Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 20340 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 4 Num. 20340 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 10/04/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da: NOME nato il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 21/11/2023 della CORTE APPELLO di TORINO
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore
NOME COGNOME, nel senso dell’inammissibilità del ricorso;
RITENUTO IN FATTO
La Corte d’appello di Torino, con la pronuncia indicata in epigrafe, in parziale riforma della sentenza di primo grado, ha confermato la responsabilità di NOME COGNOME per fattispecie in materia di stupefacenti (di cui all’art. 73 d.P.R. n9 ottobre 1990, n. 309).
Avverso la sentenza, nell’interesse l’imputato, è stato proposto ricorso fondato su un motivo, di seguito enunciato nei limiti strettamente necessari per la motivazione (ex art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen.), con il quale si deducono violazione di legge e mancanza della motivazione in merito alla mancata concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena. La Corte territoriale avrebbe errato nel non concedere, d’ufficio, il detto beneficio dopo aver escluso, in accoglimento del relativo motivo d’appello, la contestata recidiva, in ragione del venir meno degli effetti penali della relativa condanna a pena sospese (per il decorso del tempo senza l’ulteriore commissione di reati), e ritenuto non accoglibile l’istanza di sostituzione della pena detentiva con la corrispondente pena pecuniaria.
La Procura generale ha concluso per iscritto nei termini di cui in epigrafe.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile.
Ci si duole difatti della mancata concessione, d’ufficio, ex art. 597, comma 5, cod. proc. pen., del beneficio della sospensione condizionale della pena laddove, come chiarito da Sez. U, 22533 del 25/10/2018, dep. 2019, Salerno, Rv. 275376, fermo l’obbligo del giudice d’appello di motivare circa il mancato esercizio del potere-dovere di applicazione di detto beneficio in presenza delle condizioni che ne consentono il riconoscimento, l’imputato non può dolersi, con ricorso per cassazione, della sua mancata concessione, qualora non l’abbia richiesta. Quanto innanzi vale anche nel caso in cui nell’atto d’appello o in sede di discussione siano stati genericamente richiamati i «benefici di legge», omettendo l’indicazione di alcun elemento di fatto idoneo a giustificare l’accoglimento della richiesta della concessione dei detti benefici (ex plurimis, Sez. 1, n. 44188 del 20/09/2023, T., Rv. 285413, e Sez. 4, n. 1513 del 03/12/2013, dep. 2014, Shehi, Rv. 258487; sul punto si veda anche Sez. 4, n. 29538 del 28/05/2019, COGNOME, Rv. 276596 per cui il mancato esercizio del potere-dovere del giudice di appello di applicare di ufficio i benefici di legge una o più circostanze attenuanti, non accompagnato da alcuna motivazione, non può costituire motivo di ricorso per cassazione per violazione di legge o difetto di motivazione, se l’effettivo espletamento del medesimo potere-dovere non sia stato sollecitato da una delle parti, almeno in sede di conclusioni nel giudizio di appello, ovvero, nei casi in cui intervenga condanna la prima volta in appello, /
neppure con le conclusioni subordinate proposte dall’imputato nel giudizio di primo grado).
In conclusione, all’inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende, ex art. 616 cod. proc. pen., che si ritiene equa valutati i profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità emergenti dal ricorso nei termini innanzi evidenziati (Corte cost. n. 186/2000).
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 10 aprile 2024 Il
Il Presidente