Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 22066 Anno 2025
In nome del Popolo Italiano
PRIMA SEZIONE PENALE
Penale Sent. Sez. 1 Num. 22066 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 02/04/2025
Presidente –
NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME
Relatore –
SENTENZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME nato a ROMA il 12/10/1973 avverso la sentenza del 09/10/2024 della CORTE MILITARE APPELLO di Roma Visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME COGNOME che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso letta la memoria depositata dai difensori
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 9 ottobre 2024 la Corte militare di appello ha confermato quella emessa il 23 gennaio 2024 dal Tribunale militare di Verona nei confronti di NOME COGNOME all’epoca dei fatti Maresciallo del 2° Reggimento Alpini, che Ł stato ritenuto responsabile del reato di diffamazione militare pluriaggravata continuata (artt. 227, comma secondo e 47, n. 2, cod. pen. mil. pace) in danno del Colonnello NOME COGNOME e assolto per l’analogo reato in danno del Generale NOME COGNOME
La condotta ascritta e ritenuta provata in capo all’imputato Ł consistita nella pubblicazione sul proprio sito internet (www.carlochiariglione.com), oltre che nell’invito a leggere, un articolo, da egli stesso redatto, dal titolo «Esercito Italiano: la morte del Caporal Maggiore COGNOME tragica casualità? sfortuna?».
Nella pubblicazione si Ł fatto riferimento alla riunione del 4 e 5 febbraio della Commissione di Avanzamento per gli Ufficiali e l’autore si sØ soffermato, in particolare, sulla figura del Colonnello COGNOME (uno degli Ufficiali sottoposti alla valutazione della Commissione), Comandante del Battaglione Saluzzo all’epoca del suo schieramento in Afghanistan al momento del decesso del Caporal Maggiore COGNOME.
COGNOME Ł stato indicato, sostanzialmente, come corresponsabile del decesso del militare e autore di comportamenti improntati alla codardia in occasione dell’agguato mortale e, comunque, persona non in possesso di adeguate qualità morali e professionali, essendo autore di condotte vessatorie determinanti anche azioni suicidiarie e violenze psicologiche varie.
Con riguardo all’agguato nel quale ha perso la vita il militare COGNOME, inoltre, la pubblicazione ha descritto uno svolgimento dei fatti diverso da quello contenuto nella motivazione dell’onorificenza conferita al Generale COGNOME per la condotta tenuta nell’occasione; condotta improntata, secondo quanto esposto nella pubblicazione, a valori del tutto diversi dal coraggio e dall’onore.
Nel capo di imputazione Ł stato integralmente riprodotto il contenuto della pubblicazione ritenuta diffamatoria.
Respinta, preliminarmente e con ampia motivazione, l’eccezione di difetto di giurisdizione
militare sollevata dalla difesa in ragione dello status di servizio dell’imputato alla data di pubblicazione dell’articolo, la Corte militare di appello ha evidenziato come, sulla scorta del contenuto della sentenza di primo grado, la rilevanza penale delle condotte diffamatorie, complessivamente ascritte all’imputato, sia stata limitata ai fatti inerenti l’agguato del 2012 in Afghanistan nel quale ha trovato la morte il Caporal Maggiore COGNOME essendo rimaste le residue vicende fuori dall’ambito di valutazione del primo giudice in quanto non consistenti nell’attribuzione di un «fatto determinato».
Nella ricostruzione del ruolo e della condotta del Colonnello COGNOME in occasione degli avvenimenti in cui COGNOME Ł deceduto e nella utilizzazione di toni allusivi, ambigui e obliqui nella pubblicazione, i giudici di merito hanno ravvisato la piena integrazione del reato contestato.
Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione NOME COGNOME per mezzo dei propri difensori fiduciari, articolando quattro motivi.
2.1. Con il primo ha eccepito illogicità della motivazione, violazione di legge penale e inosservanza di norme processuali stabilite a pena di nullità per avere la Corte militare di appello ritenuto che il sottoufficiale sospeso dall’impiego debba essere considerato «in servizio alle armi» e, dunque, essere sottoposto alla giurisdizione del Tribunale militare.
Il ricorrente, infatti, all’epoca dei fatti, ossia nel febbraio 2011, era stato sospeso disciplinarmente dall’impiego per dodici mesi, giusta decreto del Direttore Generale del Ministero della Difesa in data 7 gennaio 2011, notificato il successivo 11 gennaio.
Pertanto, alla luce del combinato disposto degli artt. 1, 5 e 263 cod. pen. mil. pace, per come interpretati dalla giurisprudenza di legittimità, non poteva essere considerato «in servizio» alla data di pubblicazione dell’articolo dal contenuto (ritenuto) diffamante.
In senso contrario non potrebbero ritenersi condivisibili le ampie considerazioni svolte dalla Corte militare di appello anche perchØ supportate dal richiamo a fonti, quali la «Guida Tecnica Procedure Disciplinari» della Direzione generale del personale militare del Ministero della Difesa, prive di forza di legge e, dunque, inidonee a prevalere sull’inequivoco dato normativo primario.
2.2. Con il secondo motivo, ha eccepito il vizio di manifesta illogicità della motivazione, anche per travisamento della prova, per non essere stata ritenuta configurabile la scriminante del diritto di critica con riguardo al conferimento dell’onorificenza al Generale COGNOME e ai fatti relativi alla morte del Caporal Maggiore COGNOME.
Lo svolgimento dei fatti in termini diversi da quanto riportato nella motivazione dell’onorificenza conferita all’Ufficiale sarebbe emerso in maniera chiara all’esito dell’istruttoria e ciò avrebbe giustificato la configurabilità della causa di giustificazione.
Nel corso del dibattimento di primo grado sono stati escussi militari presenti al momento dell’agguato mortale e dalla disamina delle relative dichiarazioni si evincerebbe come l’imputato abbia soltanto esercitato il proprio diritto di rappresentare lo svolgimento dei fatti in termini coerenti con le acquisizioni istruttorie, peraltro diverse da quelle che hanno portato a concedere l’onorificenza al Generale COGNOME.
In sostanza, COGNOME si sarebbe limitato a rappresentare lo svolgimento dei fatti segnalando l’inadeguatezza della condotta dell’Ufficiale nel libero esercizio del proprio diritto di critica.
Laddove, poi, la Corte militare si Ł soffermata sulla allusiva accusa di codardia della persona offesa, si sarebbe consumato un vero e proprio travisamento della prova a causa del mancato effettivo confronto con le deposizioni testimoniali che hanno confermato il ripiegamento deciso dall’Ufficiale in conseguenza dell’agguato, proprio come descritto nell’articolo che, peraltro, non ha, in alcun modo, indicato atteggiamenti vili del Generale.
2.3. Con il terzo motivo Ł stata eccepita la manifesta illogicità della interpretazione della sentenza di primo grado laddove ha ritenuto che le affermazioni dell’articolo diffamatorio in punto di
atti di vessazione del Generale COGNOME e di incompleto addestramento dei militari non fossero suscettibili di essere scriminate dall’esercizio del diritto di critica in quanto escluse dall’area della penale responsabilità.
In sostanza, secondo la Corte militare di appello, dal contenuto della sentenza di primo grado dovrebbe desumersi che COGNOME sia stato ritenuto responsabile della diffamazione con esclusivo riferimento alle affermazioni riferite alla vicenda dell’attentato in Afghanistan in occasione del quale Ł deceduto il Caporal Maggiore COGNOME
Le altre affermazioni diffamatorie sarebbero state escluse dall’area della responsabilità penale in base ad alcuni passaggi della motivazione espressamente riportati; ciò in quanto le circostanze diverse da quelle inerenti l’agguato sono state descritte nella pubblicazione in termini generici e tali da non integrare l’attribuzione del fatto determinato.
Da ciò anche l’impossibilità di ritenere deducibile l’exceptio veritatis.
A dire del ricorrente, stante la mancata precisazione della parziale pronuncia assolutoria (arbitrariamente ricavata dai giudici di appello) l’eccezione di verità avrebbe dovuto ritenersi ammissibile e, addirittura, provata alla luce delle dichiarazioni testimoniali acquisite nel corso del dibattimento di primo grado.
Conseguentemente, la Corte di militare di appello avrebbe dovuto espressamente pronunciarsi sul punto come sollecitata dai correlati motivi di impugnazione nel merito.
2.4. Con il quarto motivo Ł stata dedotta la manifesta illogicità della motivazione in relazione all’interpretazione della sentenza di primo grado e con riguardo al motivo di appello avente ad oggetto la nullità ai sensi degli artt. 495 cod. proc. pen. e 6 CEDU dell’ordinanza reiettiva delle richieste di prova a discarico emessa dal Tribunale militare di Verona in data 18 maggio 2023.
Il rigetto delle richieste di prova funzionali alla dimostrazione della verità dei fatti diversi da quelli relativi alle circostanze dell’agguato mortale in territorio afgano Ł avvenuto sulla base di una valutazione errata da parte del giudice di primo grado e di una interpretazione della sentenza del Tribunale militare che, come detto al punto precedente, sarebbe viziata da un palese travisamento.
Il giudice di primo grado non avrebbe potuto negare l’ammissione della prova della difesa sulla scorta della genericità dei fatti descritti nell’imputazione e la Corte militare non avrebbe potuto intendere la decisione del Tribunale su tali fatti come, sostanzialmente, assolutoria con conseguente carenza di interesse dalla difesa alla dedotta prova.
Il Procuratore generale, con requisitoria scritta, ha chiesto la declaratoria di inammissibilità o il rigetto del ricorso.
I difensori dell’imputato hanno depositato memoria di replica.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso Ł fondato nei termini di seguito esposti.
E’ fondato il primo motivo di ricorso.
La censura sottopone a questa Corte di legittimità il tema che riguarda la qualità soggettiva dell’imputato al momento del fatto sollecitando la valutazione su un profilo che attiene all’elemento costitutivo del reato militare oggetto dell’imputazione, ossia della qualità di militare del ricorrente e, dunque, della sua sottoposizione alla normativa asseritamente violata.
In fatto, nell’affrontare la questione della giurisdizione, la Corte militare di appello ha evidenziato l’avvenuta produzione, in allegazione all’atto di appello, del decreto di sospensione del Direttore Generale per il personale militare del Ministero della Difesa adottato nei confronti di COGNOME in data 7 gennaio 2011.
Non Ł contestato che si tratta di un provvedimento di sospensione disciplinare per un anno.
Alla data di pubblicazione dell’articolo diffamatorio, quel provvedimento era stato emesso ed
era stato notificato al ricorrente (adempimento avvenuto l’11 gennaio 2011).
Operata tale premessa in fatto, vanno considerate le disposizioni del codice penale militare di pace che rilevano nella presente vicenda.
L’art. 1 stabilisce che «la legge penale militare si applica ai militari in servizio alle armi e a quelli considerati tali. La legge determina i casi, nei quali la legge penale militare si applica ai militari in congedo, ai militari in congedo assoluto, agli assimilati ai militari, agli iscritti ai corpi civili militarmente ordinati e a ogni altra persona estranea alle forze armate dello Stato».
I militari in servizio alle armi sono definiti dal successivo art. 3 che recita: «salvo che la legge disponga altrimenti, ai militari in servizio alle armi la legge penale militare si applica:
1° relativamente agli ufficiali, dal momento della notificazione del provvedimento di nomina fino al giorno della notificazione del provvedimento, che li colloca fuori del servizio alle armi;
2° relativamente agli altri militari, dal momento stabilito per la loro presentazione fino al momento in cui, inviati in congedo, si presentano all’Autorità competente del comune di residenza da essi prescelto; o, se sottufficiali di carriera, fino al momento della notificazione del provvedimento, che li colloca fuori del servizio alle armi.
L’assenza del militare dal servizio alle armi per licenza, ancorchØ illimitata, per infermità, per detenzione preventiva, o per altro analogo motivo, non esclude l’applicazione della legge penale militare. Agli effetti delle disposizioni di questo titolo, per notificazione del provvedimento s’intende la comunicazione personale di questo all’interessato, ovvero, quando la comunicazione personale non sia ancora avvenuta, la pubblicazione del provvedimento nel bollettino ufficiale, o nei corrispondenti mezzi di notificazione delle varie forze armate dello Stato.
L’art. 5, nella parte che qui rileva, definisce i militari considerati in servizio alle armi prevedendo che «agli effetti della legge penale militare, sono considerati in servizio alle armi: 1° gli ufficiali collocati in aspettativa, o sospesi dall’impiego, o che comunque, à termini delle leggi che ne regolano lo stato, sono nella posizione di servizio permanente, ancorchØ non prestino servizio effettivo alle armi; 2° i sottufficiali di carriera collocati in aspettativa (…)».
I giudici di merito hanno richiamato, inoltre l’art. 1357 del Codice dell’ordinamento militare (d.lgs. 15 marzo 2010, n. 66)che prevede le sanzioni disciplinari di stato (es. sospensione disciplinare dalle funzioni del grado, ecc.) e di corpo (richiamo, rimprovero, ecc.).
Rileva, ancora, l’art. 885 (sospensione dall’impiego) del Codice dell’ordinamento militare secondo il quale: «1. Il militare può essere sospeso dall’impiego per motivi penali, disciplinari o precauzionali. 2. La sospensione dall’impiego come pena militare accessoria Ł disciplinata dagli articoli 30 e 31 del codice penale militare di pace.3. La sospensione disciplinare e quella precauzionale sono disciplinate dal presente codice».
Si tratta di disposizioni (gli artt. 30 e 31 del cod. pen. mil. pace) che prevedono la sospensione dall’impiego solo per gli ufficiali e quella del grado per i sottoufficiali; si tratta di norme che riguardano le pene accessorie, ossia fattispecie che nel presente procedimento non assumono rilievo.
La Corte ha, inoltre richiamato il contenuto dell’art. 884 del Codice dell’ordinamento militare che definisce l’aspettativa come «posizione del militare temporaneamente esonerato dal servizio» desumendone la distinzione tra sospensione dall’impiego e sospensione dal servizio.
A tal fine, per desumere la nozione di servizio, ha ulteriormente richiamato gli artt. ,882 e 883 COM sulla differenza tra servizio permanente effettivoe servizio permanente a disposizione.
Ha, pertanto, concluso che «rapporto di servizio e rapporto di impiego, ordinariamente concomitanti e marcianti su due linee parallele, in determinate occasioni possono avere un diverso svolgimento, perchØ – come nel caso della sospensione disciplinare dall’impiego – il rapporto di impiego può essere sospeso, permanendo il militare in servizio e sottoposto ai doveri connessi».
Ha menzionato, infine, a supporto della propria interpretazione la «Guida Tecnica – Procedure disciplinari» della Direzione generale del personale militare del Ministero della difesa del 2023.
Ha, dunque concluso, anche alla luce degli artt. 858 e 920 Codice dell’organizzazione che «durante la sospensione dell’impiego, il militare non Ł piø tenuto ad alcune prestazioni di lavoro, anche se permane nella posizione di servizio permanente (atteso che la ferma volontaria o la
rafferma volontaria non si prosciolgono automaticamente con la sospensione)».
La sentenza ha, altresì, preso in esame il precedente di questa Corte con il quale Ł stato affermato che «il graduato delle Forze armate in posizione di aspettativa per infermità non riveste la qualifica di “militare in servizio alle armi” – a differenza degli ufficiali e dei sottufficiali di carriera, considerati dalla legge in servizio anche in costanza di aspettativa – e, pertanto, non Ł assoggettabile alla legge penale militare» (Sez. 1, n. 23410 del 06/03/2024, COGNOME, Rv. 286632 01).
Sul punto ha messo in evidenza come il principio riguardi una fattispecie diversa da quella in rilievo nel presente procedimento.
In quel caso, infatti, si trattava di graduato in aspettativa per infermità, mentre nella vicenda in esame si verte in tema di sottufficiale sospeso dal servizio per ragioni disciplinari.
Il percorso motivazionale seguito dalla Corte di appello militare non persuade.
Invero, i giudici di merito hanno trascurato di considerare la motivazione dell’arresto di legittimità sopra riportato laddove Ł stata Ł stata operata una interpretazione dichiaratamente applicativa dei principi di tassatività delle norme penali, con particolare riguardo a quelle che descrivono le figure soggettive dei sottufficiali suscettibili di essere «considerati in servizio» (artt. 1 e 5 cod. pen. mil. pace).
Al par. 4.2., della motivazione di quella sentenza, infatti, si legge che «il militare in aspettativa, quale che ne sia la causa, non Ł pertanto in attualità di servizio alle armi. L’art. 5 cod. pen. mil.pace lo equipara al militare in servizio, lo «considera tale», ma solo se appartenente al ruolo degli ufficiali o a quello dei sottufficiali di carriera. Il che significa, di riflesso, che – diversamente dagli ufficiali, e dai sottufficiali di carriera, considerati tutti in servizio anche in costanza di aspettativa – i militari cui non sono attribuite tali qualifiche (militari di truppa e graduati), se in aspettativa, non essendo in effettività di servizio durante il relativo periodo, neppure sono parificati ai militari in servizio ai fini della legge penale militare, rimanendo esentati dalla sua applicazione (così come ne sono esentati i sottufficiali sospesi dal servizio, posto che l’art. 5 cod. pen. mil . pace assoggetta alla legge penale militare i militari sospesi solo se essi rivestono il grado di ufficiale: Sez. 1, n. 51398 del 13/09/2016, COGNOME, Rv. 268840-01)».
Il percorso motivazionale seguito dai citati precedenti Ł pienamente condiviso e allo stesso deve essere assicurata continuità.
In particolare, per quanto riguarda lo specifico punto rilevante in questa sede, assume rilievo l’opzione interpretativa secondo cui l’art. 5 cod. pen. mil. pace prevede, per il caso di militari rispetto ai quali manchi l’effettività dal servizio, ipotesi tassative in cui può trovare applicazione la legge penale militare.
Per quanto riguarda i sottufficiali tale condizione Ł la sola aspettativa.
Sulla prevalenza e la funzione prioritaria che assume l’interpretazione letterale della previsione legislativa le Sezioni Unite di questa Corte (come ricordato nella sentenza qui condivisa) si sono espresse piø volte (Sez. U, n. 19357 del 29/02/2024, COGNOME e Sez. U, n. 22474 del 31/3/2016, COGNOME).
Con tali interventi Ł stato affermato che il criterio interpretativo dell’intenzione del legislatore assume rilievo recessivo rispetto all’interpretazione letterale.
Pertanto, nella decisione qui ribadita, Ł stato concluso che «neppure (…) l’interpretazione dell’art. 5 cod. pen. mil. pace si sottrae al primato letterale, che, per il suo carattere di oggettività e per il suo naturale obiettivo di ricerca nel senso normativo maggiormente riconoscibile e palese, rappresenta il criterio cardine nella interpretazione della legge e concorre alla definizione del suo significato in termini di certezza, determinatezza e tassatività della fattispecie».
Tale principio Ł stato ritenuto, a maggior ragione, imposto in materia penale alla luce di quello
di stretta legalità di cui all’art. 25, comma secondo, Cost. e del divieto di applicazione analogica in malam partem delle disposizioni di settore che riguarda sia le disposizioni incriminatrici e le previsioni sanzionatorie, oltre a quelle definitorie che fondato le ragioni della punibilità e ne determinano i presupposti (Sez. 5, n. 42309 del 02/05/2016, Clemente, Rv. 268460 – 01 in materia di responsabilità del direttore editoriale).
Ancora una volta, anche per quanto riguarda la posizione del sottufficiale di carriera sospeso dal servizio per ragioni disciplinari, va evidenziata la lacuna legislativa in punto di soggezione alla legge penale militare; tuttavia anche nella materia in esame, in osservanza del rigoroso principio di legalità, non Ł possibile colmare tale lacuna integrando, in via interpretativa la norma che delimita l’area della rilevanza penale delle violazioni commesse dai miitari considerati in servizio.
Per completezza, si segnala che l’interpretazione adottata Ł coerente anche con i principi costantemente affermati a livello di giurisprudenza sovranazionale ove si afferma che la determinatezza delle fattispecie penali e la prevedibilità delle decisioni costituiscono valori ai quali l’art. 7 CEDU assegna spiccato rilievo (Corte EDU, GC, 23 febbraio 2017, De Tommaso – Italia; 31 dicembre 2019, Parmak e Bakir c. Turchia; 17 ottobre 2017, Navalnyye c. Russia).
Alla luce di tali principi, il tentativo di superare il contenuto letterale della disposizione in esame si rivela privo di pregio atteso che si fonda su una lettura coordinata delle disposizioni che trascura l’intangibile e netto dato di partenza e consiste nel richiamo a fonti normative di rango non primario (fra le quali la Guida tecnica – Procedure disciplinari).
4. Da quanto esposto, discende, previo assorbimento degli altri motivi di ricorso, l’annullamento della sentenza impugnata che, tenuto conto del fatto che non sono necessari ulteriori accertamenti, deve essere disposto senza ulteriore rinvio, stante l’insussistenza del fatto ascritto all’imputato per difetto della condizione soggettiva (ossia quella di militare o soggetto considerato tale) richiesta per il perfezionamento del reato.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perchØ il fatto non sussiste.
Così Ł deciso, 02/04/2025
Il Consigliere estensore NOME COGNOME
Il Presidente NOME COGNOME