Sospensione condizionale della pena: quando la mancanza di collaborazione ne impedisce la concessione
La sospensione condizionale della pena è uno dei benefici più importanti previsti dal nostro ordinamento penale, ma la sua concessione non è automatica. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione chiarisce come l’assenza di una condotta collaborativa da parte dell’imputato possa essere decisiva per negare tale beneficio, rendendo inammissibile un ricorso che non affronta specificamente questo punto. Analizziamo insieme la decisione per comprenderne la portata.
I Fatti del Caso
Il caso trae origine dalla condanna di un individuo per il reato di false attestazioni a un pubblico ufficiale, previsto dall’art. 495 del codice penale. La condanna, emessa dal Giudice dell’udienza preliminare con rito abbreviato, era stata confermata dalla Corte d’Appello. L’imputato ha quindi presentato ricorso in Cassazione, lamentando la violazione della legge penale e un vizio di motivazione in relazione alla mancata concessione della sospensione condizionale della pena.
L’importanza della prognosi futura per la sospensione condizionale della pena
Il fulcro della decisione della Corte di Cassazione non riguarda il merito della colpevolezza, ma i requisiti per ottenere il beneficio della sospensione condizionale. La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, sottolineando come l’imputato non si sia confrontato adeguatamente con le argomentazioni della Corte territoriale.
La Corte d’Appello aveva infatti negato il beneficio basando la sua decisione su una motivazione logica e sufficiente: l’assenza di una reale ed effettiva condotta collaborativa da parte dell’imputato. Questo elemento è stato ritenuto cruciale per formulare una prognosi sul suo futuro comportamento. Secondo i giudici di merito, la mancanza di collaborazione non permetteva di escludere una “prognosi negativa”, ovvero il rischio che l’imputato potesse commettere altri reati in futuro.
Le Motivazioni della Decisione
La Cassazione ha ritenuto il motivo del ricorso inammissibile perché generico. Il ricorrente si è limitato a denunciare la mancata concessione del beneficio senza contestare nel dettaglio il ragionamento della Corte d’Appello. Per ottenere la sospensione condizionale della pena, non basta essere incensurati; il giudice deve compiere una valutazione complessiva sulla personalità dell’imputato e sulla sua probabilità di astenersi dal commettere nuovi reati. In questo quadro, la condotta processuale, inclusa quella collaborativa, assume un peso rilevante. La Corte ha quindi confermato che l’analisi della Corte territoriale era ben fondata e che il ricorso non presentava argomenti validi per metterla in discussione.
Le Conclusioni
Con questa ordinanza, la Corte di Cassazione ribadisce un principio fondamentale: per contestare il diniego di un beneficio come la sospensione condizionale, non è sufficiente una critica generica. È necessario smontare punto per punto il ragionamento del giudice di merito. La decisione sottolinea inoltre come la condotta dell’imputato durante il processo possa essere interpretata come un indicatore della sua affidabilità futura. L’assenza di collaborazione, in questo caso, è stata letta come un fattore ostativo alla concessione del beneficio. Di conseguenza, il ricorso è stato dichiarato inammissibile, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma alla Cassa delle ammende.
Perché il ricorso per la sospensione condizionale della pena è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché l’imputato non ha contestato in modo specifico le argomentazioni sufficienti e logiche della corte territoriale, che aveva negato il beneficio.
Qual è stato l’elemento decisivo per la corte nel negare la sospensione della pena?
L’elemento decisivo è stata l’assenza di una reale ed effettiva condotta collaborativa da parte dell’imputato, ritenuta necessaria per escludere una prognosi negativa sul suo comportamento futuro.
Quali sono state le conseguenze economiche per il ricorrente?
Il ricorrente è stato condannato al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 353 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 353 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 09/10/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da: NOME COGNOME nato il 30/05/1995
avverso la sentenza del 20/10/2023 della CORTE APPELLO di PERUGIA
dato avviso alle parti; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO e CONSIDERATO IN DIRITTO
Rilevato che NOME COGNOME ricorre per cassazione avverso la sentenza della Corte d’appello di Perugia che ha confermato la pronuncia con la quale il Giudice dell’udienza preliminare di Terni, all’esito del giudizio celebrato con il ri abbreviato, ha affermato la penale responsabilità dell’imputato in ordine al delitto di cui all’art. 495 cod. pen.;
Considerato che l’unico motivo, con il quale si denuncia violazione della legge penale e vizio di motivazione in relazione alla mancata concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena, è inammissibile. Invero il ricorrente non si confronta con le argomentazioni sufficienti e logiche rese dalla corte territoriale che, sul punto, ha sottolineato l’assenza di una reale ed effettiva condotta collaborativa dell’imputato idonea a escludere una prognosi negativa;
Ritenuto, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 09 ottobre 2024
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