Sospensione ordine di esecuzione: no se il reato è ostativo, anche se l’aggravante è scontata
La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 47277/2024, ha fornito un importante chiarimento sui limiti della sospensione ordine di esecuzione per i cosiddetti reati ostativi. La Suprema Corte ha stabilito che se un reato rientra nell’elenco di cui all’art. 4 bis dell’ordinamento penitenziario a causa di una specifica aggravante, la sospensione è preclusa, a prescindere dal fatto che la quota di pena relativa a tale aggravante sia già stata di fatto scontata.
I Fatti di Causa
Il caso trae origine dalla decisione di un Giudice dell’esecuzione del Tribunale di Rimini, che aveva respinto l’istanza di un condannato volta a ottenere la sospensione dell’ordine di carcerazione. La condanna riguardava il reato di spaccio di sostanze stupefacenti, previsto dall’art. 73 del d.P.R. 309/90, ma aggravato ai sensi dell’art. 80, comma 2, dello stesso decreto.
Proprio questa aggravante faceva rientrare il reato nell’elenco dei delitti ‘ostativi’ previsti dall’art. 4 bis dell’ordinamento penitenziario. Di conseguenza, il Giudice aveva applicato il divieto di sospensione stabilito dall’art. 656, comma 9, lettera a, del codice di procedura penale.
La Tesi del Ricorrente e il Ricorso in Cassazione
Il condannato, attraverso il suo difensore, ha presentato ricorso in Cassazione, sostenendo un’erronea applicazione della legge. La tesi difensiva si fondava su un’argomentazione precisa: l’unico elemento che rendeva il reato ‘ostativo’ era l’aggravante. Poiché la quota di pena attribuibile a tale aggravante era già stata interamente coperta dal periodo di custodia cautelare sofferto (il cosiddetto ‘presofferto’), secondo la difesa non vi era più motivo di negare la sospensione dell’esecuzione per la pena residua, relativa al solo reato base.
In sostanza, una volta ‘espiata’ la parte di pena legata alla circostanza che impediva il beneficio, il divieto non avrebbe più dovuto operare.
Le Motivazioni della Cassazione sul divieto di sospensione ordine di esecuzione
La Corte di Cassazione ha rigettato completamente questa tesi, dichiarando il ricorso inammissibile per manifesta infondatezza. I giudici hanno chiarito un principio fondamentale: il divieto di sospensione ordine di esecuzione previsto dall’art. 656 c.p.p. non si lega all’entità della pena residua, ma alla natura del reato per cui è intervenuta la condanna.
Il rinvio che la norma fa all’art. 4 bis dell’ordinamento penitenziario è un rinvio a un elenco di ‘figure di reato’ considerate dal legislatore di particolare gravità. Quando un reato, per la sua struttura (inclusa la presenza di aggravanti), rientra in questo elenco, la sua pericolosità sociale è presunta in via assoluta ai fini della concessione del beneficio.
Il fattore decisivo è il riconoscimento, avvenuto in fase di cognizione (cioè durante il processo che ha portato alla condanna), della sussistenza dell’aggravante. Una volta che il giudice ha accertato che il fatto è stato commesso con quella specifica aggravante, il reato assume una connotazione di gravità che lo caratterizza in modo indelebile per tutta la fase esecutiva. Pertanto, è del tutto irrilevante che la porzione di pena relativa all’aggravante sia stata, in tesi, già scontata. Il divieto, ha spiegato la Corte, è ricollegato ‘alle particolari caratteristiche del fatto’ e non a un mero calcolo aritmetico sulla pena.
Conclusioni
La sentenza ribadisce un orientamento consolidato: l’inapplicabilità della sospensione dell’esecuzione per i reati ostativi è una scelta del legislatore legata alla tipologia del crimine commesso. La qualificazione giuridica del fatto, come cristallizzata nella sentenza di condanna, è l’unico elemento che conta. Se tale qualificazione include un’aggravante che inserisce il reato nell’elenco dell’art. 4 bis ord. pen., il divieto di sospensione opera in modo automatico e invalicabile, senza che si possa procedere a ‘scomputare’ idealmente la porzione di pena legata alla circostanza ostativa.
È possibile ottenere la sospensione dell’ordine di esecuzione per un reato aggravato previsto dall’art. 4 bis ord. pen.?
No, la sentenza conferma che per i reati inclusi nell’elenco dell’art. 4 bis dell’ordinamento penitenziario, come il delitto di cui all’art. 73 d.P.R. 309/90 aggravato ai sensi dell’art. 80 co. 2, vige un espresso divieto di legge alla sospensione, come stabilito dall’art. 656, comma 9, lettera a, del codice di procedura penale.
Se la parte di pena relativa all’aggravante che rende il reato ‘ostativo’ è già stata scontata, si può chiedere la sospensione per la pena residua?
No, la Corte di Cassazione ha stabilito che ciò è irrilevante. Il divieto di sospensione è collegato al tipo di reato commesso e alla sua qualificazione giuridica stabilita in sentenza, non al calcolo della pena residua. La natura del reato, una volta accertata, impedisce la sospensione indipendentemente da quanta pena sia già stata espiata.
Cosa determina l’impossibilità di sospendere l’esecuzione della pena per questi reati?
L’impossibilità è determinata dalla natura stessa del reato, considerato dal legislatore di particolare gravità. Il riconoscimento in sede di condanna di una circostanza aggravante che fa rientrare il reato nell’elenco dell’art. 4 bis ord. pen. è il fattore decisivo. La legge collega a questa qualificazione giuridica il divieto di sospensione, non all’entità della pena ancora da scontare.
Testo del provvedimento
Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 47277 Anno 2024
In nome del Popolo Italiano
Penale Sent. Sez. 1 Num. 47277 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 25/10/2024
PRIMA SEZIONE PENALE
– Presidente –
NOME COGNOME
CC – 25/10/2024
R.G.N. 28471/2024
NOME COGNOME
SENTENZA
sul ricorso proposto da: COGNOME nato in ALBANIA il 21/12/1981; avverso l’ordinanza del 03/04/2024 del GIP TRIBUNALE di Rimini;
vista la relazione del Consigliere NOME COGNOME vista la requisitoria del Sost. Procuratore Generale NOME COGNOME che ha concluso per la declaratoria di inammissibilità del ricorso; in procedura a trattazione scritta.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza emessa in data 3 aprile 2024 il GIP del Tribunale di Rimini – quale giudice della esecuzione – ha respinto l’istanza introdotta da NOME COGNOME tesa ad ottenere la sospensione dell’ordine di esecuzione emesso dal Pubblico Ministero.
In motivazione si evidenzia che il titolo – al di là della entità del residuo pena – non può essere sospeso perchŁ riguarda la condanna per il delitto di cui all’artr. 73 dPR n.309/90 aggravato ai sensi dell’art.80 comma 2 medesimo dPR. Si tratta di fattispecie che rientra nell’elenco di cui all’art.4 bis ord.pen. e pertanto vi Ł espresso divieto di legge alla sospensione (art. 656 comma 9 lettera a cod.proc.pen.) .
Avverso detta ordinanza ha proposto ricorso per cassazione – a mezzo del difensore – NOME COGNOME deducendo erronea applicazione di legge.
Secondo la difesa Ł esclusivamente l’aggravante di cui all’art.80 comma 2 dPR n.309 del 1990 a determinare l’attrazione del fatto di reato nel cono applicativo di cui all’art.4 bis ord.pen. Pertamto, una volta che la quota di pena riferibile a detta aggravante sia stata scontata (perchŁ rientrante nel presofferto), non vi sarebbe ragione di escludere la applicabilità della sospensione del titolo, residuando il solo reato di cui all’art.73 (comma 1 o comma 4) del dPR n.309 del 1990.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1Il ricorso va dichiarato inammissibile per la manifesta infondatezza dei motivi addotti.
2. Ed invero, come Ł stato piø volte evidenziato nei precedenti sul tema, il rinvio che l’art.656 cod.proc.pen. realizza ai reati di cui all’art. 4 bis ord.pen. si riferisce – appunto – alle figure di reato in quanto tali, come si suole dire, all’elenco.
La inapplicabilità della sospensione Ł dunque ricollegata al tipo di reato commesso che, in quanto inserito nella particolare disposizione di ordinamento penitenziario, viene ritenuto di particolare gravità.
In ipotesi di reato contemplato nella disposizione di ordinamento penitenziario se ed in quanto circostanziato (come Ł nel caso in esame) ad essere decisivo Ł il riconoscimento, in sede di cognizione, della sussistenza della particolare aggravante. A nulla rileva l’entità di pena ad essa ricollegata (in tesi già scontata) posto che il divieto di fruizione della sospensione Ł – come si Ł detto – ricollegato alle particolari caratteristiche del fatto (v. per tutte Sez. I n. 20796 del 2019, rv 276312).
Alla declaratoria di inammissibilità consegue ai sensi dell’art. 616 cod.proc.pen. la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in mancanza di elementi atti ad escludere la colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, la condanna al versamento di una somma di denaro in favore della cassa delle ammende che stimasi equo determinare in euro 3.000,00 .
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così Ł deciso, 25/10/2024
Il Consigliere estensore COGNOME
Il Presidente NOME COGNOME