Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 3074 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 3074 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 04/12/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da COGNOME COGNOME nato a Avellino il 2/06/1999 avverso la sentenza del 26/03/2024 della Corte di appello di Napoli; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME udita la requisitoria del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto che la Corte di Cassazione annulli con rinvio la sentenza impugnata limitatamente alla questione concernente la sospensione del processo con messa alla prova, e rigetti nel resto il ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza impugnata la Corte di appello di Napoli ha parzialmente riformato la decisione del Tribunale di Avellino nei confronti di NOME COGNOME, riqualificando, ex art. 73, comma 5, d.P.R. 9 ottobre 1990 n. 309, la detenzione illecita delle sostanze stupefacenti (80 grammi di hashish, 130 grammi di marijuana e 5,6 grammi di cocaina) descritte nella imputazione, e ha ridotto la pena.
Nel ricorso presentato dal difensore di COGNOME si chiede l’annullamento della sentenza.
2.1. Con il primo motivo di ricorso, si deducono violazione della legge e vizio della motivazione nel condannare COGNOME senza che sia stata accertata l’effettiva capacità drogante delle sostanze da lui detenute in relazione a ogni singola dose, non bastando al riguardo un semplice narcotest.
2.2. Con il secondo motivo di ricorso, si deduce violazione degli artt. 168-bis e 464-bis cod. proc pen. perché la Corte di appello non si è pronunciata sulla richiesta di sospensione del processo con messa alla prova, previa riqualificazione del fatto ex art. 73, comma 5, cit., in effetti decisa nella sentenza, già oggetto del terzo motivo di appello e espressa anche nelle conclusioni davanti al Giudice dell’udienza preliminare.
2.3. Con il terzo motivo del ricorso, si deducono violazione della legge e vizio della motivazione nella omessa pronuncia sulla richiesta di revoca della confisca del denaro e dei 21 telefoni cellulari disposta nel primo grado di giudizio, non essendo stato dimostrato che il denaro fosse provento del delitto e che i cellulari fossero serviti per commetterlo, mentre, nel caso di illecita detenzione di lieve entità va dimostrato il nesso fra il denaro sequestrato e l’attività illecita contestata.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il primo motivo di ricorso è infondato.
La Corte di appello ha esplicitato di aderire alla tesi secondo la quale l’efficacia drogante della sostanza sequestrata può essere desunta da elementi diversi dallo specifico accertamento del principio attivo, come – per quel che rileva nella fattispecie – dalla quantità complessiva sequestrata (elevata con riferimento all’hashish e alla marijuana) e non anche delle singole confezioni.
Deve ribadirsi, al riguardo, che per la configurabilità di una delle condotte di cui all’art. 73 d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, non è indispensabile accertare con una perizia la qualità e la quantità della sostanza stupefacente, ancorché sequestrata, ma può risultare sufficiente anche il solo narcotest, a condizione che il giudice fornisca adeguata motivazione circa la sussistenza di elementi univocamente significativi della tipologia e della entità di tale sostanza (Sez. 6, n. 40044 del 29/09/2022, Rv. 283942), come è avvenuto nella sentenza in esame, poiché i giudici di merito hanno valorizzato dati inequivocabilmente indicativi («quantomeno con riferimento all’hashish e alla marijuana») della quantità e della natura della sostanza stupefacente detenuta.
Il secondo motivo di ricorso è fondato.
Nel caso in esame era stato originariamente contestato all’imputato un reato ex art. 73 d.P.R. 309/90 che non consente l’accesso al beneficio della messa alla prova e per il quale era stato condannato in primo grado.
Tuttavia, come risulta dalla documentazione allegata al ricorso, nel terzo motivo dell’atto di appello il difensore dell’imputato ha chiesto la riqualificazione del fatto ex art. 73, comma 5, d.P.R. 309/90 e la sospensione del processo per ammissione alla messa alla prova, già chiesta al Giudice dell’udienza preliminare, anche allegando (ali. 3) la richiesta, rivolta all’Ufficio di Esecuzione Penale Esterna, della elaborazione di un programma di trattamento.
La sentenza n. 131/2019, della Corte costituzionale ha dichiarato infondate le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 464-bis, comma 2, e 521, comma 1, cod. proc. pen., in riferimento agli artt. 3 e 24, secondo comma, Cost., nella parte in cui non prevedono la possibilità di disporre la sospensione del procedimento con messa alla prova, se iin esito al giudizio, il fatto di reato viene diversamente qualificato dal giudice così da rientrare nel novero dei casi indicati dal primo comma dell’art. 168-bis cod. pen.
Tuttavia, ha osservato che tali disposizioni comunque consentono al giudice, – quando ritenga che, stante la riqualificazione giuridica del fatto contestato, il proprio precedente diniego era ingiustificato p& di ammettere l’imputato alla sospensione del processo con messa alla prova se questi aveva chiesto di accedervi entro i termini di legge. Tale interpretízione non è incompatibile con il contenuto letterale delle disposizioni e risulta l’unica in grado di assicurare un risultato ermeneutico compatibile con i principi costituzionali.
Ne deriva che la Corte di appello, nel riqualificare ex art. 73, comma 5, d.P.R. cit. la condotta, avrebbe dovuto considerare la richiesta di sospensione con messa alla prova, verificando, ex art. 464-quater, comma 3, cod. proc. pen. la sussistenza dei suoi presupposti. Invece, neanche si è pronunciata sulla richiesta.
Pertanto, la sentenza impugnata va annullata relativamente alla omessa risposta alla richiesta di sospensione del processo con messa alla prova con rinvio per nuovo giudizio sul punto.
3. Il terzo motivo di ricorso è infondato.
Nella sentenza si osserva che la somma sequestrata (520 euro) è incompatibile con le condizioni economiche dell’imputato e che, nel corso della perquisizione in un fabbricato diroccato, su uno dei 21 cellulari a disposizione dell’imputato giungevano messaggi, da parte di un soggetto sconosciuto, che dava appuntamento in un luogo precedentemente concordato, a dimostrazione di uno spaccio seriale di sostanze stupefacenti. Su queste basi, non irragionevolmente la
Corte ha ritenuto dimostrato il nesso fra il denaro sequestrato e l’attività illecita contestata.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata limitatamente alla richiesta di sospensione del processo con messa alla prova e rinvia per nuovo giudizio su punto ad altra Sezione della Corte di appello di Napoli. Rigetta nel resto il ricorso.
Cosi decisa il 04/12/2024
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Il Consigli e estensore NOME tanzo GLYPH
SEZIONE VI PENALE
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