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Sospensione esecuzione pena: la Cassazione decide

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 36919/2024, ha stabilito che la sospensione dell’esecuzione della pena per un condannato per reati ostativi, che abbia intrapreso un programma terapeutico, è possibile solo se questi si trova già agli arresti domiciliari presso una comunità. La Corte ha rigettato il ricorso di un condannato che aveva iniziato il percorso da libero, affermando che la diversa disciplina non è incostituzionale. La ratio risiede nella necessità di un controllo preventivo da parte dell’autorità giudiziaria, presente nel caso degli arresti domiciliari ma assente per chi intraprende il percorso in stato di libertà.

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Pubblicato il 9 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Sospensione Esecuzione Pena: Quando il Programma Terapeutico Non Basta

La Corte di Cassazione, con la recente sentenza n. 36919/2024, è intervenuta su un tema delicato: la possibilità di ottenere la sospensione esecuzione pena per un condannato per reati gravi che sta seguendo un programma di recupero per tossicodipendenza. La decisione chiarisce una distinzione fondamentale: quella tra chi intraprende tale percorso in stato di libertà e chi lo fa trovandosi già agli arresti domiciliari in una comunità. Questa differenza, come vedremo, è decisiva per la legge.

I Fatti del Caso

Il caso riguarda un individuo condannato in via definitiva a una pena di sette anni e quattro mesi di reclusione per reati legati agli stupefacenti, tra cui il grave delitto di associazione finalizzata al traffico di droga (art. 74 d.P.R. 309/90), un reato considerato ‘ostativo’. Al momento del passaggio in giudicato della sentenza, l’uomo aveva già intrapreso un percorso di recupero terapeutico presso una comunità, ma si trovava in stato di libertà. Aveva quindi presentato un’istanza per ottenere la declaratoria di inefficacia del titolo esecutivo e la sospensione dell’ordine di carcerazione, ai sensi dell’art. 94 d.P.R. n. 309/90, al fine di poter proseguire il programma.

La Corte di Appello di Roma aveva respinto la richiesta, basandosi su un’interpretazione letterale dell’art. 656 del codice di procedura penale. Di qui, il ricorso in Cassazione, in cui la difesa ha lamentato non solo una violazione di legge, ma ha anche sollevato una questione di legittimità costituzionale per disparità di trattamento.

La Questione Giuridica sulla Sospensione Esecuzione Pena

Il fulcro della questione è l’interpretazione del combinato disposto degli articoli 94 d.P.R. 309/90 e 656, comma 9, lett. a), cod. proc. pen. La normativa prevede un’eccezione alla regola generale dell’immediata esecuzione della pena per i reati ostativi. Tale eccezione, tuttavia, è espressamente limitata a ‘coloro che siano agli arresti domiciliari’ e stiano seguendo un programma terapeutico.

Il ricorrente sosteneva che questa norma creasse un’irragionevole disparità di trattamento: perché favorire chi è già sottoposto a una misura cautelare (gli arresti domiciliari) rispetto a chi, da libero, dimostra la volontà di recuperare? Secondo la difesa, una tale distinzione violerebbe i principi di uguaglianza (art. 3 Cost.) e la finalità rieducativa della pena (art. 27 Cost.), impedendo a un soggetto di proseguire un percorso di recupero già avviato.

Le Motivazioni della Cassazione

La Suprema Corte ha respinto il ricorso, giudicandolo infondato. Le motivazioni si basano su due pilastri principali.

In primo luogo, l’interpretazione letterale della norma. I giudici hanno sottolineato che il testo dell’art. 656 cod. proc. pen. è ‘insuperabile’ e di ‘stretta interpretazione’. La disposizione è chiara nel limitare l’eccezione ai soli soggetti che si trovano agli arresti domiciliari in comunità ai sensi dell’art. 89 d.P.R. 309/90. Qualsiasi interpretazione estensiva sarebbe inammissibile.

In secondo luogo, la Corte ha dichiarato manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale. La differenza di trattamento, secondo i giudici, è pienamente giustificata. Le due situazioni – quella del soggetto libero e quella del soggetto agli arresti domiciliari – non sono assimilabili. Chi si trova agli arresti domiciliari per seguire un programma terapeutico è già stato sottoposto al controllo dell’autorità giudiziaria, che ne ha valutato la situazione e ha vigilato sull’osservanza delle prescrizioni. Questo ‘controllo preventivo’ offre garanzie che mancano nel caso di un soggetto che intraprende il medesimo percorso in stato di libertà. A fronte della particolare gravità dei reati ostativi, il legislatore ha ritenuto necessario contemperare l’interesse del condannato al recupero con l’esigenza di sicurezza sociale, rendendo indispensabile una verifica giudiziaria preliminare.

Conclusioni

La sentenza ribadisce un principio rigoroso: per i condannati per reati ostativi, la sola volontà di intraprendere un percorso di recupero non è sufficiente a paralizzare l’esecuzione della pena detentiva. La legge richiede un quid pluris, ovvero che tale percorso sia iniziato all’interno di un regime di controllo giudiziario, come quello degli arresti domiciliari in comunità. L’esecuzione della pena in carcere, in questi casi, non preclude al condannato di accedere successivamente al programma di recupero, ma rappresenta una fase preliminare di osservazione ritenuta necessaria dal legislatore per bilanciare le finalità rieducative con le esigenze di tutela della collettività.

È possibile ottenere la sospensione dell’esecuzione di una pena per un reato ostativo se si sta seguendo un programma terapeutico in stato di libertà?
No. La sentenza chiarisce che per i delitti ostativi (come quelli dell’art. 4-bis O.P.), la sospensione dell’esecuzione della pena è concessa, in via eccezionale, solo a coloro che si trovano già agli arresti domiciliari disposti per seguire un programma terapeutico prima che la sentenza diventi definitiva.

Perché la legge tratta diversamente un condannato in programma terapeutico libero da uno agli arresti domiciliari in comunità?
Secondo la Corte di Cassazione, le due situazioni non sono uguali. La persona agli arresti domiciliari in comunità è già sottoposta al controllo e alla vigilanza dell’autorità giudiziaria, che ha potuto verificare la sua reale disponibilità ad aderire al programma. Questa garanzia manca nel caso di chi intraprende il percorso da libero, giustificando un trattamento più rigoroso a fronte della gravità dei reati commessi.

La differenza di trattamento tra queste due categorie di condannati è incostituzionale?
No. La Corte ha ritenuto la questione di legittimità costituzionale manifestamente infondata. La disparità di trattamento è considerata ragionevole e giustificata dalla necessità di un controllo più approfondito da parte del magistrato di sorveglianza per i condannati per reati gravi, bilanciando così l’esigenza di recupero del singolo con quella di sicurezza della collettività.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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