Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 20685 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 1 Num. 20685 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 27/02/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a COSENZA il 15/12/1994
avverso l’ordinanza del 07/11/2024 del TRIB. RAGIONE_SOCIALE di CATANZARO
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni del PG, COGNOME che ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso.
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RITENUTO IN FATTI)
Con ordinanza del 7 novembre 2024, il Tribunale del riesame di Catanzaro ha rigettato l’appello presentato, ai sensi dell’art. 310 cod. proc. pen., da NOME COGNOME avverso il provvedimento con cui il Giudice dell’udienza preliminare della stessa città ha respinto l’istanza di sostituzione della misura cautelare della custodia in carcere con quella degli arresti donniciliari, eventualmente anche con l’applicazione di dispositivi di controllo elettronico a distanza, in relazione al reato di associazione a delinquere finalizzata al narcotraffico e ad una serie di reati-fine del medesimo sodalizio.
A tal fine, ha ritenuto l’insussistenza di elementi dimostrativi del superamento della presunzione di esclusiva adeguatezza della custodia in carcere, applicabile in ragione del titolo di reato, in tal senso non potendosi oltremodo valorizzare la risalenza delle condotte in contestazione ad epoca non prossima, la sottoposizione ad un, pur protratto, periodo di restrizione preventiva né la confessione e la manifestazione della volontà di allontanarsi da contesti criminali, giunte in presenza di un compendio indiziario assai solido e non espressive di autentica resipiscenza.
Ha, piuttosto, ritenuto che l’intensità dei rapporti intrattenuti da COGNOME in ambito associativo, il suo preoccupante vissuto delinquenziale, comprendente anche condanne per evasione, e la collocazione del domicilio indicato in località prossima a quella che è stata teatro delle vicende in contestazione concorrano ad attestare, in positivo, la persistenza di esigenze cautelari di spessore tale da non potere essere arginate mediante l’applicazione di misura cautelare diversa da quella di massimo rigore.
NOME COGNOME propone, con l’assistenza dell’avv. NOME COGNOME ricorso per cassazione affidato ad un unico motivo, con il quale eccepisce violazione di legge e vizio di motivazione.
Rileva, al riguardo, che il Tribunale del riesame ha ispirato la decisione ad un sentimento di generica diffidenza nei suoi confronti, che lo ha indotto a sottostimare indebitamente le circostanze da lui dedotte, sì da orientare la decisione in dipendenza di un pericolo di recidiva privo dei necessari connotati di concretezza ed attualità.
Tanto ha dedotto con specifico riferimento alle rese dichiarazioni confessore che, proprio perché intervenute al cospetto di univoche emergenze investigative, costituiscono, a suo modo di vedere, il sintomo della positiva evoluzione della personalità.
Disposta la trattazione scritta, il Procuratore generale ha chiesto, il 5 febbraio 2025, dichiararsi l’inammissibilità del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile perché vedente su censure manifestamente infondate.
La giurisprudenza di legittimità ha da tempo chiarito che, in sede di appello avverso l’ordinanza di rigetto della richiesta di revoca o sostituzione di misura cautelare GLYPH personale, GLYPH il Tribunale, GLYPH in GLYPH ragione dell’effetto GLYPH devolutivo dell’impugnazione e della natura autonoma della decisione appellata, non è tenuto a rivalutare la sussistenza delle condizioni legittimanti il provvedimento restrittivo, dovendosi limitare al controllo che l’ordinanza gravata sia giuridicamente corretta e adeguatamente motivata in ordine agli allegati fatti nuovi, preesistenti o sopravvenuti, idonei a modificare apprezzabilmente il quadro indiziario o stricto sensu cautelare (Sez. 2, n. 18130 del 13/04/2016, Antignano, Rv. 266676; Sez. 3, n. 43112 del 07/04/2015, C., Rv. 265569).
L’effetto devolutivo segna quindi i confini del sindacato del Tribunale adito ex art. 310 cod. proc. pen., e, correlativamente, quelli del giudice di legittimità chiamato a controllare il provvedimento emesso in sede di appello.
Nel caso in esame, il tema controverso attiene all’idoneità degli elementi di novità sopravvenuti alla formazione del giudicato cautelare ad incidere su entità e pregnanza delle relative esigenze.
Il ragionamento svolto, in proposito, dal Tribunale del riesame appare lineare e coerente, perché imperniato, a dispetto di quanto obiettato dal ricorrente, sulla ponderata, complessiva considerazione di tutte le evidenze disponibili ed ossequioso, in diritto, del principio, affermato dalla giurisprudenza di legittimità (Sez. 3, n. 46241 del 20/09/2022, V. Rv. 283835 – 01), secondo cui «in tema di misure cautelari personali, la doppia presunzione relativa di sussistenza delle esigenze cautelari e di adeguatezza della custodia in carcere, valevole per i reati di cui all’ad. 275, comma 3, cod. proc. pen., trova applicazione anche ove sia richiesta la sostituzione della misura», atteso, vieppiù che «la clausola di esclusione prevista dall’art. 299, comma 2, cod. proc. pen. fa ritenere perduranti, per tali reati, i caratteri di attualità e concretezza del pericolo, salvo prov contraria, non desumibile dal solo decorso del tempo».
Il provvedimento impugnato muove, infatti, dalla considerazione del negativo rilievo dei fatti ascritti a COGNOME stabilmente inserito – con compiti estesi sia all
distribuzione sul mercato della sostanza stupefacente che al recupero dei proventi da destinare alla cassa comune – in una compagine di narcotrafficanti collegata ad un clan mafioso attivo nell’area cosentina, oltre che della storia giudiziaria dell’imputato, gravato da precedenti condanne per reati di notevole allarme sociale e, vieppiù, protagonista, in passato, di condotte di evasione che concorrono a comprovare la concreta inadeguatezza dell’invocata misura degli arresti domiciliari.
Il Tribunale del riesame non manca, del resto, di tener conto dell’epoca, non recentissima, dei fatti oggetto di addebito e della costante sottoposizione di COGNOME alla custodia preventiva per oltre due anni.
L’ordinanza impugnata appare, sotto questo aspetto, pienamente coerente precipuamente nell’escludere che l’ininterrotta sottoposizione di COGNOME, nel lasso temporale decorso a far data dall’applicazione del titolo cautelare, alla custodia in carcere abbia determinato un apprezzabile affievolimento delle esigenze specialpreventive – anche con l’indirizzo ermeneutico, formatosi presso la giurisprudenza di legittimità, secondo cui «In tema di misure cautelari per i reati di cui all’art. 275, comma 3, cod. proc. pen., pur operando una presunzione relativa di sussistenza delle esigenze cautelari, il tempo trascorso dai fatti contestati, alla luce della riforma di cui alla legge 16 aprile 2015, n. 47 e di una esegesi costituzionalmente orientata della stessa presunzione, deve essere espressamente considerato dal giudice, ove si tratti di un rilevante arco temporale privo di ulteriori condotte dell’indagato sintomatiche di perdurante pericolosità, che può rientrare tra gli “elementi dai quali risulti che non sussistono esigenze cautelari”, cui si riferisce lo stesso art. 275, comma 3, cit.» (Sez. 1, n 13044 del 16/12/2020, dep. 2021, P., Rv. 280983 – 01).
La fattispecie in esame si connota, invero, per l’applicazione, nei confronti dell’odierno ricorrente, di misura custodiale la cui esecuzione non ha messo in luce circostanze sicuramente sintomatiche di un’evoluzione della sua personalità tale da elidere o, quantomeno, contenere il rischio che egli, se rimesso in libertà o assoggettato a misura meno afflittiva, reiteri analoghe condotte delittuose.
Il tempo trascorso dai fatti contestati deve, pertanto, intendersi, come correttamente segnalato dal Tribunale del riesame, privo, nella fattispecie, di decisiva influenza sulla consistenza del quadro cautelare, che è, invece, condizionato dagli elementi sopra richiamati, espressivi di una propensione a delinquere e di una incapacità a contenere gli impulsi che ben potrebbero dare la stura, ove la misura cautelare in atto applicata a COGNOME fosse revocata o sostituita con altra di minore rigore, a nuove manifestazioni antisociali.
Ineccepibili si palesano, su queste basi, le osservazioni che il Tribunale del riesame dedica all’entità delle esigenze specialpreventive, da stimarsi immutata a
dispetto della confessione – intervenuta quando il compendio indiziario a carico di COGNOME era già compiutamente delineato e non accompagnata da elementi
dimostrativi di un ripensamento dei trascorsi delinquenziali e dell’opzione per un più consono stile di vita – così come alla necessità di mantenere il più rigoroso
regime intramurario, dovendosi temere che l’imputato, se sottoposto a misura meno afflittiva, approfitti della relativa libertà di movimento, non inibit
dall’apposizione di strumenti elettronici di controllo, per rendersi protagonista di analoghe imprese criminose.
4. Sulla base delle considerazioni che precedono il ricorso deve essere, pertanto, dichiarato inammissibile. Alla luce della sentenza 13 giugno 2000, n.
186, della Corte costituzionale, rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa
nella determinazione della causa di inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen.,
l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in 3.000,00 euro.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1 -ter, disp. att. cod. proc. pen..
Così deciso il 27/02/2025.