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Sospensione ordine di esecuzione: la Cassazione decide

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un condannato che chiedeva la sospensione dell’ordine di esecuzione. La richiesta era basata sull’idea che la parte di pena per l’aggravante ostativa fosse già stata scontata. La Corte ha ribadito che il divieto di sospensione ordine di esecuzione per i reati gravi, come quelli legati agli stupefacenti con aggravanti specifiche, dipende dalla natura del reato stesso e non dal calcolo della pena residua. La gravità del fatto, una volta accertata in giudizio, preclude la sospensione.

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Pubblicato il 12 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Sospensione ordine di esecuzione: no se il reato è ostativo, anche se l’aggravante è scontata

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 47277/2024, ha fornito un importante chiarimento sui limiti della sospensione ordine di esecuzione per i cosiddetti reati ostativi. La Suprema Corte ha stabilito che se un reato rientra nell’elenco di cui all’art. 4 bis dell’ordinamento penitenziario a causa di una specifica aggravante, la sospensione è preclusa, a prescindere dal fatto che la quota di pena relativa a tale aggravante sia già stata di fatto scontata.

I Fatti di Causa

Il caso trae origine dalla decisione di un Giudice dell’esecuzione del Tribunale di Rimini, che aveva respinto l’istanza di un condannato volta a ottenere la sospensione dell’ordine di carcerazione. La condanna riguardava il reato di spaccio di sostanze stupefacenti, previsto dall’art. 73 del d.P.R. 309/90, ma aggravato ai sensi dell’art. 80, comma 2, dello stesso decreto.

Proprio questa aggravante faceva rientrare il reato nell’elenco dei delitti ‘ostativi’ previsti dall’art. 4 bis dell’ordinamento penitenziario. Di conseguenza, il Giudice aveva applicato il divieto di sospensione stabilito dall’art. 656, comma 9, lettera a, del codice di procedura penale.

La Tesi del Ricorrente e il Ricorso in Cassazione

Il condannato, attraverso il suo difensore, ha presentato ricorso in Cassazione, sostenendo un’erronea applicazione della legge. La tesi difensiva si fondava su un’argomentazione precisa: l’unico elemento che rendeva il reato ‘ostativo’ era l’aggravante. Poiché la quota di pena attribuibile a tale aggravante era già stata interamente coperta dal periodo di custodia cautelare sofferto (il cosiddetto ‘presofferto’), secondo la difesa non vi era più motivo di negare la sospensione dell’esecuzione per la pena residua, relativa al solo reato base.

In sostanza, una volta ‘espiata’ la parte di pena legata alla circostanza che impediva il beneficio, il divieto non avrebbe più dovuto operare.

Le Motivazioni della Cassazione sul divieto di sospensione ordine di esecuzione

La Corte di Cassazione ha rigettato completamente questa tesi, dichiarando il ricorso inammissibile per manifesta infondatezza. I giudici hanno chiarito un principio fondamentale: il divieto di sospensione ordine di esecuzione previsto dall’art. 656 c.p.p. non si lega all’entità della pena residua, ma alla natura del reato per cui è intervenuta la condanna.

Il rinvio che la norma fa all’art. 4 bis dell’ordinamento penitenziario è un rinvio a un elenco di ‘figure di reato’ considerate dal legislatore di particolare gravità. Quando un reato, per la sua struttura (inclusa la presenza di aggravanti), rientra in questo elenco, la sua pericolosità sociale è presunta in via assoluta ai fini della concessione del beneficio.

Il fattore decisivo è il riconoscimento, avvenuto in fase di cognizione (cioè durante il processo che ha portato alla condanna), della sussistenza dell’aggravante. Una volta che il giudice ha accertato che il fatto è stato commesso con quella specifica aggravante, il reato assume una connotazione di gravità che lo caratterizza in modo indelebile per tutta la fase esecutiva. Pertanto, è del tutto irrilevante che la porzione di pena relativa all’aggravante sia stata, in tesi, già scontata. Il divieto, ha spiegato la Corte, è ricollegato ‘alle particolari caratteristiche del fatto’ e non a un mero calcolo aritmetico sulla pena.

Conclusioni

La sentenza ribadisce un orientamento consolidato: l’inapplicabilità della sospensione dell’esecuzione per i reati ostativi è una scelta del legislatore legata alla tipologia del crimine commesso. La qualificazione giuridica del fatto, come cristallizzata nella sentenza di condanna, è l’unico elemento che conta. Se tale qualificazione include un’aggravante che inserisce il reato nell’elenco dell’art. 4 bis ord. pen., il divieto di sospensione opera in modo automatico e invalicabile, senza che si possa procedere a ‘scomputare’ idealmente la porzione di pena legata alla circostanza ostativa.

È possibile ottenere la sospensione dell’ordine di esecuzione per un reato aggravato previsto dall’art. 4 bis ord. pen.?
No, la sentenza conferma che per i reati inclusi nell’elenco dell’art. 4 bis dell’ordinamento penitenziario, come il delitto di cui all’art. 73 d.P.R. 309/90 aggravato ai sensi dell’art. 80 co. 2, vige un espresso divieto di legge alla sospensione, come stabilito dall’art. 656, comma 9, lettera a, del codice di procedura penale.

Se la parte di pena relativa all’aggravante che rende il reato ‘ostativo’ è già stata scontata, si può chiedere la sospensione per la pena residua?
No, la Corte di Cassazione ha stabilito che ciò è irrilevante. Il divieto di sospensione è collegato al tipo di reato commesso e alla sua qualificazione giuridica stabilita in sentenza, non al calcolo della pena residua. La natura del reato, una volta accertata, impedisce la sospensione indipendentemente da quanta pena sia già stata espiata.

Cosa determina l’impossibilità di sospendere l’esecuzione della pena per questi reati?
L’impossibilità è determinata dalla natura stessa del reato, considerato dal legislatore di particolare gravità. Il riconoscimento in sede di condanna di una circostanza aggravante che fa rientrare il reato nell’elenco dell’art. 4 bis ord. pen. è il fattore decisivo. La legge collega a questa qualificazione giuridica il divieto di sospensione, non all’entità della pena ancora da scontare.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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