Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 23454 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2 Num. 23454 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 12/04/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto nell’interesse di NOME, nato a COGNOME il DATA_NASCITA, contro la sentenza della Corte di Appello di COGNOME dell’8.1.2024;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso; udita la relazione svolta dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME; letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 13.4.2023 il Tribunale di COGNOME aveva riconosciuto NOME COGNOME responsabile del delitto di ricettazione di sei caprini risulta provento di furto denunziato da tale COGNOME NOME nel novembre del 2019 e, di conseguenza, lo aveva condannato alla pena di anni 1 di reclusione ed euro 400
di multa oltre al pagamento delle spese processuali ed al risarcimento dei danni patiti dalla costituita parte civile, in cui favore aveva liquidato una provvision pari ad euro 2.500;
la Corte d’appello di COGNOME, in parziale riforma della sentenza di primo grado, confermata per il resto, ha ridotto la provvisionale liquidata dal Tribunale ad euro 750,00;
ricorre per cassazione il COGNOME per il tramite del difensore di fiducia che deduce:
3.1 mancanza, manifesta illogicità e contraddittorietà della motivazione in quanto contraria alle risultanze dell’istruttoria dibattimentale: rileva che condanna del ricorrente è in contrasto con la dichiarazione resa dal COGNOME in cui questi aveva riconosciuto di aver venduto all’odierno ricorrente, nel luglio del 2019, 12 caprini al prezzo complessivo di euro 480 con riserva di formalizzare successivamente la transazione nonché, poi, con le deposizioni dei testi COGNOME e COGNOME; segnala che il COGNOME aveva riferito che la vendita aveva avuto ad oggetto “altri animali” (capretti) ma che le sue dichiarazioni non trovano alcun riscontro e contrastano con altri elementi acquisiti; osserva che la Corte d’appello ha in realtà invertito le versioni fornite dall’imputato e dalla persona offesa in modo finendo per travisare il dato probatorio in quanto la versione difensiva è coerente con il prezzo pagato per ciascun capo e pari a quattro volte quello corrente per un capretto; aggiunge che era stata la stessa Corte territoriale ad affermare che i capi rinvenuti avevano tra i tre ed i sette anni e, pertanto, non potevano corrispondere ai “capretti” asseritamente venduti dal COGNOME e che, come riferito dal teste COGNOME, non sono soliti trovarsi nel mese di luglio; riporta ancora, la deposizione del teste COGNOME, non valutata dalla Corte; insiste, quindi, per la assoluzione dell’imputato; Corte di Cassazione – copia non ufficiale
3.2 mancanza di motivazione sull’elemento psicologico: segnala il carattere apodittico della motivazione resa dalla Corte d’appello in punto di elemento psicologico sulla cui sussistenza non è stato acquisito il minimo elemento; anche sotto questo profilo insiste per la assoluzione dell’imputato quantomeno per la insufficienza o contraddittorietà della prova;
3.3 illogicità della motivazione in ordine al valore delle capre ed alla mancata applicazione dell’art. 131-bis cod. pen.: rileva come non possa ritenersi che il valore di sei capre anziane non abbia consentito di applicare la causa di non punibilità la cui finalità deflattiva avrebbe invece consentito di ritenern presupposti applicativi;
3.4 mancanza della motivazione in ordine alla mancata sospensione condizionale della pena: rileva che la difesa aveva censurato la sentenza di primo grado per non avere dedicato alcuna considerazione al beneficio che, tuttavia, nemmeno la Corte territoriale, benché in tal senso sollecitata, ha ritenuto di affrontare;
la Procura AVV_NOTAIO ha trasmesso la requisitoria scritta ai sensi dell’art. 23, comma 8, del DL 137 del 2020 concludendo per l’inammissibilità del ricorso: rileva, infatti, la insussistenza del denunziato vizio di motivazione poiché la Corte d’appello ha evidenziato le responsabilità del ricorrente oltre ogni ragionevole dubbio saldando in maniera logica e congrua le fonti di prova in atti; aggiunge che il ricorso finisce con l’attingere il merito, proponendo un’interpretazione alternativ dei fatti sia per quanto riguarda la ricostruzione dei fatti che per l’element soggettivo; rileva che la motivazione risulta adeguata anche relativamente alla mancata applicazione della causa di non punibilità avendo la Corte evocato la concessione della sospensione condizionale, fatta discendere dalla presenza di precedenti penali;
la difesa del ricorrente ha trasmesso una memoria in replica alle considerazioni svolte dalla Procura AVV_NOTAIO di cui ha contestato la congruenza rispetto alle ragioni ed alle censure articolate con il ricorso dove, senza sollevare questioni di merito, era stata a sua avviso stigmatizzata la mancata considerazione di elementi decisivi emersi dall’istruttoria dibattimentale e sui quali era stata richiamata l’attenzione della Corte territoriale senza, tuttavia, che ne fossero stat colti il senso e la rilevanza; ribadisce, ancora, la censura articolata con il second motivo del ricorso in punto di difetto dell’elemento soggettivo come, anche, con il terzo motivo concernente la ritenuta inapplicabilità della causa di esclusione della punibilità di cui all’art. 131-bis cod. pen. nonché il quarto motivo relati all’omesso riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche e del beneficio della sospensione condizionale della pena.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è fondato limitatamente al quarto motivo; nel resto è inammissibile perché articolato su censure manifestamente infondate ovvero non consentite in questa sede.
Tali sono, infatti, il primo ed il secondo motivo del ricorso che ben possono essere trattati congiuntamente denunciando vizio di motivazione prospettato anche sotto il profilo del travisamento della prova – in ordine alla
sussistenza degli elementi oggettivo e soggettivo del delitto per cui è intervenuta la condanna.
Non è perciò inutile ribadire che, con riguardo al vizio di cui all’art. 606 comma 1, lett. e), cod. proc. pen., il sindacato di legittimità deve essere mirato a verificare che la motivazione: a) sia “effettiva”, ovvero realmente idonea a rappresentare le ragioni che il giudicante ha posto a base della decisione adottata; b) non sia “manifestamente illogica”, perché sorretta, nei suoi punti essenziali, da argomentazioni non viziate da evidenti errori nell’applicazione delle regole della logica; c) non sia internamente “contraddittoria”, ovvero esente da insormontabili incongruenze tra le sue diverse parti o da inconciliabilità logiche tra le affermazioni in essa contenute; d) non risulti logicamente “incompatibile” con “altri atti del processo” (indicati in termini specifici ed esaustivi dal ricorrente nei motivi posti sostegno del ricorso) in misura tale da risultarne vanificata o radicalmente inficiata sotto il profilo logico (cfr., Sez. 1, n. 41738 del 19/10/2011, Pnnt in proc. Longo Rv. 251516; Sez. 6, n. 10951 del 15/03/2006, COGNOME, Rv. 233708; Sez. 2, n. 36119 del 04/07/2017, COGNOME, Rv. 270801).
Non sono perciò deducibili, in sede di legittimità, censure relative alla motivazione diverse da quelle che abbiano ad oggetto la sua mancanza, la sua manifesta illogicità, la sua contraddittorietà (intrinseca o con atto probatori ignorato quando esistente, o affermato quando mancante), su aspetti essenziali per pervenire ad una diversa conclusione del processo; sono dunque inammissibili tutte le doglianze che “attaccano” la persuasività, l’inadeguatezza, la mancanza di rigore o di puntualità, la stessa illogicità quando non manifesta, così come quelle che sollecitano una differente comparazione dei significati probatori da attribuire alle diverse prove o evidenziano ragioni in fatto per giungere a conclusioni differenti sui punti dell’attendibilità, della credibilità, dello spessore della val probatoria del singolo elemento (cfr., in tal senso, Sez. 6, n. 13809 del 17/03/2015, 0., Rv. 262965; Sez. 2 – , n. 9106 del 12/02/2021, COGNOME, Rv. 280747).
Vero che tra i vizi riconducibili al novero di quelli denunziabili ai sens dell’art. 606 comma 1 lett. e) cod. proc. pen. vi è quello del “travisamento” della prova che, come è noto, è ravvisabile nel caso di contraddittorietà della motivazione risultante dal testo del provvedimento impugnato, ovvero da altri atti del processo indicati nei motivi di gravame, ovvero dall’errore cosiddetto revocatorio, che cadendo sul significante e non sul significato della prova, si traduce nell’utilizzo di una prova inesistente per effetto di una errata percezione di quanto riportato dall’atto istruttorio ovvero nella omessa valutazione di una prova decisiva ai fini della pronuncia (cfr., tra le tante, Sez. 5, n. 18542 de
21/01/2011, COGNOME, Rv. 250168; Sez. 2, n. 47035 del 03/10/2013, COGNOME, Rv. 257499; Sez. 5, n. 8188 del 04/12/2017, COGNOME, Rv. 272406; Sez. 2, n. 27929 del 12/06/2019, COGNOME, Rv. 276567).
La giurisprudenza ha avuto nel tempo modo di chiarire che il controllo del giudice di legittimità si può estendere alla omessa considerazione o al travisamento della prova, purché, però, si tratti di una prova decisiva; si è inoltre sottolineato che è deducibile in sede di legittimità e rientra, pertanto, in dett controllo soltanto l’errore per l’appunto “revocatorio”, in quanto il rapporto di contraddizione esterno al testo della sentenza impugnata non può che essere inteso in senso stretto, quale rapporto di negazione sulle premesse, mentre ad esso è estraneo ogni discorso confutativo sul significato della prova, ovvero di mera contrapposizione dimostrativa, considerato che nessun elemento di prova, per quanto significativo, può essere interpretato per “brani” né fuori dal contesto in cui è inserito; ne deriva che gli aspetti del giudizio che consistono nella valutazione e nell’apprezzamento del significato degli elementi acquisiti attengono interamente al merito e non sono rilevanti nel giudizio di legittimità se non quando risulti viziato il discorso giustificativo sulla loro capacità dimostrativa, con conseguenza per cui restano inammissibili, in sede di legittimità, le censure che siano nella sostanza rivolte a sollecitare soltanto una rivalutazione del risultato probatorio (cfr., tra le tante, Sez. 6, n. 9923 del 05/12/2011, S., Rv. 252349; Sez. 5, n. 8094 del 11/01/2007, COGNOME, Rv. 236540 in cui la Corte,; in tal senso, anche Sez. 2, n. 7380 del 11/01/2007, COGNOME ed altro, Rv. 235716).
Tanto premesso va ad ogni modo segnalato che, nel caso di specie, si è in presenza, come accennato, ed in punto di responsabilità, di una “doppia conforme” di merito, ovvero di decisioni che, nei due gradi, sono pervenute – su questo aspetto – a conclusioni analoghe sulla scorta di una conforme valutazione delle medesime emergenze istruttorie, cosicché vige il principio per cui la sentenza di appello, nella sua struttura argomentativa, si salda con quella di primo grado sia quando operi attraverso ripetuti richiami a quest’ultima sia quando, per l’appunto, adotti gli stessi criteri utilizzati nella valutazione delle prove, con la conseguenza che le due sentenze possono essere lette in maniera congiunta e complessiva ben potendo integrarsi reciprocamente dando luogo ad un unico complessivo corpo decisionale (cfr., Sez. 2 – , n. 37295 del 12/06/2019, E., Rv. 277218; Sez. 3, n. 13926 del 01/12/2011, NOME, 252615; Sez. 3, n. 44418 del 16/07/2013, COGNOME, Rv. 257595).
Detto questo, è allora agevole rendersi conto del fatto che il denunziato “travisamento” si risolve, in realtà, nella contestazione dell’esito della lettura ch delle prove – indiscutibilmente valutate dai giudici di merito – sia stata operata e
sia stata rappresentata nelle sentenze di primo e di secondo grado e sorretta da una motivazione che non presenta profili di criticità tali da renderla censurabile in questa sede.
La sentenza impugnata, infatti, ha preso in esame il primo motivo di appello ritenendo non dirimenti e, anzi, interrogandosi retoricamente su quale sarebbe la portata, ad avviso della difesa determinante, delle dichiarazioni rese dal COGNOME e dal COGNOME; ha osservato che quest’ultimo aveva riferito della consegna di alcuni capi caprini acquistati dall’imputato tramite un sensale di nome “COGNOME“, sconosciuto a lui come anche al COGNOME e che si vorrebbe riferire ad una compravendita e ad un acquisto dalla stessa parte civile (cfr., pagg. 3-4 della sentenza).
I giudici di secondo grado non hanno affatto trascurato (o equivocato) la versione difensiva che faceva perno sulla vendita effettuata nel luglio del 2019 dal COGNOME al NOME (che non poteva avere ad oggetto dei capretti in quanto, secondo la difesa, a luglio le capre non partoriscono) e che invece avrebbe riguardato proprio le capre di cui vi è traccia nella deposizione del COGNOME; ha tuttavia congruamente osservato che i capi rinvenuti presso l’azienda del NOME erano muniti di bolo endoruminale del COGNOME e che, soprattutto, si trattava di capre erano in piena attività da latte e riproduttiva e non affatto, come sostenuto dalla difesa, “vecchie” e da macello.
Manifestamente infondato è anche il terzo motivo, con cui la difesa lamenta un difetto di motivazione circa la mancata applicazione della causa di non punibilità di cui all’art. 131-bis cod. pen.: la Corte d’appello, al contrario, fondato la sua decisione su una serie di argomenti tra cui risulta assorbente ed esaustivo il riferimento al “… non disprezzabile valore dei capi (che, per quanto minimizzato dai testi escussi, sempre per come ritraibile da fonte aperta, per sei capre di quella riscontrata età, sfiora il mezzo migliaio di euro) e l’indubbio danno creato all’azienda del RAGIONE_SOCIALE” (cfr., pag. 5).
3. Il quarto motivo, invece, è fondato.
Con l’atto di appello la difesa aveva sollecitato il riconoscimento del beneficio della sospensione condizionale della pena su cui, tuttavia, la sentenza impugnata è rimasta del tutto silente omettendo di prendere in esame la richiesta, anche al fine di disattenderla motivatamente, il che finisce per viziare irrimediabilmente la decisione impugnata (cfr., Sez. 6, n. 12540 del 12/10/2000, Brescia, Rv. 218172 – 01) che va perciò annullata sul punto con rinvio ad altra Sezione della Corte di appello di COGNOME per nuovo esame sul punto specifico.
P.Q.M .
annulla la sentenza impugnata limitatamente alla sospensione condizionale della pena con rinvio per nuovo giudizio sul punto ad altra Sezione della Corte d’appello di COGNOME.
Dichiara inammissibile nel resto il ricorso ed irrevocabile il giudizio di responsabilità.
Così deciso in Roma, il 12.4.2024