Sospensione Condizionale della Pena: Il Ruolo Decisivo della Condotta Passata
La sospensione condizionale della pena rappresenta uno strumento fondamentale nel nostro ordinamento, volto a favorire il reinserimento sociale del condannato evitando gli effetti desocializzanti del carcere per reati di minore gravità. Tuttavia, la sua concessione non è automatica, ma è subordinata a una valutazione prognostica da parte del giudice. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione chiarisce come la condotta passata dell’imputato, e in particolare il fallimento di precedenti misure alternative, possa essere determinante per negare il beneficio.
Il Contesto del Ricorso: un Beneficio Negato
Il caso esaminato dalla Suprema Corte riguarda un imputato che ha impugnato la sentenza della Corte di Appello con cui gli era stata negata la concessione della sospensione condizionale della pena. Il motivo centrale del ricorso era la contestazione della correttezza della motivazione addotta dai giudici di secondo grado per giustificare tale diniego.
La Precedente Messa alla Prova
L’elemento chiave della vicenda era un fatto specifico del passato dell’imputato: egli aveva già beneficiato in precedenza della misura della ‘messa alla prova’ per un altro reato. Nonostante questa opportunità, era tornato a delinquere. Questo comportamento è stato interpretato dalla Corte di Appello come un indicatore negativo, una prova concreta della sua incapacità di astenersi dal commettere ulteriori illeciti penali.
La Valutazione della Corte sulla Sospensione Condizionale della Pena
La Corte di Cassazione ha ritenuto il ricorso manifestamente infondato, confermando in toto la decisione dei giudici di merito. I giudici supremi hanno sottolineato che la sentenza impugnata si basava su un apparato argomentativo solido e coerente, in linea con quanto previsto dall’articolo 164 del codice penale.
Il Criterio della Prognosi Futura
La norma citata stabilisce che il giudice, per concedere o negare il beneficio, deve formulare una prognosi sul comportamento futuro del condannato. Sulla base dei parametri indicati dall’articolo 133 del codice penale (che includono, tra gli altri, le modalità dell’azione e le condizioni di vita dell’imputato), il giudice deve ritenere che il colpevole si asterrà dal commettere ulteriori reati. In questo quadro, la ricaduta nel reato dopo una messa alla prova costituisce un elemento di valutazione estremamente negativo.
Le Motivazioni della Decisione
La motivazione della Corte di Cassazione è chiara: la decisione di negare il beneficio era priva di illogicità e pienamente conforme alla legge. Il giudice non è obbligato a esaminare e menzionare ogni singolo parametro previsto dall’art. 133 c.p., ma può legittimamente fondare la sua decisione sugli elementi che ritiene prevalenti e più significativi. Nel caso di specie, il ritorno al delitto dopo un percorso come la messa alla prova è stato considerato l’elemento preponderante, sufficiente a fondare un giudizio prognostico sfavorevole. La sospensione condizionale, infatti, non è un diritto, ma un beneficio concesso sulla base di una valutazione discrezionale del giudice, finalizzata a comprendere se possa costituire un’efficace ‘controspinta’ al delitto.
Le Conclusioni
L’ordinanza ribadisce un principio consolidato: la valutazione per la concessione della sospensione condizionale della pena è fortemente ancorata alla storia personale e criminale del soggetto. Un fallimento precedente, come la commissione di un nuovo reato dopo aver usufruito della messa alla prova, è un dato fattuale che può legittimamente portare il giudice a ritenere che il condannato non sia meritevole del beneficio, in quanto ha già dimostrato di non essere in grado di cogliere le opportunità offertegli dall’ordinamento per astenersi dal delinquere. Di conseguenza, il ricorso è stato dichiarato inammissibile, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma a favore della Cassa delle ammende.
Aver già beneficiato della messa alla prova e poi commettere un altro reato impedisce di ottenere la sospensione condizionale della pena?
Sì, secondo la Corte può essere un motivo determinante per negare il beneficio. Tale comportamento viene interpretato come un dato negativo concreto che dimostra la scarsa capacità dell’imputato di astenersi dal commettere reati, giustificando una prognosi sfavorevole da parte del giudice.
Il giudice deve considerare tutti i parametri dell’art. 133 del codice penale per decidere sulla sospensione condizionale?
No, la sentenza chiarisce che il giudice non è tenuto a prendere in considerazione tutti i parametri indicati dalla norma, ma può basare la sua decisione su quelli che ritiene prevalenti e più significativi per formulare il suo giudizio prognostico sulla futura condotta del condannato.
Qual è l’esito di un ricorso giudicato manifestamente infondato dalla Corte di Cassazione?
Quando un ricorso è ritenuto manifestamente infondato, viene dichiarato inammissibile. Ciò comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di denaro alla Cassa delle ammende.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 35106 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 35106 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 26/06/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a ROMA il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 06/11/2023 della CORTE APPELLO di ROMA
dato avviso alle parti; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
Motivi della decisione
Visti gli atti e la sentenza impugnata;
esaminato il ricorso proposto da COGNOME NOME a mezzo del difensore.
Ritenuto che il motivo prospettato nel ricorso, in cui si contesta la correttezza della motivazione posta a base del diniego della concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena è manifestamente infondato.
Considerato che la sentenza impugnata è sorretta da conferente apparato argomentativo: la Corte di Appello ha evidenziato il dato negativo concretato dalla condotta dell’imputato, il quale è ritornato a delinquere dopo avere beneficiato della messa alla prova per un fatto precedentemente commesso, così dimostrando di non essere capace di astenersi dalla commissione di reati. Trattasi di motivazione esente da palese illogicità e conforme al dettato normativo (art.164, primo comma, cod. pen.) per cui il giudice deve concedere o negare il beneficio sulla base dei criteri di politica criminale che governano l’istituto, e cioè deve concederlo ogni volta che, sulla base dei parametri di cui all’art. 133 cod. pen., ritenga che il colpevole si asterrà dal commettere ulteriori reati e che la stessa sospensione condizionale possa costituire per il condannato una controspinta al delitto. Posto che tra i parametri elencati dall’art.133 cod. pen. rientrano sia le modalità dell’azione che le condizioni di vita dell’imputato, non si può ritenere che la sentenza impugnata presenti alcun vizio di motivazione, non essendo il giudice tenuto a prendere in considerazione tutti i parametri indicati da tale norma dopo aver enunciato quelli ritenuti prevalenti (Sez. 3, n.6641 del 17/11/2009, dep.2010, COGNOME, Rv. 246184; Sez. 3, n.9915 del 12/11/2009, dep.2010, COGNOME, Rv. 246250; Sez. 4, n.9540 del 13/07/1993, COGNOME, Rv. 195225).
Rilevato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 26 giugno 2024
Il Consigliere estensore
Il Ptesidnte