Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 12618 Anno 2019
Penale Sent. Sez. 1 Num. 12618 Anno 2019
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 24/01/2019
SENTENZA
sul ricorso proposto da: NOME COGNOME nato a DOMODOSSOLA il 19/06/1958
avverso la sentenza del 19/01/2018 della CORTE APPELLO di TORINO
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME che ha concluso chiedendo
Il Proc. Gen. conclude per l’inammissibilita’
v
La Corte di appello di Torino ha confermato la condanna di NOME COGNOME, pronunciata dal giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Verbania per delitto di fabbricazione, senza licenza dell’Autorità, di un esplosivo o, comun di un congegno micidiale (un biberon della capacità di un litro, da fuoriuscivano dei cavi elettrici collegati a due proiettili), fatto commes Crevoladossola il 7 giugno 2007; ed al contempo ha prosciolto lo stesso da delitto di minaccia grave ai danni di NOME COGNOME realizzato collocando predetto ordigno nei pressi dell’ingresso della Salizzo RAGIONE_SOCIALE, di COGNOME era amministratore delegato, perché estinto per prescrizione; ha quind rideterminato la pena in anni uno, mesi quattro di reclusione ed euro 266,00 multa ed ha confermato le statuizioni civili, consistenti nella condann pagamento, a titolo di risarcimento del danno, della somma di euro 10000,00 i favore della parte civile NOME COGNOME.
1.1. La Corte di appello, dopo aver dato atto delle nuove ricerch dell’imputato, che non aveva dato più notizie di sé da tempo, e di aver sped lettera raccomandata all’indirizzo elvetico che risulta dall’iscrizione dell’im all’AIRE con invito a dichiarare o eleggere domicilio, ha disposto la prosecuzio del giudizio in ragione della ritualità dell’originaria notificazione della c per il giudizio di appello, fatta con consegna di copia al difensore in qu imputato assente.
1.2. Nel confermare la ricostruzione dei fatti operata dal primo giudice in risposta ad un motivo di appello, la Corte territoriale ha ritenuto statuizione sul risarcimento del danno fosse immune da censure perché il prim giudice aveva dato conto delle ragioni del riconoscimento del danno morale della sua liquidazione equitativa.
Avverso la sentenza hanno proposto ricorso i difensori di NOME COGNOME che hanno articolato più motivi.
Con il primo motivo hanno dedotto vizio di violazione di legge per l’omesso accertamento dello stato di vita dell’imputato, nonostante più volte stato rappresentato che questi dal 10 agosto 2015 non ha più dato notizie di che sono state avviate le procedure di nomina di un curatore allo scomparso sensi dell’art. 40 cod. civ. e infine quella per la dichiarazione di assenza.
La Corte di appello, all’udienza del 21 marzo 2017, ha disposto nuove ricerche dell’imputato, anche presso l’indirizzo elvetico risultante dall’isc all’AIRE, ma questi è risultato sconosciuto e non è stato trovato. All’esi
disposto la prosecuzione del giudizio, invece che la sospensione del processo ai sensi dell’art. 420-quater cod. proc. pen., come richiesto dalla difesa.
Con il secondo motivo hanno dedotto difetto di motivazione in punto di conferma della statuizione di condanna, a titolo di risarcimento del danno, in favore della parte civile pari a euro 10.000,00, senza esaminare le specifiche censure contenute nell’atto di appello.
Considerato in diritto
Il ricorso non merita considerazione per le ragioni di seguito esposte.
Come in esso ricordato, questa Corte ha affermato il principio di diritto per il quale “la morte dell’imputato, intervenuta prima della decisione, determina l’inesistenza giuridica della sentenza per essere estinto il reato per morte del reo; infatti il giudice penale ha l’obbligo permanente di accertare lo stato in vita dell’imputato, quale presupposto essenziale del processo” – Sez. 1, n. 18692 del 10/06/2016, dep. 2017, P.G. in proc. Caffiero, Rv. 269865 -. Da tale premessa non può però ricavarsi l’obbligo per il giudice di sospendere il processo, una volta che, disposti gli accertamenti del caso, non risulti l’avvenuto decesso ma soltanto una situazione di mero fatto, di mancata individuazione dell’ultimo luogo di effettiva dimora dell’imputato, che peraltro non può avere incidenza sulle valutazioni circa la correttezza della procedura di notificazione della citazione a giudizio.
2.1. La sospensione del processo per irreperibilità dell’imputato è infatti istituto di recente introduzione, che non trova applicazione nel caso in esame, e ciò in forza della disposizione transitoria contenuta nella legge n. 67 del 2014, che detto istituto ha previsto. In base all’articolo 15-bis della citata legge introdotto a sua volta dalla legge n. 118 del 2014, le disposizioni sulla sospensione del processo per assenza dell’imputato non si riferiscono “ai processi in corso nei quali, alla data di entrata in vigore della legge n. 67, è stata emessa la sentenza di primo grado, né a quelli ancora pendenti in primo grado in cui, nei confronti dell’imputato dichiarato contumace, non è stato emesso il decreto di irreperibilità” – Sez. 1, n. 34911 del 27/06/2017, dep. 2018, P.C. in proc. Napoli e altri, Rv. 273858 -.
2.2. È appena il caso di ricordare che la sentenza di primo grado fu emessa il 28 dicembre 2009, anni prima dell’entrata in vigore della riforma, e che all’udienza preliminare poi conclusasi con la sentenza emessa in esito al
giudizio abbreviato l’imputato era stato dichiarato contumace senza emissione del decreto di irreperibilità.
La Corte di appello ha quindi correttamente disposto la prosecuzione del processo, sia perché non ha accertato l’avvenuto decesso dell’imputato, sia perché la situazione di irreperibilità di fatto, intercorsa ben dopo la sentenza di primo grado, che fu emessa prima dell’entrata in vigore della legge n. 67 del 2014, e la dichiarazione di contumacia fatta in primo grado non giustificano l’applicazione dell’istituto della sospensione del processo.
Il motivo è, per le ragioni dette, manifestamente infondato.
Il secondo motivo è, del pari, manifestamente infondato. La Corte di appello ha adeguatamente motivato la decisione di conferma della condanna al risarcimento del danno morale, ponendo in evidenza come l’intensità del dolo e la gravità complessiva del fatto abbiano necessariamente inciso sulla sofferenza morale della vittima. La motivazione, nei termini appena riassunti, è logicamente coerente ed esaustiva.
Il ricorso deve pertanto essere dichiarato inammissibile. Alla dichiarazione di inammissibilità consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma, equa al caso, di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 24 gennaio 2019
Il con igl re estensore
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Il presidente