Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 43589 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 43589 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 29/10/2024
ORDINANZA
sui ricorsi proposti da:
COGNOME nato a PRATO il DATA_NASCITA
COGNOME NOME nato a FRANCOFORTE SUL MENO( GERMANIA) il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 15/01/2024 della CORTE APPELLO di CALTANISSETTA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Letti i ricorsi e i motivi nuovi (con richiesta di fissazione davanti ad altra sezione) proposti nell’interesse di COGNOME NOME e COGNOME NOME;
rilevato che i ricorsi propongono motivi sostanzialmente sovrapponibili (pur tenuto conto della imputazione ulteriore elevata nei confronti del COGNOME ai sensi dell’art. 648-ter./cod.pen.) e che, dunque, possono essere trattati congiuntamente;
ritenuto che il primo motivo, articolato con argomentazioni sostanzialmente sovrapponibili nel primo e secondo ricorso (con riferimento alle imputazioni rispettivamente ascritte), in punto di accertamento della responsabilità per il delitto di insolvenza fraudolenta per la COGNOME e per il COGNOME ed anche di autoriciclaggio per il solo COGNOME, risulta privo di concreta specificità, in assenza d confronto con le logiche e non censurabili argomentazioni della Corte di appello, così tendendo a prefigurare una rivalutazione delle fonti probatorie e/o un’alternativa ricostruzione dei fatti mediante criteri di valutazione diversi da quell adottati dal giudice del merito, estranee al sindacato del presente giudizio (Sez. 3, n. 18521 del 11/01/2018, COGNOME, Rv. 273217-01, Sez. 5, n. 15041 del 24/10/2018, COGNOME, Rv. 275100-01, Sez. 4, 1219 del 14/09/2017, COGNOME, Rv. 271702-01, Sez. 5, n. 48050 del 02/07/2019, COGNOME, Rv. 277758-01) ed avulse da pertinente individuazione di specifici e decisivi travisamenti di emergenze processuali valorizzate dai giudicanti;
che la mancanza di specificità del motivo deve essere apprezzata non solo per la sua genericità, come indeterminatezza, ma anche per la mancanza di correlazione tra la complessità delle ragioni argomentate nella decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’impugnazione;
che, invero, i giudici del merito hanno correttamente sussunto i fatti, per come ricostruiti, nelle fattispecie oggetto di contestazione e condanna, ampiamente esplicitando le ragioni del loro convincimento (con particolare riferimento quanto al delitto di cui all’art. 641 cod. pen. alle caratteristiche del metodo di pagamento, del modo di proporsi nei confronti della persona offesa, all’atteggiamento idoneo ad ingannare in considerazione della postdatazione del mezzo di pagamento e delle caratteristiche di tale post datazione, nonché quanto all’autoriciclaggio con il richiamo alle attività successivamente poste in essere, anche particolarmente evolute, mediante l’utilizzazione di mezzi informatici al fine di ottenere profitt dalla vendita dei beni provento del delitto presupposto);
che la Corte di appello, nel considerare complessivamente gli elementi emersi in giudizio, ha fatto corretta applicazione del principio di diritto, che qui si inten ribadire, secondo il quale in tema di insolvenza fraudolenta, la prova della
condizione di insolvenza dell’agente, al momento dell’assunzione dell’obbligazione, può essere desunta dal comportamento precedente e successivo all’inadempimento, assumendo rilievo anche il mero silenzio dell’agente, quale forma di dissimulazione del proprio stato (Sez. 2, n. 8893 del 03/02/2017, COGNOME, Rv. 269682-01)
considerato conseguentemente che tali doglianze inerenti alla prova della penale responsabilità ed alla caratterizzazione circostanziale delle condotte imputate sono del tutto prive dei requisiti di specificità previsti, a pena di inammissibilità, dall’art. 581 cod. proc. pen. in quanto si prospettano deduzioni generiche, senza la puntuale enunciazione delle ragioni di diritto giustificanti il ricorso e dei correlati congrui riferimenti alla motivazione dell’atto impugnato;
rilevato, dunque, che la prova della preordinazione può essere desunta anche da argomenti induttivi seri e univoci, ricavabili dal contesto dell’azione, nell’ambito del quale anche il silenzio può acquistare rilievo come forma di preordinata dissimulazione dello stato di insolvenza, quando fin dal momento della stipula del contratto sia già maturo, nel soggetto, l’intento di non far fronte agli obblighi conseguenti, come correttamente ritenuto, sulla base di elementi univoci, con motivazione immune da illogicità, dalla Corte di appello nel caso in esame (Sez. 2, n. 39890 del 22/05/2009, COGNOME, Rv. 245237-01);
osservato che il secondo motivo proposto in termini sovrapponibili da entrambi i ricorrenti, con il quale si ritiene l’intervenuto decorso del termine di prescrizione è manifestamente infondato, atteso che dalla consultazione degli atti emerge come in data 23/01/2019 sia stato concesso un rinvio su istanza dei difensori, al quale non si è opposto il Pubblico ministero, con sospensione del termine di prescrizione sino alla data del rinvio (23/05/2019); che, tuttavia, contrariamente a quanto affermato dai ricorrenti, tale rinvio, concesso su istanza di parte e senza opposizione delle altre parti in giudizio, non si può ritenere riferito, come affermato in ricorso in mancanza di qualsiasi specifica allegazione, ad un legittimo impedimento; che nel verbale di udienza non si richiama un legittimo impedimento e agli atti è presente documentazione medica relativa ad un ricovero riferibile ad una data antecedente alla udienza e per una sola giornata; che tale documentazione correttamente non è stata ritenuta significativa quanto alla effettiva ricorrenza di un impedimento legittimo e della sua durata;
che conseguentemente il periodo decorrente dal 23/01/2019 al 23/05/2019, in assenza di specifica articolazione del motivo ed allegazione puntuale rispetto a quanto sostenuto, deve essere interamente computato in ordine per la individuazione del termine di prescrizione, evidentemente non decorso al momento della decisione da parte della Corte di appello (in data 15/01/2024, tenuto conto della presenza di 99 giorni di sospensione della prescrizione, con
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conseguente individuazione del termine finale di prescrizione nella data del 09/02/2017);
che in tal senso la Corte di appello ha fatto corretta applicazione del principio di diritto, che qui si intende ribadire, secondo il quale in tema di cause di estinzione del reato, il rinvio della trattazione del processo ad una successiva udienza, disposto su richiesta dell’imputato o del suo difensore, comporta la sospensione dei termini di prescrizione, ai sensi dell’art. 159, comma primo, n. 3), cod. pen., quand’anche in quella stessa udienza sia stata svolta attività istruttoria o processuale (Sez. 1, n. 29264 del 24/06/2024, S., Rv. 286903-01);
che secondo l’orientamento giurisprudenziale ormai consolidato in tema di prescrizione del reato, la sospensione del procedimento e il rinvio o la sospensione del dibattimento comportano, senza necessità di un provvedimento formale, la sospensione dei relativi termini ogni qualvolta siano disposti per impedimento dell’imputato o del suo difensore, ovvero su loro richiesta e sempre che l’una o l’altro non siano determinati da esigenze di acquisizione della prova o dal riconoscimento di un termine a difesa (Sez. U, n. 1021 del 28/11/2001, dep. 2002, Cremonese, Rv. 220509-01; Sez.3, n. 23179 del 16/06/2020, COGNOME, Rv. 279861-01; Sez. 7, n. 9466 del 25/11/2014, dep. 2015, Franco, Rv. 262670-01, e Sez. 4, n. 40309 del 04/10/2007, Impero, Rv. 237783-01);
rilevato che, in tal senso, si è puntualmente osservato che è necessario rendere coerente la previsione dell’art. 159, primo comma, n. 3, cod.pen., con le esigenze garantistiche di «imputabilità del rinvio» ed infatti, la disposizione di cui all’art. 159, primo comma, n. 3, cod. pen., in quanto prefigura la sospensione del corso della prescrizione come conseguenza del rinvio «per ragioni di impedimento delle parti e dei difensori ovvero su richiesta dell’imputato o del suo difensore» senza richiedere ulteriori requisiti o presupposti, è ritenuta riferibile, in generale, a tutte le «sospensioni consentite in via generale dall’art. 477 comma 2 c.p.p.», sicché il limite a questa regola, sebbene non direttamente desumibile dal testo dell’art. 159, primo comma, cod. pen., è ricavato, mediante «interpretazione sistematica», dalla disciplina della sospensione dei termini di custodia cautelare, in quanto evocata dal medesimo art. 159, primo comma, cod. pen., e che, all’art. 304 cod. proc. pen., “sterilizza” sospensioni o rinvii «disposti per esigenze di acquisizione della prova o a seguito di concessione di termini per la difesa (Sez. U, n. 1021 del 28/11/2001, dep. 2002, Cremonese, Rv. 220509-01; Sez.3, n. 23179 del 16/06/2020, COGNOME, Rv. 279861-01);
ritenuto che, conseguentemente, «deve ritenersi che escludano l’imputabilità della sospensione o del rinvio sia l’esercizio del diritto alla prova sia, più in generale, l’esercizio del diritto alla difesa, inteso quest’ultimo nel senso delle disposizioni che impongono di riconoscere al difensore un termine “per prendere
cognizione degli atti o per 4 informarsi sui fatti oggetto del procedimento” (art. 108 c.p.p.) o, in generale, alla parte un termine per approntare la difesa (art. 184, 451, 519 c.p.p.).» (Sez. U, n. 1021 del 28/11/2001, dep. 2002, Cremonese, Rv. 220509-01) circostanza non ricorrente nel caso in esame, né tanto meno allegata in alcun modo dalla difesa sia al momento della richiesta di rinvio, che in sede di proposizione del motivo nel giudizio di legittimità, con conseguente imputabilità della richiesta di rinvio ai ricorrenti, da cui deriva la sospensione del corso della prescrizione a norma dell’art. 159, primo comma, n. 3, cod. pen.;
ritenuto, sotto altro profilo, che sarebbe comunque onere della parte, che intenda far valere un legittimo impedimento, documentare la data di cessazione del predetto impedimento al fine di limitare la durata della sospensione del termine di prescrizione, il che, nel caso di specie, non è avvenuto;
rilevato, pertanto, che i ricorsi devono essere dichiarati inammissibili, con la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 29 ottobre 2024.