Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 14911 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5 Num. 14911 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 18/01/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da
COGNOME NOME nato a Napoli il DATA_NASCITA; avverso la sentenza del 20 aprile 2023, della Corte d’appello di Trieste; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME; lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO, che ha chiesto il rigetto del ricorso; letta la memoria depositata il 29 dicembre 2023 dall’AVV_NOTAIO, nell’interesse del ricorrente, con la quale, in replica alle conclusioni rassegnate dal AVV_NOTAIO AVV_NOTAIO, si insiste per l’accoglimento del ricorso;
RITENUTO IN FATTO
Oggetto dell’impugnazione è la sentenza con la quale la Corte d’appello di Trieste, confermando la condanna pronunciata in primo grado, ha ritenuto NOME COGNOME responsabile del reato di cui all’art. 494 cod. pen., per aver stipulato
due contratti assicurativi utilizzando dati anagrafici riferiti ad altra persona, cos inducendo in errore la compagnia di RAGIONE_SOCIALE in ordine alla reale identità della controparte contrattuale.
Ricorre per cassazione l’imputato articolando quattro motivi di censura, i primi due formulati sotto il profilo dell’inosservanza di norma processuale, il terzo e il quarto sotto quello del vizio di motivazione.
2.1. In particolare, con il primo, il ricorrente deduce la violazione dell’art. 420 -quater cod. proc. pen. nella parte in cui la Corte territoriale avrebbe ritenuto la ritualità della notifica del decreto di citazione a giudizio in primo grado (avvenuta a mezzo servizio postale e perfezionatasi per compiuta giacenza) basandosi su circostanze indiziarie prive di forza inferenziale quali le dichiarazioni rese dal AVV_NOTAIO.AVV_NOTAIO e dai testi COGNOME e COGNOME.
2.2. Il secondo deduce la violazione degli artt. 521 e 522 cod. proc. pen. ed attiene alla qualificazione dei fatti oggetto dell’imputazione, che, secondo la difesa, si sarebbero dovuti ricondurre all’interno delle fattispecie previste dall’art 642 o dall’art. 640 del codice penale. Ne deriverebbe, quindi, da un canto la nullità del capo d’imputazione e, dall’altro, non avendo i giudici di merito accolto la relativa eccezione sollevata dalla difesa, la violazione degli artt. 521 e 522 del codice di procedura penale.
2.3. Il terzo motivo, invece, attiene al profilo dell’accertamento della responsabilità e deduce che la Corte territoriale non avrebbe indicato con adeguatezza e logicità quali circostanze o emergenze processuali si fossero rese determinanti per la formazione del suo convincimento, non consentendo, così, l’individuazione dell’iter logico-giuridico seguito per addivenire alla statuizione adottata. Da un canto, infatti, non risulterebbe acquisito alcun elemento attraverso il quale ritenere provato che il ricorrente fosse titolare di una agenzia automobilistica operante in Casoria (circostanza riferita dal m.11o COGNOME e fondata sul solo riferito del COGNOME e del COGNOME), dall’altro mancherebbero elementi per affermare sia che l’imputato avesse sostituito o concorso a qualsiasi titolo a sostituire i dati anagrafici del COGNOME e del COGNOME sui certificati assicurativi atti, sia che l’effettivo pagamento delle polizze fosse avvenuto con la carta del ricorrente
2.4. Il quarto, in ultimo, attiene al trattamento sanzionatorio e, in particolare, al diniego delle circostanze attenuanti generiche e della sospensione condizionale della pena.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il primo motivo di ricorso è manifestamente infondato.
La censura va analizzata sotto due distinti profili: la ritualità del procedimento notificatorio e l’effettiva conoscenza dell’atto notificato (essendosi il primo perfezionato per compiuta giacenza).
Quanto al primo profilo, risulta in atti (ai quali questa Corte ha diretto accesso alla luce del vizio denunciato: Sez. U, n. 42792 del 31/10/2001, Policastro, Rv. 220092; Sez. 1, n. 17123 del 07/01/2016, Fenyves, Rv. 266613) che:
la notifica è stata eseguita il 15 marzo 2019 a mezzo del servizio postale (mediante spedizione di lettera raccomandata con avviso di ricevimento);
l’operatore postale, il 20 marzo successivo, verificata la temporanea assenza del destinatario, ha dato atto della mancata consegna e ha immesso nella cassetta postale la prescritta comunicazione di avviso di deposito, provvedendo alla spedizione di una successiva raccomandata;
di tale avviso risulta non solo l’invio, ma anche la successiva ricezione, seppur mediante immissione della cassetta postale (cfr. relata sottoscritta dall’ufficiale giudiziario redatta dall’agente postale il 22 marzo 2019);
il plico non veniva ritirato e la notifica si perfezionava per compiuta giacenza.
Ebbene, essendovi la prova non solo della spedizione della raccomandata, ma anche del compimento degli incombenti previsti perché la notifica possa dirsi rituale, che deve trarsi proprio dall’atto redatto dall’operatore postale, la notifica può dirsi perfezionata per compiuta giacenza (Sez. 1, n. 49365 del 26/11/2013, COGNOME, Rv. 259023 – 01; Sez. 5, n. 21492 del 08/03/2022, Diaz, Rv. 283429; cfr. pure Sez. U civ., n. 10012 del 15/04/2021, F. contro A., Rv. 660953 le quali hanno autorevolmente affermato che «qualora l’atto notificando non venga consegnato al destinatario per rifiuto a riceverlo ovvero per temporanea assenza del destinatario stesso ovvero per assenza/inidoneità di altre persone a riceverlo, la prova del perfezionamento della procedura notifica toria può essere data esclusivamente mediante la produzione giudiziale dell’avviso di ricevimento della raccomandata che comunica l’avvenuto deposito dell’atto notificando presso l’ufficio postale non essendo a tal fine sufficiente la prova dell’avvenuta spedizione della raccomandata medesima»)
Ciò considerato, alla luce delle descritte modalità di notifica, seppure non possa ritenersi con certezza che l’imputato abbia avuto effettiva conoscenza della sua vocatio in ius, sussistono elementi idonei a ritenere che la sua ignoranza sia stata frutto di una scelta consapevole.
È pur vero, infatti, che, in linea di principio e con riferimento al sistema delle notifiche, la certezza dell’effettiva conoscenza dell’atto notificato può essere raggiunta solo attraverso la notifica a mani proprie, in quanto le altre modalità
sono funzionali ad assicurare solo una conoscenza “legale” dell’atto, ma non permettono di ritenere che tale conoscenza sia stata effettiva e reale (Sez. U, n. 23948 del 28/11/2019, dep. 2020, COGNOME, Rv. 279420, in motivazione) e che, nelle situazioni indicate nell’art. 420-bis cod. proc. pen. (la dichiarazione o l’elezione di domicilio, l’applicazione di misure precautelari o cautelari, la nomina di un difensore di fiducia), la notifica effettuata a mani diverse dal destinatario deve essere stata comunque “possibile”, ossia avvenuta a mani di soggetti diversi dall’interessato ma secondo modalità adeguate all’effettiva conoscenza dell’atto (ibidem). Ciononostante, ove emergano circostanze dalle quali sia possibile desumere che l’ignoranza della vocatio in ius sia essa stessa frutto di una consapevole scelta della parte (che volontariamente, quindi, si è sottratta alla notifica), proprio in ragione della volontarietà di tale scelta, l’effett conoscenza del giudizio diviene irrilevante.
Ebbene, in concreto, l’imputato:
aveva piena consapevolezza dell’esistenza del procedimento, avendo, appunto, dichiarato domicilio e nominato difensore (il 19 settembre 2018);
non ha mai comunicato eventuali variazioni del domicilio dichiarato;
il decreto che dispone il giudizio è stato notificato presso il domicilio dichiarato, che è risultato essere un indirizzo effettivamente esistente, per come rilevato dall’ufficiale notificatore al momento dell’accesso;
presso lo stesso domicilio è stato comunicato anche l’avviso di conclusioni delle indagini (a mani proprie);
l’imputato non ha evidenziato di aver subito alcun specifico pregiudizio dall’iter processuale.
Si tratta di circostanze che, valutate sistematicamente, conducono a ritenere che l’imputato, sebbene non abbia ricevuto personalmente la notifica del decreto di citazione a giudizio (perfezionatasi secondo modalità che non permettono, di per sé, di assicurare la conoscenza effettiva dell’atto notificato), fosse comunque consapevole del procedimento e si sia sottratto volontariamente alla notifica a mani proprie del decreto di citazione a giudizio, omettendo di ritirare in ufficio il plico, nonostante le comunicazioni ricevute nel corso del procedimento di notifica presso il suo domicilio.
Con riferimento al secondo motivo, va premesso che la dimensione storica del fatto oggetto dell’imputazione non è in contestazione. Ciò che è controverso è la sola qualificazione giuridica dello stesso (in ipotesi da sussumere nelle più grave fattispecie di cui agli artt. 640 o 642 cod. pen.); un’attività, tuttavia, che, applicazione del principio AVV_NOTAIO iura novit curia (cristallizzato nell’art. 521 cod.
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proc. pen.), è ontologicamente riservata al giudice, in quanto presupposto logico di qualsiasi decisione, e può essere esercitata in qualsiasi momento processuale.
Ciò considerato, a prescindere dalla fondatezza o meno della deduzione, la censura (diretta ad ottenere una più grave qualificazione del fatto), è inammissibile in quanto non sorretta da un interesse giuridicamente tutelabile, non potendosi ritenere tale la mera aspirazione all’esattezza tecnico-giuridica del provvedimento.
In ogni caso, anche a voler ipotizzare l’esistenza di un interesse (da ravvisarsi nel difetto della necessaria condizione di procedibilità che deve assistere la fattispecie di cui all’art. 642 cod. pen.), è sufficiente rilevare da un canto che alcun assorbimento è ipotizzabile (stante l’oggettiva diversità di beni giuridici) e, dall’altro, che, anche laddove ci fosse, l’assorbimento presupporrebbe, comunque una duplicità di contestazione che, in concreto, non sussiste.
Da ciò l’inammissibilità della censura.
3. Ugualmente indeducibile è il terzo motivo di ricorso.
La Corte territoriale ha dato atto, con motivazione logica e coerente, dei plurimi elementi che hanno fondato la decisione: la falsità dei dati anagrafici utilizzati; l’esistenza di un’agenzia di pratiche auto (alla quale sia il COGNOME che il COGNOME si sono rivolti), riconducibile al COGNOME; il rinvenimento di due distinti contratti di RAGIONE_SOCIALE, l’uno con le formalità esatte del COGNOME e l’altro, quello originale, depositato presso la RAGIONE_SOCIALE, con i dati della COGNOME; l’utilizzo, per il pagamento dei due premi, della carta di credito del COGNOME.
Ebbene, a prescindere dalla logica considerazione per cui la prova di un fatto può essere desunta, all’evidenza, anche dalle mere dichiarazioni rese dai testi senza che sia necessario alcun riscontro documentale (tanto più laddove provengano da soggetti qualificati, quale un ufficiale di polizia giudiziaria), ciò che rileva è che, a dispetto della formale indicazione dei vizi motivazionali asseritamente individuabili nella sentenza impugnata, le censure sollevate sono, in realtà, dirette a sollecitare a questa Corte una non consentita rilettura, peraltro parcellizzata, del compendio probatorio e a richiedere direttamente una nuova valutazione dello stesso; una rivalutazione che postula apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito, il quale, nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare in modo accurato le ragioni del proprio convincimento (Sez. 5, n. 51604 del 19 settembre 2017, Rv. 271623). E la Corte, per come si è detto, ha fornito una motivazione logica e coerente (in assenza di contrarie deduzioni sul punto) con i dati processuali richiamati.
Analoghe considerazioni anche con riferimento al quarto motivo.
Questa Corte ha già ripetutamente affermato come, nel motivare il diniego della concessione delle attenuanti generiche, il giudice di merito non deve necessariamente prendere in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, poiché è sufficiente che facc riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo tutti gli altr disattesi da tale valutazione (ex multis Sez. 3, n. 28535 del 19/03/2014, Rv. 259899).
In concreto, la Corte territoriale ha valorizzato non solo la significativa capacità a delinquere (manifestata dai precedenti specifici dei quali il ricorrente è gravato), ma anche l’assoluta mancanza di resipiscenza. Elementi ampiamente sufficienti a giustificare, di per sé, il diniego delle invocate circostanze.
Quanto alla sospensione, è sufficiente rilevare come la Corte ha, correttamente, escluso la possibilità di un ulteriore riconoscimento, avendo il ricorrente già ottenuto il beneficio, in precedenza, altre due volte.
In conclusione, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile e il ricorrente condannato al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 18 gennaio 2024
Il Presidente