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Sostanze alimentari nocive: condanna per i mitili

La Corte di Cassazione conferma la condanna per il commercio di sostanze alimentari nocive a carico di un soggetto sorpreso a insacchettare 600 kg di mitili privi di etichetta. La provenienza da una zona non idonea è stata desunta da elementi logici, come la mancanza di autorizzazioni e di tracciabilità, rendendo il ricorso inammissibile per genericità.

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Pubblicato il 16 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Commercio di sostanze alimentari nocive: la provenienza si può provare con indizi

La commercializzazione di sostanze alimentari nocive è un reato grave che mette a rischio la salute pubblica. Una recente sentenza della Corte di Cassazione (Sentenza n. 20031/2024) ha chiarito come la provenienza illecita di alimenti, in questo caso mitili, possa essere provata anche attraverso una serie di indizi gravi, precisi e concordanti, confermando la condanna di un commerciante. Analizziamo insieme questa importante decisione.

I Fatti di Causa

Nel luglio 2018, due fratelli venivano sorpresi dalle forze dell’ordine nelle prime ore del mattino su un’imbarcazione nelle acque del Mar Piccolo di Taranto. Erano intenti a ‘sgranare’ e insacchettare una grande quantità di mitili. Il successivo controllo portava al sequestro di circa 600 kg di prodotto, completamente privo di etichettatura che ne indicasse la provenienza.

Sia il Tribunale di primo grado che la Corte d’Appello avevano condannato uno dei due fratelli per il reato di commercio di sostanze alimentari nocive, previsto dall’art. 444 del codice penale. Secondo i giudici, i mitili erano stati allevati e raccolti nel Mar Piccolo, una zona soggetta a divieti per ragioni sanitarie, e destinati alla vendita in violazione delle norme a tutela della salute.

La difesa dell’imputato ha presentato ricorso in Cassazione, sostenendo che la motivazione della condanna fosse solo apparente e che non vi fossero prove certe né sulla provenienza dei mitili dal Mar Piccolo né sull’effettiva ‘messa in commercio’ del prodotto.

La responsabilità per sostanze alimentari nocive: La Decisione della Corte

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando in via definitiva la condanna. I giudici hanno ritenuto che il ricorso fosse generico e si limitasse a riproporre le stesse argomentazioni di fatto già correttamente valutate e respinte nei precedenti gradi di giudizio. La Corte ha quindi ribadito la validità del ragionamento logico seguito dai giudici di merito per accertare la responsabilità penale dell’imputato.

Le Motivazioni

Il cuore della decisione della Cassazione risiede nella valorizzazione degli elementi indiziari. I giudici hanno spiegato che, sebbene mancasse una prova diretta, la provenienza dei mitili dalla zona contaminata del Mar Piccolo era stata logicamente desunta da una serie di fatti convergenti:

1. L’assenza di autorizzazione sanitaria: I fratelli, pur avendo un allevamento in una zona consentita (Mar Grande), non avevano alcuna autorizzazione per spostare i mitili nel Mar Piccolo, neanche per le sole operazioni di lavorazione. Tale autorizzazione è fondamentale per garantire la tutela della salute pubblica.
2. Lo stazionamento della barca: Il fatto che l’imbarcazione con il carico si trovasse proprio nell’area vietata era un indizio significativo.
3. La mancanza di tracciabilità: L’assenza totale di etichette sui sacchi, che avrebbero dovuto indicare l’origine del prodotto, impediva qualsiasi forma di controllo e rafforzava l’ipotesi della provenienza illecita.
4. L’avvenuta ‘messa in commercio’: La Corte ha specificato che il reato si era già consumato. Le operazioni di insacchettamento e il fatto che i mitili fossero già stati ‘ceduti di fatto ad altri soggetti’ integravano pienamente la condotta di messa in commercio, non essendo necessario attendere la vendita finale al consumatore.

Secondo la Cassazione, questi elementi, valutati nel loro insieme secondo i canoni dell’art. 192 del codice di procedura penale, costituivano una base probatoria solida e sufficiente per affermare la colpevolezza dell’imputato, rendendo superflui ulteriori approfondimenti.

Le Conclusioni

Questa sentenza ribadisce un principio fondamentale nella lotta alle frodi alimentari: la responsabilità per il commercio di sostanze alimentari nocive può essere accertata anche sulla base di un quadro indiziario robusto e coerente. L’assenza di etichette di tracciabilità e la mancanza delle necessarie autorizzazioni sanitarie non sono mere irregolarità formali, ma diventano prove logiche decisive per dimostrare l’origine pericolosa di un prodotto. Per gli operatori del settore alimentare, ciò sottolinea l’importanza cruciale di rispettare scrupolosamente tutte le normative sulla tracciabilità e le procedure sanitarie, poiché la loro violazione può avere conseguenze penali molto gravi.

Come hanno fatto i giudici a stabilire la provenienza illecita dei mitili senza una prova diretta?
I giudici hanno utilizzato un ragionamento logico-deduttivo basato su una serie di indizi gravi, precisi e concordanti: l’assenza di un’autorizzazione sanitaria per spostare e lavorare i mitili in quella zona, lo stazionamento della barca proprio nell’area contaminata e la totale mancanza di etichette di tracciabilità sui sacchi di prodotto.

Perché il reato di commercio di sostanze alimentari nocive è stato considerato già perfezionato?
Il reato è stato ritenuto consumato perché le operazioni di ‘sgranamento e insacchettamento’ rappresentavano l’ultima fase prima della distribuzione e, inoltre, la Corte d’Appello aveva accertato che le cozze erano già state di fatto cedute ad altri soggetti. Non è necessario che il prodotto raggiunga il consumatore finale.

Per quale motivo il ricorso presentato alla Corte di Cassazione è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile per genericità, in quanto si limitava a riproporre argomentazioni sui fatti (come l’incertezza sulla provenienza) che erano già state ampiamente e congruamente valutate e respinte dai giudici dei primi due gradi di giudizio, senza sollevare reali questioni di legittimità o di erronea applicazione della legge.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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