Sospensione Condizionale e Lavori di Pubblica Utilità: Quando le Scuse non Bastano
La sospensione condizionale della pena è un istituto fondamentale del nostro ordinamento penale, che offre al condannato una seconda possibilità, subordinandola però a condizioni precise. Un’ordinanza recente della Corte di Cassazione (n. 10509/2024) ci ricorda con fermezza che questo beneficio non è un diritto incondizionato e che gli obblighi ad esso collegati, come lo svolgimento dei lavori di pubblica utilità, devono essere adempiuti con diligenza. Vediamo nel dettaglio il caso e le importanti conclusioni della Suprema Corte.
I Fatti del Caso
La vicenda riguarda un uomo condannato a una pena la cui esecuzione era stata sospesa a condizione che svolgesse un periodo di quattro mesi di lavori di pubblica utilità. La sentenza era divenuta irrevocabile nel luglio del 2018, dando così inizio al periodo in cui l’imputato avrebbe dovuto attivarsi per adempiere alla prescrizione.
L’interessato, tuttavia, non eseguiva la prestazione. Successivamente, di fronte al giudice dell’esecuzione, adduceva a sua discolpa di essere stato costretto a tornare nel suo paese d’origine, l’Albania, per assistere i genitori malati, presentando a supporto alcuni certificati medici. Aggiungeva inoltre che una successiva separazione dalla moglie, avvenuta nel 2020, gli aveva fatto perdere il domicilio in Italia, complicando ulteriormente la situazione.
Il giudice di merito non accoglieva tali giustificazioni, ritenendo che i certificati medici non fossero prova sufficiente di una causa di forza maggiore e che la separazione, avvenuta ben due anni dopo che la sentenza era diventata definitiva, non gli avrebbe comunque impedito di completare i lavori in tempo utile. Contro questa decisione, l’uomo proponeva ricorso in Cassazione.
La Decisione della Corte sulla Sospensione Condizionale
La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando in toto la decisione del giudice precedente. Gli Ermellini hanno sottolineato come gli argomenti proposti dal ricorrente fossero una mera riproduzione di quelli già vagliati e correttamente respinti in prima istanza.
Il punto centrale della decisione è che le difficoltà personali, per quanto reali e documentate, non costituiscono automaticamente una causa di forza maggiore. Il condannato aveva un onere di diligenza: avrebbe dovuto prendere contatti immediatamente con l’Ufficio di Esecuzione Penale Esterna (U.e.p.e.) dopo la definitività della sentenza. Se lo avesse fatto, avrebbe avuto tutto il tempo necessario per svolgere i quattro mesi di lavori previsti, ben prima che sorgessero le problematiche familiari addotte come scusanti.
Le Motivazioni della Decisione
Le motivazioni della Corte si fondano su una logica rigorosa e sul principio di responsabilità individuale. Innanzitutto, si evidenzia la debolezza probatoria delle giustificazioni: i certificati medici dei genitori non bastano a dimostrare un’impossibilità assoluta e oggettiva di adempiere. In secondo luogo, viene applicato un criterio temporale stringente: la separazione dalla moglie, avvenuta nel 2020, è un evento temporalmente scollegato dall’obbligo sorto nel 2018. Il comportamento del condannato è stato interpretato come una negligenza nel dare esecuzione a un ordine del giudice.
La Corte ribadisce che il beneficio della sospensione condizionale è legato a un patto con lo Stato: la libertà in cambio del rispetto di determinate regole. La violazione di tali regole, senza una valida e comprovata causa di impossibilità, comporta inevitabilmente la revoca del beneficio stesso. L’inammissibilità del ricorso deriva quindi dalla manifesta infondatezza delle argomentazioni, che non sono riuscite a scalfire la logicità e correttezza giuridica della decisione impugnata.
Conclusioni
Questa ordinanza offre importanti spunti di riflessione. Chi beneficia di una sospensione condizionale deve comprendere che gli obblighi imposti non sono mere formalità, ma condizioni essenziali per mantenere il beneficio. Addurre problemi personali come giustificazione richiede una prova rigorosa che dimostri non una semplice difficoltà, ma un’impossibilità oggettiva e assoluta (la cosiddetta forza maggiore). La tempestività e la diligenza nell’attivarsi per adempiere alle prescrizioni del giudice sono cruciali per evitare conseguenze negative, come la revoca della sospensione e l’esecuzione della pena detentiva originaria.
La malattia di un familiare è sempre considerata una causa di forza maggiore per non adempiere a un obbligo imposto dal giudice?
No. Sulla base di questa ordinanza, la semplice presentazione di certificati medici relativi a familiari non è di per sé sufficiente a costituire una prova di forza maggiore. Il giudice ha ritenuto tale documentazione una prova non sufficiente a giustificare il mancato svolgimento dei lavori di pubblica utilità.
Una difficoltà personale successiva, come una separazione, può giustificare l’inadempimento di un obbligo derivante da una sentenza diventata definitiva anni prima?
No. La Corte ha stabilito che la separazione, avvenuta nel 2020, non poteva essere una scusante per non aver adempiuto a un obbligo sorto con una sentenza divenuta irrevocabile già nel 2018. Il condannato aveva avuto un tempo più che sufficiente per completare la prestazione prima del verificarsi di tale evento.
Cosa succede se un ricorso in Cassazione si limita a ripetere le stesse argomentazioni già respinte dal giudice precedente?
Il ricorso viene dichiarato inammissibile. La Corte di Cassazione ha specificato che gli argomenti meramente riproduttivi di deduzioni già vagliate e disattese con corretti argomenti giuridici dal giudice di merito non possono trovare accoglimento e portano a una declaratoria di inammissibilità.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 10509 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 10509 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 22/02/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 03/11/2023 del GIP TRIBUNALE di VERBANIA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME;
Ritenuto in fatto e considerato in diritto
Rilevato che NOME COGNOME ricorre per cassazione contro il provvedimento indicato i intestazione;
Letta la memoria, intitolata “motivi nuovi”, con cui il difensore del ricorrente argoment realtà, sulle ragioni dell’ammissibilità del ricorso;
Ritenuto che gli argomenti proposti in ricorso sono meramente riproduttivi di deduzioni gi vagliate e disattese con corretti argomenti giuridici dal giudice di merito, che ha rilevato narrazione del ricorrente sull’esser stato costretto a tornare in Albania poggia soltant certificati medici relativi alla salute dei genitori del ricorrente, che il giudice del merito h in modo non illogico prova non sufficiente dell’esistenza di una causa di forza maggiore, mentr la separazione dalla moglie – che secondo il ricorso (pag. 3) sarebbe avvenuta nel 2020, ed avrebbe comportato la perdita del domicilio in Italia – non avrebbe in ogni caso impedito condannato di dare esecuzione alla prestazione dei lavori di pubblica utilità cui era subordin il beneficio della sospensione condizionale, posto che la prestazione avrebbe dovuto essere eseguita per soli quattro mesi, e che la sentenza che conteneva tale prescrizione era divenuta irrevocabile già il 17 luglio 2018, talchè il condannato, se – come fa notare il gi dell’esecuzione – avesse preso immediatamente contatti con l’RAGIONE_SOCIALE, avrebbe avuto il tempo di dare esecuzione alla prestazione;
Rilevato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile con la condanna de ricorrente al pagamento delle spese del procedimento, nonché al versamento in favore della Cassa delle ammende di una somma determinata, in via equitativa, nella misura indicata in dispositivo;
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spes processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 22 febbraio 2024.