Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 8412 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 1 Num. 8412 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 14/01/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nata a Solarino il 29/08/1954
avverso l’ordinanza del 15/10/2024 della Corte d’appello di Bologna udita la relazione del consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni del Procuratore Generale, NOME COGNOME che ha chiesto l’inammissibilità del ricorso.
Ritenuto in fatto
Con ordinanza del 15 ottobre 2024 la Corte d’appello di Bologna, in funzione di giudice dell’esecuzione, ha accolto l’istanza del pubblico ministero di revoca della sospensione condizionale della pena concessa a NOME COGNOME con sentenza di condanna del 28 aprile 2010 emessa nei suoi confronti dal Tribunale di Modena, sentenza divenuta irrevocabile il 23 settembre 2016.
L’istanza è stata accolta ex art. 165 cod. pen. perché la sospensione condizionale era stata subordinata dal giudice della cognizione ad obblighi che non sono stati ottemperati dal condannato, in particolare l’obbligo di pagamento della provvisionale liquidata in sentenza in favore delle parti civili.
Non ricorreva, inoltre, una situazione di inesigibilità del pagamento, né la condannata si era mai attivata per chiedere una dilazione del pagamento.
Avverso il predetto provvedimento ha proposto ricorso la condannata, per il tramite del difensore, con i seguenti motivi.
Con il primo motivo deduce violazione di legge perché l’obbligo, cui la sospensione era condizionata, era rimasto inadempiuto non per volontà della condannata, ma perché la stessa non aveva la possibilità di pagarlo, come documentato attraverso le dichiarazioni dei redditi depositata nell’incidente di esecuzione; i redditi della condannata, infatti, erano talmente esigui da rendere impossibile il pagamento della provvisionale.
Con il secondo motivo deduce vizio di motivazione per travisamento della prova perché i dati fattuali smentiscono che la condannata non abbia dedotto l’impossibilità di adempiere, né che non sia attivata nel termine di cinque mesi, in sentenza, infatti, non era indicato alcun termine.
Con requisitoria scritta il Procuratore Generale, NOME COGNOME ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.
Considerato in diritto
1. Il ricorso è infondato.
Si ricorda preliminarmente che la provvisionale, al cui pagamento la sentenza passata in giudicato aveva subordinato la concessione della sospensione condizionale della pena, era pari a 10.000 euro
Il termine per pagare tale somma decorreva dal 23 settembre 2016, data del passaggio in giudicato della sentenza, ed, agli effetti di cui all’art. 165 cod. pen. scadeva il 23 settembre 2021, secondo la sistematica di Sez. U, n. 37503 del 23/06/2022, Liguori, Rv. 283577.
La pronuncia Liguori ha, infatti, affermato che “non risulta pienamente condivisibile il primo orientamento espresso dalla giurisprudenza di legittimità in forza del quale, in caso di sospensione condizionale della pena subordinata al pagamento di una somma liquidata a titolo di risarcimento del danno o di provvisionale in favore della parte civile, il termine entro il quale l’imputato deve provvedere all’adempimento dell’obbligo risarcitorio, qualora non sia stato fissato
in sentenza, coincide con quello del passaggio in giudicato della stessa, trattandosi di obbligazione pecuniaria immediatamente esigibile; tra le altre, Sez. 1, n. 13776 del 15/12/2020, dep. 2021, COGNOME, 281059 – 01; Sez. 1, n. 23742 del 08/07/2020, COGNOME, Rv. 279458 – 01; Sez. 1, n. 6368 del 28/01/2020, COGNOME, Rv. 278075″ ed ha ritenuto, invece, che “si deve escludere che, con specifico riferimento all’istituto de quo (art. 165 cod. pen.), il termine per l’adempimento degli obblighi risarcitori, ivi compresa la condanna alla provvisionale (che è ex lege esecutiva), possa decorrere ante iudicatum”.
Nel sistema della pronuncia Liguori, pertanto, “allorquando il beneficio della sospensione condizionale della pena venga subordinato ad uno degli obblighi, da intendersi tassativi, previsti dall’art. 165 cod. pen., anche il termine pe l’adempimento di tale obbligo deve decorrere dal passaggio in giudicato della sentenza, perché la sospensione della esecuzione della pena presuppone necessariamente una sentenza di condanna eseguibile, e, cioè, definitiva”.
La durata del termine, in mancanza di indicazioni nella sentenza passata in giudicato, coincide con la scadenza dei termini di cinque o due anni previsti dall’art. 163 cod. pen. (sempre la pronuncia Liguori).
Il ricorso rileva che negli anni tra il 2017 ed il 2021 le dichiarazioni dei reddi prodotte al giudice dell’esecuzione dimostrano che la condannata aveva un reddito di circa 6.500 – 6.600 euro lordi l’anno. Il ricorso aggiunge che la condannata aveva anche un affitto da pagare, che era pari a 400 euro al mese.
In questo contesto i due motivi di ricorso, che possono essere affrontati congiuntamente, in quanto sovrapponibili, deducono che il giudice dell’esecuzione avrebbe dovuto verificare se l’adempimento era esigibile.
I motivi sono infondati.
L’ordinanza, in realtà, si è preoccupata di verificare l’esigibilità o meno della prestazione ed ha rilevato che la condannata non si è mai attivata per provvedere al risarcimento nel corso dei cinque anni di durata dell’obbligo, ridestandosi soltanto dopo che era stato aperto nei suoi confronti l’incidente di esecuzione in cui era contenuta la richiesta di revoca del beneficio.
Si tratta di una conclusione coerente con la giurisprudenza di legittimità che rileva che l’istituto della sospensione condizionale della pena subordinata ad obblighi “mira a rafforzare il dovere di adempiere e garantisce che il comportamento del reo, dopo la condanna, si adegui a quel processo di ravvedimento che costituisce lo scopo precipuo dell’istituto stesso della sospensione condizionale della pena” (sempre la sentenza COGNOME), e che esso impone che il condannato “si attivi per risarcire la parte civile del danno cagionato dal reato e liquidato, in tutto o in parte, dal giudice stesso con la sentenza di
condanna, in maniera da realizzare un comportamento sintomatico di una maggiore socialità” (ancora la sentenza Liguori).
La mancanza di qualsiasi attività della condannata volta al pagamento, anche dilazionato, della provvisionale nell’arco temporale in cui avrebbe dovuto provvedere all’adempimento della condizione impedisce di valutare in suo favore l’argomento della inesigibilità della condotta, che presuppone, per sua natura, la assenza di un comportamento volontario.
Iniziare a pagare in modo rateale, o, come ha scritto l’ordinanza impugnata, chiedere una dilazione del pagamento, era, infatti, un comportamento sicuramente esigibile, che la condannata avrebbe potuto tenere e che non ha tenuto, pur disponendo di un amplissimo arco temporale, quale quello di cinque anni, in cui avrebbe potuto attivarsi.
Il secondo motivo di ricorso deduce anche che l’adempimento avrebbe dovuto avvenire in cinque anni, e non in cinque mesi, come scritto nell’ordinanza impugnata, termine che, in realtà, non emerge dalla sentenza di cognizione.
L’argomento è inammissibile, perché attacca una espressione “cinque mesi” contenuta nell’ordinanza impugnata che è un evidente refuso, posto che in altro passaggio della stessa si precisa in modo corretto che il termine per l’adempimento era di cinque anni (pag. 3, ultimo paragrafo), refuso, che pertanto, è ininfluente nel percorso logico della decisione.
Il ricorso è, pertanto, nel complesso infondato.
Ai sensi dell’art. 616, comma 1, cod. proc. pen., alla decisione consegue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 14 gennaio 2024.