rispetto al momento dell’emissione del titolo genetico, essendo le esigenze cautelari emerse in quel frangente da considerarsi ancora attuali, ad onta dell’incensuratezza di COGNOMECOGNOME attese le specifiche modalità del fatto di sangue e l’allarmante pericolosità palesata dagli indagati, messisi in strada nella notte di Capodanno con un coltello e un tirapugni e determinatisi a un’aggressione mortale dopo la prima minaccia già profferita da COGNOME.
Il Tribunale ha ulteriormente evidenziato che, nelle condizioni date, non è stato affatto conseguito il superamento della presunzione di adeguatezza della custodia cautelare inframuraria stabilita dall’art. 275, comma 3, cod. proc. pen., né a tanto si è ritenuto possa aver sopperito il breve periodo di regolare custodia cautelare domestica seguito all’esecuzione del provvedimento impugnato, questo dato empirico essendo insufficiente, a fronte del negativo giudizio sulla personalità degli indagati, la cui inaffidabilità è stata dai giudici dell’appe cautelare ricollegata anche all’iniziale irreperibilità prescelta dai medesimi, oltre che all’assenza di dimostrazione da parte loro di segni concreti di resipiscenza.
Ciò posto, con riferimento al secondo motivo, dall’esame della motivazione resa dal Tribunale si trae la congruità della valutazione delle ragioni per le quali la misura cautelare degli arresti domiciliari, pur se rafforzati dagl strumenti di controllo elettronico, non è, allo stato, adeguata a tutelare le esigenze cautelari di natura specialpreventiva, in correlazione con l’insussistenza di alcuna determinante modificazione o rivalutazione in melius, rispetto alla posizione dei due indagati, degli elementi delibati all’atto dell’applicazione della misura custodiale inframuraria.
Si muove dal concetto che il principio di proporzionalità, al pari di quello di adeguatezza, opera come parametro di commisurazione delle misure cautelari alle specifiche esigenze ravvisabili nel caso concreto, sia al momento della scelta e della adozione del provvedimento coercitivo, sia per tutta la durata dello stesso, imponendo una costante verifica della perdurante idoneità della misura applicata a fronteggiare le esigenze che concretamente permangano o residuino, secondo il principio della minor compressione possibile della libertà personale (Sez. U, n. 16085 del 31/03/2011, COGNOME, Rv. 249324 – 01; fra le successive, Sez. 2, n. 10383 del 18/02/2022, Gallo, Rv. 282758 – 01).
Di conseguenza, è stato specificato anche che la disciplina prevista dall’art. 299 cod. proc. pen. sulla revoca e sostituzione della misura cautelare,
imponendo la costante verifica della perdurante legittimità delle restrizioni personali attraverso un costante adeguamento dello status libertatis, consente di valutare a tal fine i fatti sopravvenuti ovvero le eventuali modifiche della situazione processuale o dei presupposti e condizioni di legge, nonché i fatti preesistenti e non conosciuti o non ancora oggetto della valutazione del giudice (Sez. 4, n. 37527 del 21/06/2017, COGNOME, Rv. 270795 – 01).
Nel solco così tracciato, il Tribunale ha – all’esito di un adeguato accertamento compiuto mediante il vaglio delle immagini estratte dal sistema di videosorveglianza, direttamente esaminate dai giudici dell’appello cautelare, e del complessivo compendio indiziario emerso allo stato degli atti – valutato l’insussistenza di sostanziali novità idonee a dequotare, sotto il profilo della gravità del fatto e delle modalità della sua commissione, gli elementi ascrivibili alle sfere dei due indagati, per l’effetto fattone derivare – in sede di emissione dell’ordinanza applicativa – quanto alla loro pericolosità sociale, allo spessore delle esigenze cautelari dal presidiare e alla misura idonea a contenerle.
La comparazione del suddetto compendio fra la valutazione operata dal primo giudice per sorreggere il provvedimento sostitutivo e la valutazione poi effettuata dai giudici dell’appello cautelare rende chiaro che quella compiuta dal Tribunale non difetta di adeguatezza e coerenza logica, sicché essa si profila incensurabile in questa sede.
L’evidenziazione di alcuni particolari dello scenario tratto dalle immagini e da fonti dichiarative genericamente evocate a cui ha fatto ricorso la difesa degli indagati per sostenere la partizione della vicenda fattuale in due momenti storicamente scissi pertiene alla delibazione di merito che, a fronte dell’adeguata motivazione fornita nel provvedimento impugnato, è preclusa in questa sede.
In tale ultimo senso, la doglianza si orienta – anche con riguardo all’apprezzamento del lasso temporale trascorso fra la perpetrazione della condotta aggressiva e la costituzione degli indagati e dell’ammissione di COGNOME del possesso e dell’uso dell’arma bianca, nonché delle sue scuse – verso la sollecitazione di un’incisiva rivalutazione di alcuni degli indizi dedotti come emersi per trarne materia in senso confermativo dell’affievolimento delle esigenze cautelari: il compimento di questa rivalutazione, una volta che non venga dedotto e in ogni caso non sia stato dimostrato alcun decisivo travisamento delle prova, non può essere effettuato nel grado di legittimità.
La constatazione che non sussistevano novità sostanziali rispetto all’articolazione fattuale dell’episodio cruento operata nell’ordinanza genetica, con la conseguente valutazione delle esigenze cautelari specialpreventive, connesse alle circostanze del fatto e alle connesse modalità della condotta, del grado di pericolosità sociale dei due indagati, ha determinato per il Tribunale la
necessità di interrogarsi sul punto relativo al se il tempo trascorso dal fatto potesse integrare ex se, anche in rapporto al lasso in concreto apprezzabile, un decisivo fattore di attenuazione delle già accertate esigenze di cautela, in relazione al fatto, risultato più grave per il decesso della vittima avvenuto dopo l’emissione dell’ordinanza applicativa della misura.
I giudici dell’appello cautelare hanno dato risposta negativa al quesito, esprimendo le richiamate, congrue considerazioni circa la persistenza del pericolo che COGNOME e COGNOME cadano nella reiterazione di reati della stessa specie, argomentando in tal senso dopo aver considerato il, complessivamente circoscritto, tempo nelle more trascorso e le specifiche modalità del gravissimo fatto di cui gli indagati sono stati accusati di essersi resi protagonisti – mediante una condotta estremamente violenta, consistita nell’aver colpito la vittima con arma bianca sferrandole più fendenti e al dorso, al torace e, infine alla gola – e alla negativa personalità degli stessi, già specificata nell’ordinanza genetica.
Orbene, il giudizio circa l’attuale insufficienza del solo tempo trascorso dall’applicazione della misura cautelare per ritenere attenuate le emerse esigenze cautelari si profila immune da vizi logico-giuridici e, siccome risulta radicato nella congrua valutazione degli elementi finora acquisiti nel procedimento, non è censurabile in sede di legittimità, dovendo ricordarsi che, in tema di misure cautelari applicate per un reato di cui all’art. 275, comma 3, cod. proc. pen., il tempo trascorso dalla commissione del reato non costituisce oggetto di primaria valutazione ove si tratti di applicare l’art. 299 cod. proc. pen. per la revoca o la sostituzione della misura, rispetto a cui l’intervallo temporale che assume primario rilievo è quello trascorso dall’applicazione o, se differente, dall’esecuzione della misura cautelare, giacché esso integra un fatto obiettivamente sopravvenuto, il quale, ponderato in presenza di ulteriori elementi di valutazione, è suscettibile di costituire un dato da cui poter desumere il venir meno ovvero l’attenuazione delle originarie esigenze cautelari (v. Sez. 2, n. 47120 del 04/11/2021, Attento, Rv. 282590 – 01).
Pertanto – se è certo che anche sotto lo specifico profilo ora enucleato persiste la necessità di attenersi al principio secondo il quale la maturazione di un sensibile lasso temporale non può, in generale, essere ritenuto un fattore neutro, in quanto il decorrere dello stesso, in presenza di significativi elementi dai quali possa desumersi il venir meno ovvero anche il solo affievolimento delle esigenze originarie, deve formare oggetto di adeguata considerazione da parte del giudice della cautela – deve prendersi atto che di tale elemento il Tribunale ha tenuto debita considerazione, ma, pur avendolo valutato nella sua oggettiva entità, ha ritenuto in modo argomentato che esso, da solo, non legittimasse la sostituzione della misura decisa dal AVV_NOTAIO per le AVV_NOTAIO AVV_NOTAIO, per le
ancora persistenti e non contenibili, se non con la misura custodiale inframuraria, esigenze cautelari specialpreventive.
Risultato, quindi, privo del supporto di altri elementi tali da orientare verso una concreta attenuazione del quadro cautelare, il giudizio reso dal Tribunale non merita di essere censurato, dal momento che, in consecutio con quanto si è precisato, deve ritenersi che, ai fini della sostituzione della misura della custodia cautelare carceraria con quella degli arresti domiciliari e comunque con altra meno grave, il solo decorso del tempo non può ordinariamente apprezzarsi come elemento sufficiente, in quanto la sua valenza, per sé sola, rileva nell’ambito della disciplina dei termini di durata massima della custodia stessa e, quindi, esso necessita di essere considerato unitamente ad altri elementi idonei a suffragare la tesi dell’ affievolimento delle esigenze cautelari (in questa prospettiva si richiama Sez. 1, n. 24897 del 10/05/2013, Sisti, Rv. 255832 – 01).
Pure il secondo motivo deve, quindi, essere ritenuto infondato.
5. Non si può, infine, aderire al terzo motivo che prospetta come non spiegata la negata attenuazione delle esigenze cautelari fondando la critica su una sostanziale rilettura delle evidenze indiziarie, sia in punto di novella proposta di dissezione della vicenda esitata dalle coltellate inflitte alla vittima in d tronconi, al fine di supportare la tesi dell’atteggiamento aggressivo, oltre che provocatorio, di NOME COGNOME, sia in punto di più complessivo e diverso apprezzamento delle immagini introdotte nel procedimento, sia per la valorizzazione delle dichiarazioni di NOME COGNOME, sia, ancora, per la considerazione in diversa prospettiva della condotta, anche post factum, degli indagati, onde estrarre da tale quadro una valutazione della loro pericolosità meno allarmante di quella espressa dai giudici dell’appello cautelare.
Si tratta di una complessiva rivalutazione di merito del quadro già sottoposto alla verifica dei giudici della cautela, qui non proponibile: mette conto, anche su tale versante, ribadire che, in tema di misure cautelari, a seguito della presentazione di istanza per la sostituzione della custodia cautelare in carcere con la misura degli arresti domiciliari, l’apprezzamento della pericolosità dell’indagato sottoposto alla misura coercitiva è un giudizio riservato al giudice di merito, non censurabile nel giudizio di legittimità, se congruamente e logicamente motivato (Sez. 3, n. 7268 del 24/01/2019, COGNOME, Rv. 275851 01; Sez. 6, n. 17314 del 20/04/2011, COGNOME, Rv. 250093 – 01).
Per il resto, le notazioni svolte dal Tribunale hanno spiegato in modo sufficiente la ragione per la quale la misura custodiale domestica – comunque strutturata, dunque anche se supportata dall’impiego degli strumenti di controllo elettronico, adottata in via sostitutiva dal AVV_NOTAIO per le AVV_NOTAIO AVV_NOTAIO
non potesse avere attuale corso per le posizioni di NOME COGNOME e di NOME COGNOME, attesa la formulata valutazione di proporzionalità e adeguatezza della misura applicata in via genetica in relazione alla loro persistente pericolosità.
Del resto, va considerato che, in tema di misure cautelari personali, la valutazione in ordine alla proporzionalità della misura afferisce anche all’apprezzamento del tipo di recidiva che deve contrastare, ovvero della gravità dei reati di cui si considera probabile la nuova commissione, con l’effetto che, quando si rileva il pericolo di reiterazione di reati caratterizzati da violenza all persona, la misura degli arresti domiciliari può ritenersi proporzionata soltanto se, all’esito di un rigoroso esame della personalità dell’accusato, si ritenga abbattuto il rischio di violazione delle regole di auto-contenimento (Sez. 2, n. 797 del 03/12/2020, dep. 2021, Viti, Rv. 280470 – 01).
Essendo stata – questa valutazione – compiuta in modo argomentato dai giudici dell’appello cautelare e siccome essa è stata contestata, nel terzo motivo, in modo rivalutativo, questa doglianza non supera il vaglio di ammissibilità.
In ragione delle considerazioni svolte, quindi, entrambi i ricorsi devono essere, nel loro complesso, rigettati.
Consegue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese del procedimento.
Determinando la presente decisione l’assunzione di efficacia, per la raggiunta definitività, del provvedimento impugnato, segue la disposizione alla cancelleria di dare corso agli adempimenti di cui all’art. 28 del Regolamento di esecuzione del codice di rito.
P.Q.M.
Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 28 Reg. esec. cod. proc. pen.
Così deciso il 6 febbraio 2024
Il Consi liere estensore
Il Presidente