Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 26846 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 26846 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 16/05/2024
SENTENZA
sui ricorsi proposti da: COGNOME NOME nato a VIBO VALENTIA il DATA_NASCITA
COGNOME NOME nato a TORINO il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 31/01/2024 del TRIB. LIBERTA di TORINO
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni del Pubblico Ministero, nella persona del Sostituto procuratore generale NOME COGNOME, che ha concluso chiedendo dichiararsi l’inammissibilità di entrambi i ricorsi.
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RITENUTO IN FATTO
1. Con ordinanza emessa in data 31 gennaio 2024 il Tribunale del riesame di Torino, accogliendo in parte l’appello proposto dal pubblico ministero, ha applicato ad NOME COGNOME la misura cautelare dell’obbligo di dimora nel Comune di domicilio che indicherà dopo la scarcerazione, con divieto di uscire dalle ore 20.00 alle ore 7.00, e a NOME COGNOME la misura interdittiva della sospensione dalla professione per otto mesi. GLYPH Il pubblico ministero aveva impugnato l’ordinanza con cui il giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Torino aveva respinto la richiesta di misura cautelare a carico di cinque indagati per vari reati.
Per quanto qui rileva, il Tribunale ha ritenuto sussistenti, a carico di NOME COGNOME, i gravi indizi di colpevolezza del delitto di detenzione di un’arma comune da sparo, con relativo munizionamento, nonché le esigenze cautelari, negate invece dal g.i.p., perché egli risulta inserito in un contesto criminale pericoloso, è in contatto con diversi esponenti della ‘ndrangheta, ha condanne passate in giudicato e procedimenti in corso anche per reati commessi successivamente a questo, è attualmente in regime di detenzione domiciliare per una condanna definitiva. Ha però ritenuto affievolite tali esigenze, per il tempo trascorso dal fatto, ritenendo perciò sufficiente una misura non detentiva.
Il Tribunale ha ritenuto anche sussistenti a carico di NOME COGNOME, dipendente della banca BPM, i gravi indizi di colpevolezza per il reato di cui all’art. 640-bis cod.pen. (oltre ad altri per i quali la richiesta di misura cautelare non è stata accolta), erroneamente qualificato dal g.i.p. nell’ipotesi di cui all’art 316-ter cod.pen., commesso facendo ottenere indebitamente alla RAGIONE_SOCIALE, mediante artifici e raggiri consistiti nell’occultare il fatto che il suo leg rappresentante era stato protestato, i finanziamenti previsti dal d.l. n. 23/2020 in favore dei soggetti economici danneggiati dall’emergenza pandennica. Ha ritenuto sussistenti anche le esigenze cautelari, avendo il COGNOME continuato ad effettuare favori ai medesimi soggetti, in danno dell’Istituto di credito, anche dopo essere stato trasferito in un’altra sede, ed ha applicato al predetto la misura cautelare della interdizione dall’esercizio della professione per otto mesi, per il pericolo di reiterazione del reato.
Avverso l’ordinanza hanno proposto separati ricorsi NOME COGNOME, per mezzo del difensore avv. NOME COGNOME, articolando un unico motivo, e NOME COGNOME, per mezzo del difensore avv. NOME COGNOME, articolando tre motivi.
Il ricorrente COGNOME deduce la violazione dell’art. 274 cod.proc.pen. e l’illogicità della motivazione in merito all’attualità delle esigenze cautelari.
Il Tribunale del riesame, disponendo l’obbligo di dimora nel Comune ove egli domicilierà dopo la fine della detenzione in atto per l’espiazione di una condanna definitiva, ha emesso una sorta di misura differita, che contrasta con l’attualità del pericolo richiesta dalla norma. Già la distanza nel tempo del reato contestato, risalente al 2020, ha fatto ritenere affievolite le esigenze cautelari; l pena di due anni e dieci mesi di reclusione che egli sta espiando dal settembre 2022 allontana, nel tempo, anche l’esecuzione della misura cautelare. La distanza temporale tra la commissione del reato e l’esecuzione della misura comporta un onere motivazionale rafforzato in merito all’attualità delle esigenze cautelari, non essendo sufficiente il mero richiamo ai precedenti penali del ricorrente. A maggior ragione non è possibile valutare l’attualità della misura, se la sua esecuzione viene procrastinata, non essendo possibile valutare oggi la necessità di applicazione di una misura futura.
Il ricorrente COGNOME, con il primo motivo di ricorso, deduce la violazione di legge, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b), cod.proc.pen., in merito all riqualificazione del reato come violazione dell’art. 640-bis cod.pen. anziché dell’art. 316-ter cod.pen.
Il titolare della RAGIONE_SOCIALE è stato denunciato dalla Guardia di Finanza per il reato di cui all’art. 316-ter cod.pen. per non avere presentato i bilanci dell società, impedendo così il controllo sulla veridicità dei dati inseri nell’autocertificazione, ed ha già riportato una condanna definitiva per tale reato. Ciò dimostra la correttezza della qualificazione della condotta effettuata dal g.i.p., oltre a sollevare dubbi di violazione del divieto di bis in idem. La condotta del legale rappresentante della società ha comportato la revoca del finanziamento ottenuto, e quindi ha bloccato, di fatto, la procedura contestata al ricorrente come oggetto del reato. L’omessa previsione, da parte della legge, di controlli preventivi sulle autocertificazioni evidenzia la correttezza dell qualificazione della condotta nel senso indicato e l’erroneità della sua qualificazione come truffa, in base alle molte pronunce della giurisprudenza. Pertanto è abnorme che tale condotta sia stata qualificata, nei confronti dei ricorrente, come truffa aggravata, mentre nei confronti del titolare della società finanziata è stata qualificata come violazione dell’art. 316-ter cod.pen., con sentenza già divenuta irrevocabile. La società non rientrava nei criteri di meritevolezza richiesti dalla normativa, ma il finanziamento le è stato concesso solo in base all’autocertificazione, e non in base ad artifici e raggiri quali quel descritti dal Tribunale del riesame, essendo stato deliberato ed erogato
nell’ottobre 2020, mentre la denuncia di smarrimento di un assegno, che doveva occultare il suo protesto, al gennaio 2021 non era stata ancora consegnata alla banca.
4.1. Con il secondo motivo il ricorrente COGNOME deduce la violazione di legge, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b), cod.proc.pen., in relazione all’art. 290 cod.proc.pen.
La misura applicata impedisce l’esercizio di una professione, ma tale termine deve essere interpretato ai sensi dell’art. 2229 cod.civ. e riguarda, pertanto, figure che ricoprano ruolo direttivi. Il ricorrente, invece, non è risultato esser vicedirettore della banca BPM, come erroneamente riportato nell’annotazione della polizia giudiziaria, essendo nel 2020, e ancora oggi, un mero impiegato di “Livello Quadro”, con il ruolo di gestore di un portafoglio di clienti Business. Attualmente, poi, a causa di problemi di salute, egli non ricopre più tale ruolo, e non ha più contatto con il pubblico. La misura interdittiva non può essergli, pertanto, applicata, in quanto rivolta a chi riveste uffici direttivi, analogamente alle misure previste dagli artt. 30-bis e 35 cod.pen., mentre egli non ha mai avuto poteri decisionali.
4.2. Con il terzo motivo il ricorrente COGNOME deduce la violazione di legge, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b), cod.proc.pen., in relazione all’art. 274, comma 1, lett. c), cod.proc.pen.
Non sussistono le esigenze cautelari indicate dal Tribunale, stante il tempo trascorso dal fatto, l’assenza di attuali contatti con i soggetti favoriti, mancanza di più recenti infedeltà commesse dal ricorrente. Egli è stato trasferito dalla sede ove lavorava all’epoca del fatto, e dal 2021 non segue più le posizioni dei predetti soggetti. Egli, inoltre, è incensurato, ed ha gravi problemi di salute, che hanno determinato il suo cambio di mansione.
La pericolosità sociale può essere ritenuta quando sussiste il pericolo concreto ed attuale di reiterazione di delitti gravi o della stessa specie, mentre tale attualità deve essere esclusa perché, per il tempo trascorso e, soprattutto, per le mansioni lavorative attualmente svolte, è impossibile che egli possa tenere condotte analoghe a quella contestata.
Il Procuratore generale, con requisitoria scritta, ha chiesto la declaratoria di inammissibilità sia per il ricorso proposto dall’indagato COGNOME, sia per quello proposto dall’indagato COGNOME.
Il difensore di COGNOME ha depositato note di replica alla requisitoria del procuratore generale, ribadendo i motivi del suo ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso proposto da NOME COGNOME e infondato, e deve essere rigettato, mentre deve essere accolto, nei termini sotto precisati, il ricorso proposto da NOME COGNOME.
L’affermazione contenuta nel ricorso proposto dal ricorrente COGNOME, secondo cui il Tribunale del riesame avrebbe emesso una misura cautelare con efficacia differita, è errata. La misura dell’obbligo di dimora è stata emessa con efficacia immediata, sulla base delle esigenze cautelari ritenute attualmente presenti, e la sua esecuzione è riferita al domicilio che egli indicherà in caso di scarcerazione. E evidente che tale evento può verificarsi anche prima della espiazione dell’intera pena alla quale egli è stato condannato, e pertanto l’esecuzione della misura cautelare potrebbe iniziare in tempi molto brevi.
Ciò dimostra l’infondatezza delle censure mosse dal ricorrente, lamentando la non attualità delle esigenze cautelari ravvisate dal Tribunale del riesame, per la lontananza nel tempo della esecuzione della misura applicata: le esigenze cautelari sono state, correttamente, valutate sulla base dell’attuale situazione personale e processuale dell’indagato, ed applicando una misura potenzialmente eseguibile in tempi brevi. La giurisprudenza di legittimità ha già da tempo ritenuto legittima l’emissione di misure cautelari non immediatamente applicabili, non potendo lo stato di detenzione conseguente ad altro fatto essere ritenuto con certezza innpeditivo neppure del pericolo di fuga o di reiterazione dei reati (vedi Sez. 4, n. 484 del 12/11/2021, dep. 2022, Rv. 282416). Nel caso di specie, inoltre, il ricorrente risulta trovarsi in detenzione domiciliare, modalità d custodia che non impedisce radicalmente la commissione di reati analoghi a quello per cui la misura cautelare è stata applicata.
Il ricorso è infondato anche laddove il ricorrente lamenta che le esigenze cautelari siano state motivate solo con un generico riferimento ai suoi precedenti penali, avendo il Tribunale del riesame valutato dettagliatamente la sua condotta pregressa e successiva al delitto contestato ed i suoi accertati rapporti con soggetti appartenenti alla criminalità organizzata, deducendone logicamente una elevata pericolosità sociale e la mancanza di un effetto deterrente prodotto dalle condanne già riportate.
Il primo motivo del ricorso proposto dal ricorrente COGNOME, relativo alla qualificazione del reato di cui al capo 2) dell’imputazione provvisoria come
violazione dell’art. 640-bis cod.pen. anziché come violazione dell’art. 316-ter cod.pen., è infondato.
Il Tribunale del riesame, ribadito il ristretto ambito di applicazione del delitt di cui all’art. 316-ter cod.pen. rispetto a quello di truffa aggravata, h evidenziato che, nel caso di specie, la condotta contestata al beneficiario del finanziamento pubblico, con cui il COGNOME ha concorso, non è quella di avere esposto dati falsi nell’autocertificazione diretta ad ottenere l’erogazione, in particolare quanto all’ammontare del fatturato o al rapporto causa-effetto tra la pandemia e il danno lamentato dall’impresa (condotta ritenuta effettivamente costituire il reato di cui all’art. 316-ter cod.pen., per il quale un diverso indagat secondo il ricorrente, è stato già condannato), ma quella di avere tratto in inganno la banca, mediante artifici e raggiri consistiti nell’occultare la qualità d protestato del soggetto richiedente il finanziamento, qualità che impediva il rilascio della RAGIONE_SOCIALE da parte del RAGIONE_SOCIALE, indispensabile per l’ottenimento del finanziamento.
Il ricorso non si confronta con questa ricostruzione, che giustifica la qualificazione del fatto come violazione dell’art. 640-bis cod.pen. stante la presenza di una condotta truffaldina, e la contrasta solo con elementi fattuali, in particolare l’epoca in cui il finanziamento sarebbe stato comunque deliberato ed erogato, nonostante la predetta qualità di protestato, che non possono costituire oggetto di una diversa valutazione da parte del giudice di legittimità. Si deve, infatti, ribadire che risale alla sentenza delle Sezioni Unite n. 11 del 23/02/2000, Audino, Rv. 215828 l’insegnamento secondo cui «in tema di misure cautelari personali, allorché sia denunciato, con ricorso per cassazione, vizio di motivazione del provvedimento emesso dal tribunale del riesame in ordine alla consistenza dei gravi indizi di colpevolezza, alla Corte suprema spetta il compito di verificare, in relazione alla peculiare natura del giudizio di legittimità e ai li che ad esso ineriscono, se il giudice di merito abbia dato adeguatamente conto delle ragioni che l’hanno indotto ad affermare la gravità del quadro indiziario a carico dell’indagato, controllando la congruenza della motivazione riguardante la valutazione degli elementi indizianti rispetto ai canoni della logica e ai principi d diritto che governano l’apprezzamento delle risultanze probatorie».
La motivazione dell’ordinanza impugnata risulta logica e non contraddittoria, alla luce dei dati fattuali in essa esposti, e non è, pertanto, sindacabile in questa sede. Occorre avere anche riguardo alla specificità della valutazione compiuta nella fase cautelare, dovendosi sempre tenere conto della «diversità dell’oggetto della delibazione cautelare, preordinata a un giudizio prognostico in termini di ragionevole e alta probabilità di colpevolezza, rispetto a quella di merito, orientata invece all’acquisizione della certezza processuale in ordine alla
colpevolezza dell’imputato» (Sez. 2, n. 11509 del 14/12/2016, dep. 2017, P., Rv. 269683, tra le molte conformi). La qualificazione giuridica del fatto operata in sede di riesame, in particolare, non è vincolante, in quanto non produce effetti oltre il procedimento incidentale nel quale è stata assunta (vedi Sez. 6, n. 42936 del 23/09/2021, Rv. 282259), e potrà essere modificata all’esito di un più approfondito esame degli elementi fattuali, in particolare di quelli tipizzanti l condotta della truffa aggravata.
Il secondo motivo di ricorso è fondato, e deve essere accolto, con conseguente assorbimento del terzo motivo di ricorso.
L’art. 290 cod.proc.pen. prevede l’applicabilità del divieto di esercitare attività professionali o imprenditoriali, precisando che possono essere vietate «determinate professioni, imprese o uffici direttivi delle persone giuridiche e delle imprese». Il principio di tassatività delle misure cautelari personali, stabilito dall’art. 272 cod.proc.pen., impone una lettura di questa norma strettamente aderente al suo testo, al fine di evitarne illegittime estensioni analogiche.
Il Tribunale del riesame ha applicato la misura interdittiva in questione senza una specifica individuazione della figura professionale del ricorrente, ma definendolo «vice direttore» della filiale di Chieri della banca BPM. Appare evidente che l’attività lavorativa da lui svolta, quale dipendente di un istituto di credito, non consente di ritenerlo equiparabile a chi esercita un’impresa o una professione, perché quest’ultimo termine, anche se inteso in senso ampio, includendo anche le prestazioni di contenuto professionale o intellettuale non soggette a obbligo di iscrizione, richiede che tali prestazioni siano svolte in rapporto di autonomia e non di dipendenza (Sez. 6, n. 10607 del 07/02/2018, Rv. 273373; Sez. 3, n. 50465 del 18/11/2015, Rv. 266104). Anche la qualifica di vicedirettore della filiale di un istituto di credito, pur attribuendo al sogge poteri dirigenziali, difficilmente può farlo riconnprendere automaticamente tra coloro che esercitano «uffici direttivi delle persone giuridiche», e sarebbe necessario quanto meno verificare, tramite l’esame delle mansioni attribuitegli contrattualmente, l’ampiezza dei suoi poteri e la possibilità di intervenire nella direzione della filiale stessa.
Il ricorrente ha però affermato, allegando la necessaria documentazione, di non avere mai ricoperto il ruolo di vicedirettore, ma di essere stato inquadrato, all’epoca dei fatti come adesso, nel “Livello Quadro”, cioè quello di dipendente con una qualifica intermedia tra dirigente e impiegato, al quale vengono affidate
mansioni importanti per il buon andamento dell’azienda, complesse e di rilevante responsabilità, ma che rimane privo di poteri direttivi.
Alla luce di quanto attestato, pertanto, deve escludersi l’applicabilità al medesimo della misura interdittiva imposta con l’ordinanza impugnata, non essendo la sua figura professionale compresa tra quelle previste dall’art. 290 cod.proc.pen. Il provvedimento applicativo deve, pertanto, essere annullato sul punto, senza rinvio ai sensi dell’art. 620, comma 1, lett. d), cod.proc.pen.
Sulla base delle considerazioni che precedono il ricorso proposto da NOME COGNOME deve, pertanto, essere respinto, e il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese processuali, mentre il ricorso proposto da NOME COGNOME deve essere accolto, e l’ordinanza impugnata deve essere annullata senza rinvio limitatamente all’applicazione al medesimo della misura cautelare interdittiva di cui all’art. 290 cod.proc.pen. Tale decisione deve essere immediatamente comunicata al pubblico ministero competente, per i provvedimenti conseguenti.
P.Q.M.
Annulla senza invio l’ordinanza impugnata nei confronti di COGNOME NOME. Rigetta il ricorso di NOME e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Si comunichi al Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Torino.
Così deciso il 16 maggio 2024
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Il Consigliere estensore
Il Presidente