Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 1948 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 4 Num. 1948 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 28/11/2023
SENTENZA
sui ricorsi proposti da: COGNOME NOME nato a CATANIA il DATA_NASCITA COGNOME NOME nato il DATA_NASCITA COGNOME NOME nato a CATANIA il DATA_NASCITA
avverso il provvedimento del 05/07/2023 del TRIBUNALE di CATANIA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME, che ha concluso chiedendo l’annullamento senza rinvio della statuizione impugnata;
uditi i difensori presenti:
AVV_NOTAIO COGNOME del foro di CATANIA in difesa delle parti civili che ha chiesto il rigetto dei ricorsi;
AVV_NOTAIO NOME COGNOME del foro di CATANIA in difesa di COGNOME NOME che ha chiesto l’accoglimento del ricorso;
AVV_NOTAIO NOME COGNOME del foro di CATANIA in difesa di COGNOME NOME e COGNOME NOME che, riportandosi ai motivi di ricorso, ne ha chiesto l’accoglimento;
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RITENUTO IN FATTO
1. in data 5 luglio 2023, il Tribunale di RAGIONE_SOCIALE ha pubblicato, leggendolo in udienza, il dispositivo della sentenza pronunciata nel procedimento a carico di NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME, imputati del reato di cui agli artt. 40, comma 2, 113, 589 cod. pen. in danno di NOME COGNOME, commesso a Giarre il 2-3 maggio 2015
COGNOME, COGNOME e COGNOME sono stati dichiarati responsabili del reato loro ascritto e, ritenute sussistenti le attenuanti generiche, sono stati condannati alla pena di mesi sei di reclusione ciascuno. Sono stati condannati, inoltre, in solido tra loro e con la RAGIONE_SOCIALE (citata in giudizio quale responsabile civile in persona del legale rappresentante pro tempore), al risarcimento dei danni in favore delle parti civili costituite e al pagamento di una provvisionale immediatamente esecutiva di complessivi C 100.000,00. Tale provvisionale è stata indicata come somma complessiva senza distinguere quanto dovuto a ciascuna delle parti civili che, dalla lettura del dispositivo risultano essere: Del NOME COGNOME NOME, Del NOME COGNOME NOME, Del NOME COGNOME NOME, Del NOME COGNOME NOME, Del NOME COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME.
La pena inflitta agli imputati è stata condizionalmente sospesa per anni cinque, ma la sospensione è stata subordinata «al pagamento della somma liquidata a titolo di provvisionale, da effettuare entro mesi quattro dalla pubblicazione del presente dispositivo».
Per il deposito della motivazione della sentenza è stato indicato un termine di giorni novanta.
Contro il dispositivo letto in udienza hanno proposto ricorso per Cassazione il difensore di NOME COGNOME (in data 7 luglio 2023) e il difensore di NOME COGNOME e NOME COGNOME (in data 12 luglio 2023). I ricorrenti chiedono l’annullamento della parte del dispositivo con la quale si è stabilito che la sospensione condizionale della pena fosse subordinata al pagamento della somma provvisoriamente assegnata sull’ammontare del danno, fissando il termine per il pagamento in «mesi quattro dalla pubblicazione del dispositivo» stesso (id est: dal 5 luglio 2023).
Oggetto dei ricorsi non è la sentenza di condanna (né potrebbe esserlo atteso che, quando i ricorsi sono stati proposti, non era ancora neppure decorso il termine per il deposito della motivazione), ma soltanto la statuizione contenuta nel dispositivo con la quale è stato fissato il termine per il pagamento della provvisionale. I ricorrenti ne deducono l’abnormità sottolineando che, secondo
quanto stabilito, il termine per il pagamento della provvisionale (cui è stata subordinata la sospensione condizionale della pena) ha iniziato a decorrere prima del deposito della motivazione ed è scaduto prima della scadenza del termine per impugnare la sentenza. Secondo i ricorrenti, tale statuizione – adottata in violazione di legge – determina una ingiustificata e non reversibile compressione del diritto di difesa. In assenza della motivazione della sentenza, infatti, era impossibile per gli imputati adire la Corte di appello per ottenere la sospensione dell’esecuzione della condanna al pagamento della provvisionale ai sensi dell’art. 600, comma 3, cod. proc. pen.
I difensori deducono con sottolineature diverse:
che agli imputati è stato chiesto di procedere al pagamento della provvisionale al fine di potere in futuro usufruire della sospensione condizionale prima ancora che fosse decorso il termine per impugnare la sentenza ed è stata impedita così la delibazione da parte della Corte di appello sia sull’entità della provvisionale, sia sulla subordinazione della sospensione condizionale al pagamento della stessa, sia sulla opportunità di sospenderne l’esecuzione ai sensi dell’art. 600, comma 3, cod. proc. pen.;
che, con la statuizione impugnata, il Giudice ha anticipato gli effetti del provvedimento decisorio facendoli decorrere in una fase precedente al deposito della motivazione e impedendo così agli imputati di conoscere le ragioni che hanno determinato la decisione.
Muovendo da queste premesse, i difensori sostengono che il provvedimento adottato sarebbe «abnorme per carenza di potere in concreto». Si tratterebbe, infatti, di un caso in cui un potere astrattamente riconosciuto dalla legge è stato esercitato al di fuori dei casi consentiti e delle ipotesi previste e, quindi, «al di di ogni ragionevole limite». In altri termini: il Tribunale sarebbe incorso in un errore procedurale esercitando, di fatto, un potere in difformità al modello descritto dalla legge.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I ricorsi deducono una abnormità che non può ritenersi sussistente e sono pertanto inammissibili.
Come noto, l’abnormità una forma di patologia dell’atto giudiziario priva di riconoscimento testuale in un’esplicita disposizione normativa, ma frutto di elaborazione da parte della dottrina e della giurisprudenza. Nel riconoscerla si è inteso porre rimedio, attraverso l’intervento del giudice di legittimità, agli effetti COGNOME pregiudizievoli derivanti da COGNOME provvedimenti COGNOME non
espressamente previsti come impugnabili, ma affetti da tali anomalie genetiche o funzionali, che li rendono difformi ed eccentrici rispetto al sistema processuale e con esso radicalmente incompatibili.
Le Sezioni Unite, con la sentenza n. 25957 del 26/03/2009, Toni, Rv. 243590, hanno offerto una rigorosa e puntuale delimitazione dell’area dell’abnormità ricorribile per cassazione, riconducendola a un fenomeno unitario, caratterizzato dallo sviamento della funzione giurisdizionale, inteso non tanto quale vizio dell’atto, che si aggiunge a quelli tassativamente stabiliti dall’art. 606, comma 1, cod. proc. pen., quanto come esercizio di un potere in difformità dal modello descritto dalla legge. La sentenza in esame ha distinto l’abnormità strutturale dall’abnormità funzionale. La prima è riconoscibile in «caso di esercizio da parte del giudice di un potere non attribuitogli dall’ordinamento processuale (carenza di potere in astratto), ovvero di deviazione del provvedimento giudiziale rispetto allo scopo di modello legale nel senso di esercizio di un potere previsto dall’ordinamento, ma in una situazione processuale radicalmente diversa da quella configurata dalla legge e cioè completamente al di fuori dei casi consentiti, perché al di là di ogni ragionevole limite (carenza di potere in concreto). La seconda è riscontrabi le nel caso di stasi del processo e di impossibilità di proseguirlo.
3. La possibilità di subordinare la sospensione condizionale della pena al pagamento della somma provvisoriamente assegnata sull’ammontare del danno è espressamente prevista dall’art. 165 cod., pen. È opinione concorde che la fissazione di un termine entro il quale l’imputato deve provvedere costituisca connotato essenziale dell’istituto. Si è conseguentemente affermato che il termine deve essere fissato «dal giudice in sentenza ovvero, in mancanza, dal giudice dell’impugnazione, anche d’ufficio, o da quello dell’esecuzione, fermo restando che, ove non venga in tal modo fissato, lo stesso viene a coincidere con la scadenza dei termini di cinque o due anni previsti dall’art. 163 cod. pen. decorrenti dal passaggio in giudicato della sentenza (in motivazione la Corte ha precisato che l’omessa fissazione del termine si traduce in un vizio di violazione di legge della sentenza)» (Sez. U, n. 37503 del 23/06/2022, Liguori, Rv. 283577).
La giurisprudenza è costante nel ritenere che, in assenza di diversa statuizione, il termine deve essere fatto decorrere dal passaggio in giudicato della sentenza (Sez. 1, n. 13776 del :1[5/12/2020, dep. 2021, COGNOME, Rv. 281059; Sez. 1, n. 6368 del 28/01/2020, COGNOME, Rv. 278075; Sez. 5, n. 40480 del 24/06/2019, P., Rv. 27838:I). Opinioni diverse sono state
espresse, invece, in ordine alla possibilità di fissare un termine di decorrenza diverso.
Secondo un primo orientamento, «nel condizionare la sospensione condizionale della pena al pagamento di una provvisionale in favore della parte civile, il giudice può legittimamente subordinare il beneficio al versamento della somma entro un termine anteriore al passaggio in giudicato della sentenza, in quanto la condanna, nella parte concernente la provvisionale, è immediatamente esecutiva per legge» (Sez. 3, n. 22259 del 28/04/2016, M., Rv. 267351; Sez. 5, n. 4014 del 27/10/2015, dep. 2016, COGNOME, Rv. 267557; Sez. 4, n. 36769 del 09/06/2004, COGNOME, Rv. 229691). Altro orientamento, invece, ha affermato che «il beneficio della sospensione condizionale della pena non può essere subordinato al pagamento della provvisionale da effettuarsi anteriormente al passaggio in giudicato della sentenza, determinandosi, altrimenti, un’esecuzione “ante iudicatum” delle statuizioni penali della pronuncia» (Sez. 4, n. 44400 del 17/04/2019, COGNOME, Rv. 277694; Sez. 4, n. 29924 del 26/03/2019, COGNOME, Rv. 276597; Sez. 6, n. 54647 del 25/10/2018, L., Rv. 274646). Il Collegio condivide questo secondo orientamento, oggi largamente maggioritario: ed invero, subordinare la concessione della sospensione condizionale ad una condotta che l’imputato dovrebbe adottare prima del giudicato equivale a rendere irreversibile, prescindendo dalla sua definitività, un capo penale della sentenza su un punto della decisione relativo all’attuazione di una sanzione ancora sub judice, quale è ogni statuizione in materia di sospensione condizionale della pena.
Tanto premesso, si deve osservare che subordinando il beneficio della sospensione condizionale della pena al pagamento della provvisionale da effettuarsi anteriormente al passaggio in giudicato della sentenza, il Tribunale di RAGIONE_SOCIALE ha adottato un provvedimento censurabile in diritto, ma non abnorme e pertanto non autonomamente ricorribile.
La statuizione relativa alla sospensione condizionale della pena e alla subordinazione della stessa al pagamento di una somma provvisoriamente assegnata sull’ammontare del danno è espressione di un potere riconosciuto al giudice dall’art. 165 cod. pen. sicché la decisione impugnata non presenta profili di abnormità in astratto.
Secondo il Procuratore generale – che ha chiesto l’accoglirnento dei motivi di ricorso – tale statuizione sarebbe abnorme in concreto. A sostegno di tale conclusione il PG ha citato la sentenza Sez. 5, n. 38956 del 04/05/2005, COGNOME, (non massimata) pronunciata in un caso in cui la concessione del
beneficio della sospensione condizionale era stata subordinata al pagamento della somma provvisoriamente assegnata sull’ammontare del danno entro due mesi dalla lettura del dispositivo a fronte di un termine per il deposito della motivazione indicato in novanta giorni.
Il caso affrontato da questa sentenza presenta analogie con quello in esame, ma se ne differenzia con riferimento al termine entro il quale il pagamento avrebbe dovuto essere effettuato. In quel caso, il giudice aveva subordinato la sospensione condizionale della pena a un pagamento che sarebbe dovuto avvenire prima ancora del deposito della motivazione e proprio per questo il provvedimento fu valutato abnorme. Nell’esaminare la concreta fattispecie sottoposta alla sua attenzione, infatti, la sentenza n. 38956/2005 pose in luce (pag. 3 della motivazione), che, in quel caso, «l’esecutorietà della statuizione civile» era stata anticipata a tal punto «da essere collocata in un momento addirittura antecedente alla formazione del documento-sentenza» e proprio in questo ravvisò una anomalia tale da determinare l’abnormità della statuizione.
La motivazione è chiara in tal senso: vi si legge, infatti (pag. 3 e pag. 4), che «il sistema dei termini dell’impugnazione, previsto dal vigente ordinamento processualpenalistico, è ancorato, per la gran parte, al momento del deposito della sentenza, secondo le generali previsioni dell’art. 585 cod. proc. pen, nel senso che il dies a quo per l’impugnativa è fissato alla scadenza del termine di deposito stabilito dalla legge o determinato dal giudice, a mente dello stesso art. 585, comma 2, lett. c)», e che, nel caso di specie, COGNOME «la disposta anticipazione» precede COGNOME addirittura «l’inizio del decorso del termine per impugnare» risultandone «preclusa, per il periodo di riferimento, la facoltà prevista dall’art. 600, comma terzo, di chiedere al giudice di appello», in presenza delle prescritte condizioni, la sospensione dell’esecuzione della condanna al pagamento della provvisionale.
In conclusione, il provvedimento annullato dalla sentenza n. 38956/2005 fu valutato abnorme in ragione della «discrasia temporale tra il momento dell’immediata esecutività ed il momento ai partire dal quale matura la facoltà d’impugnazione». Questa discrasia determinava, infatti, un «vuoto di difesa», potendo la parte «essere raggiunta dagli effetti di un provvedimento giurisdizionale invasivo dell’ambito dei suoi diritti soggettivi, quali sono quell afferenti alla sfera patrimoniale, senza poter azionare nessun strumento di tutela» (così, testualmente, pag. 4). Ben diverso è il caso oggetto del presente ricorso, nel quale, a fronte di un termine per il deposito della motivazione indicato in novanta giorni, il termine per il pagamento della provvisionale è stato fissato in mesi quattro dalla lettura del dispositivo. In questo caso, infatti, no
può dirsi che si sia verificato un «vuoto di difesa», né una paralisi del dirit dell’imputato a impugnare la statuizione di cui si tratta.
6. Alla luce delle argomentazioni svolte si deve osservare:
che, come anche i ricorrenti riconoscono, la statuizione impugnata è espressione di un potere riconosciuto al giudice dall’art. 165 cod. pen. sicché non può essere ritenuto abnorme in astratto;
che non vi sono profili di abnormità in concreto, atteso che non è stata preclusa la possibilità per gli imputati di avvalersi della facoltà, previs dall’art. 600, comma 3, cod. proc. pen., di chiedere al giudice di appello la sospensione dell’esecuzione della condanna al pagamento della provvisionale.
Pertanto, la statuizione impugnata non ha determinato l’insorgere di una situazione processuale radicalmente diversa rispetto a quella configurata dalla legge. Ed invero, dopo il deposito della motivazione, v’era un termine entro il quale gli imputati potevano adire la Corte di appello ai sensi dell’art. 600, comma 3, cod. proc. pen. Per effetto della decisione impugnata, inoltre, non si è determinata alcuna stasi del processo. La parte del dispositivo oggetto dei ricorsi, infatti, poteva (e può ancora) essere impugnata unitamente alla condanna.
In sintesi, e conclusivamente, non è possibile sostenere che la statuizione impugnata sia stata adottata in una situazione processuale radicalmente diversa da quella configurata dalla legge e al di là di ogni ragionevole limite. Tale statuizione, inoltre, per quanto censurabile in diritto, non è né strutturalmente, né funzionalmente abnorme.
All’inammissibilità dei ricorsi consegue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali. Tenuto conto della sentenza della Corte costituzionale n. 186 del 13 giugno 2000 e rilevato che non sussistono elementi per ritenere che i ricorrenti non versassero in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, deve essere disposto a carico di ciascuno di loro, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere di versare la somma di C 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende, somma così determinata in considerazione delle ragioni di inammissibilità.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila ciascuno in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 28 novembre 2023
II Consiglere estensore
Il Pres dente