Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 21511 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 1 Num. 21511 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 08/05/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato in Marocco il 23/06/1976;
avverso la ordinanza del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Busto Arsizio, in funzione di giudice dell’esecuzione, del 20/02/2025;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
lette le conclusioni del Pubblico ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto l’annullamento con rinvio dell’ordinanza impugnata.
RITENUTO IN FATTO
Con l’ordinanza in epigrafe il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Busto Arsizio, in funzione di giudice dell’esecuzione, ha respinto la richiesta avanzata nell’interesse di Abehhar 3awad e volta ad ottenere la sospensione dell’ordine di esecuzione, ai sensi dell’art. 656, comma 5, cod. proc. pen., della pena inflittagli con sentenza pronunciata dal medesimo Giudice in data 29 febbraio 2024 per violazione dell’art. 73, comma 4, d.P.R. 309/90, con l’aggravante di cui all’art.80, comma 2, del medesimo decreto legislativo.
1.1. In particolare, l’istanza era diretta ad ottenere la scissione delle pene inflitte con detta sentenza e – stante l’avvenuta espiazione, a titolo di presofferto, della quota di pena di mesi sei irrogata per l’aggravante sopra indicata che impedirebbe la sospensione dell’ordine di esecuzione – la conseguente scarcerazione del condannato, per consentirgli di presentare domanda di misure alternative alla detenzione.
1.2. Il giudice dell’esecuzione ha, invece, evidenziato che al momento della emissione dell’ordine di esecuzione (avvenuta il giorno 12 novembre 2024) la invocata sospensione non poteva essere disposta atteso che la quota di pena inflitta per la sopra citata aggravante, a quel momento, non era stata ancora espiata.
Avverso la predetta ordinanza il condannato, per mezzo dell’avv. NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione affidato ad un unico motivo, di seguito riprodotto nei limiti di cui all’art. 173 disp. att. cod. proc. pen., insisten per il suo annullamento.
Il ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen., la violazione di legge con riferimento alla mancata applicazione dell’art. 656, comma 5, del codice di rito da parte, prima dell’organo dell’esecuzione, e poi del giudice dell’esecuzione per non avere tenuto conto che, al momento della emissione dell’ordine di esecuzione, egli aveva già espiato la quota di ‘pena inflitta per l’aggravante ostativa di cui all’art. 80, comma 2, d.P.R. 309/90, di talché l’esecuzione della pena doveva essere sospesa.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è manifestamente infondato è, pertanto, deve essere dichiarato inammissibile.
Invero, ai sensi dell’art. 656, comma 5, cod. proc. pen. quando la pena detentiva da eseguire per effetto del passaggio in giudicato di una sentenza o della formazione di un provvedimento di cumulo è inferiore ai quattro anni, anche quale porzione residua di una pena maggiore, il pubblico ministero competente emette l’ordine di carcerazione e, contestualmente, il decreto di sospensione di esso, onde consentire al condannato di presentare al tribunale di sorveglianza una richiesta di misura alternativa alla detenzione.
Dunque, al momento del passaggio in giudicato della sentenza o della formazione del cumulo l’emissione dell’ordine di carcerazione è preceduta da una fase incidentale che è diretta a verificare se vi siano le condizioni per la concessione della liberazione anticipata in relazione a eventuali periodi di presofferto e, in questo modo, se la pena residua, eventualmente superiore ai quattro anni di reclusione, possa essere abbassata, in modo da rientrare nei limiti previsti dal comma 5, così consentendo la sospensione dell’ordine di carcerazione e l’eventuale accesso a una misura alternativa, evitando l’ingresso in carcere.
2.2. Questa possibilità, tuttavia, non è data ove la sentenza o il cumulo riguardino uno dei delitti previsti dall’art. 4-bis Ord. pen. In questi casi, infatti, ferma restando la possibilità di concedere la liberazione anticipata per il presofferto, la trasmissione degli atti al magistrato di sorveglianza avviene dopo
l’emissione dell’ordine di carcerazione, sicché l’eventuale concessione del beneficio non incide sull’esecuzione della pena, che avrà comunque inizio. E in ipotesi siffatte, qualora il condannato sia successivamente ammesso alla liberazione anticipata in questione, anche se la pena residua dovesse essere inferiore al limite previsto dal comma 5 dell’art. 656, il pubblico ministero non potrebbe sospendere, comunque, l’esecuzione della pena, posto che, in relazione al titolo de quo, il condannato era stato in precedenza detenuto (ex plurimis Sez. 1, n. 6779 del 25/01/2005, Salvatore, Rv. 232938 – 01, secondo cui la sospensione dell’esecuzione della pena ai sensi dell’art. 656, comma 5, cod. proc. pen. non è applicabile a coloro che, al sopravvenire di un nuovo titolo definitivo, si trovino già detenuti in espiazione di una pena per altra causa, ma riguarda soltanto i condannati in stato di libertà, trattandosi di istituto volto a impedire l’ingresso i carcere di coloro che possono aspirare ad uno dei regimi alternativi alla detenzione; in termini, nella giurisprudenza successiva, v. Sez. 1, n. 42637 del 27/05/2022, COGNOME, Rv. 283688 – 01; Sez. 1, n. 29940 del 29/10/2015, dep. 2016, COGNOME, Rv. 267325 – 01; Sez. 1, n. 24918 del 27/05/2009, COGNOME, Rv. 244652 – 01; Sez. 1, n. 9213 del 31/01/2008, COGNOME Rv. 239218 – 01).
Orbene, alla luce dei principi sopra richiamati, l’ordinanza impugnata non appare censurabile avendo il giudice dell’esecuzione osservato che – al momento della emissione dell’ordine di esecuzione – la pena inflitta per l’aggravante sopra indicata non era stata ancora espiata, di talché la invocata sospensione dell’ordine di esecuzione non poteva essere disposta stante la preclusione espressamente prevista per i reati ricompresi nell’art. 4-bis Ord. pen.
In particolare, come risulta dall’ordine di esecuzione in atti (che questa Corte è autorizzata a compulsare in ragione del vizio lamentato), alla data di emissione di detto ordine (12 novembre 2024) l’odierno ricorrente non aveva espiato nemmeno parzialmente – la pena di anni tre e mesi quattro di reclusione inflittagli con la sopra indicata sentenza del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Busto Arsizio, con la conseguenza che la relativa esecuzione non poteva essere sospesa non essendo stato espiata la parte di pena relativa all’aggravante di cui al citato art. 80.
Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso segue la condanna del ricorrente, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., al pagamento delle spese processuali e, non sussistendo elementi per ritenere che abbia proposto la presente impugnativa senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al versamento della somma equitativamente liquidata in euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, 1’8 maggio 2025.