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Sostituzione custodia cautelare: ricorso inammissibile

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso per la sostituzione custodia cautelare in carcere con una misura meno afflittiva. L’indagato, latitante per un grave reato di spaccio di stupefacenti, è stato ritenuto inaffidabile a causa della sua fuga e dei legami criminali, confermando così la decisione del Tribunale del riesame di mantenere la detenzione in carcere.

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Pubblicato il 8 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Sostituzione Custodia Cautelare: Quando il Ricorso è Inammissibile

La sostituzione custodia cautelare rappresenta un momento cruciale nel procedimento penale, in cui si bilanciano le esigenze di sicurezza della collettività e i diritti di libertà dell’individuo. Una recente sentenza della Corte di Cassazione (n. 12350/2024) offre un’analisi chiara dei limiti entro cui è possibile richiedere tale sostituzione, specialmente in presenza di elementi gravi come la latitanza e un’ingente quantità di stupefacenti. Questo articolo esamina il caso e le sue implicazioni pratiche.

Il Contesto del Caso: Spaccio e Latitanza

Il caso ha origine da un’ordinanza del Tribunale del riesame di Milano, che confermava la decisione del GIP di Como di respingere la richiesta di un indagato. L’uomo era accusato di detenzione a fini di spaccio di un’enorme quantità di eroina, corrispondente a oltre cinquantamila dosi. La sua richiesta non mirava alla revoca della misura, ma alla sostituzione custodia cautelare in carcere con una meno restrittiva, come gli arresti domiciliari.

L’elemento determinante della vicenda era la condizione di latitanza dell’indagato. Egli, infatti, si era deliberatamente sottratto all’arresto, fuggendo e abbandonando il carico di droga. Nonostante ciò, attraverso i suoi legali, manifestava la disponibilità a tornare in Italia per scontare una misura più lieve e svolgere un’attività lavorativa.

La Valutazione del Tribunale e la Sostituzione Custodia Cautelare

Il Tribunale del riesame ha ritenuto infondata la richiesta, argomentando che la condizione di latitante e le circostanze del reato dimostravano una personalità negativa e un’incapacità di rispettare gli ordini dell’autorità. La Corte ha considerato la proposta di rientro in Italia come “logicamente recessiva” rispetto al giudizio sulla sua pericolosità sociale.

In particolare, sono stati evidenziati due aspetti:

1. L’omessa rescissione dei legami con gli ambienti criminali.
2. L’incapacità di rispettare le prescrizioni dell’Autorità, palesata con la fuga.

Di conseguenza, la motivazione del provvedimento impugnato è stata ritenuta ampia e sufficiente a giustificare non solo il mantenimento della misura cautelare, ma anche l’impossibilità di applicare gli arresti domiciliari, persino con braccialetto elettronico.

L’Analisi della Corte di Cassazione: la Ripetitività del Ricorso

L’indagato ha presentato ricorso in Cassazione, lamentando una violazione di legge e un vizio di motivazione riguardo all’attualità delle esigenze cautelari e all’adeguatezza della misura. Tuttavia, la Suprema Corte ha dichiarato il ricorso manifestamente infondato e, quindi, inammissibile.

Il punto centrale della decisione della Cassazione è che il ricorrente si era limitato a ripetere le stesse doglianze già sollevate davanti al Tribunale del riesame, senza sottoporre a una critica rigorosa e specifica la motivazione del provvedimento impugnato. Un ricorso in Cassazione non può essere una semplice riproposizione di argomenti già esaminati, ma deve individuare precisi vizi di legittimità (errori di diritto o vizi logici manifesti) nella decisione contestata.

Le Motivazioni

La Corte di Cassazione ha ritenuto che il ricorso dovesse essere dichiarato inammissibile. La motivazione del Tribunale del riesame era stata giudicata completa, logica e coerente, avendo adeguatamente spiegato perché la latitanza e la gravità del reato rendessero la custodia in carcere l’unica misura proporzionata e adeguata. La fuga volontaria è stata interpretata come un chiaro segnale di inaffidabilità, rendendo irrilevante la successiva offerta di collaborazione. La Corte ha sottolineato che un’impugnazione che non si confronta criticamente con le ragioni della decisione precedente, ma si limita a riproporre le medesime questioni, non supera il vaglio di ammissibilità.

Conclusioni

La sentenza in esame ribadisce alcuni principi fondamentali in materia di misure cautelari e di ricorso in Cassazione. In primo luogo, la condizione di latitanza costituisce un ostacolo quasi insormontabile all’ottenimento di una sostituzione custodia cautelare con misure meno afflittive, poiché dimostra un’elevata pericolosità e una totale inaffidabilità del soggetto. In secondo luogo, il ricorso per cassazione deve essere tecnicamente ben strutturato, attaccando specificamente i vizi di legittimità del provvedimento impugnato e non limitandosi a una generica riproposizione delle proprie tesi difensive. La decisione conferma la necessità di una difesa tecnica rigorosa per poter accedere al giudizio di legittimità.

Perché la Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso?
La Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile perché l’appellante si è limitato a riproporre le stesse argomentazioni già respinte dal Tribunale del riesame, senza formulare una critica specifica e giuridicamente fondata contro la motivazione dell’ordinanza impugnata.

La condizione di latitante ha influito sulla decisione di mantenere la custodia in carcere?
Sì, in modo determinante. I giudici hanno considerato la fuga volontaria come una prova dell’inaffidabilità dell’indagato e della sua incapacità di rispettare gli ordini dell’autorità, ritenendo la custodia in carcere l’unica misura idonea a fronteggiare la sua pericolosità sociale.

È possibile ottenere una misura meno severa del carcere per un reato di spaccio di stupefacenti?
In linea generale sì, ma il caso specifico dimostra che, di fronte a elementi di particolare gravità come l’ingente quantitativo di droga (oltre 50.000 dosi) e la latitanza dell’indagato, le corti ritengono giustificata l’applicazione della misura cautelare più severa, escludendo alternative come gli arresti domiciliari.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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