Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 8060 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 8060 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 23/10/2024
SENTENZA
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sul ricorso di NOME nato in Romania il 19/08/1985, LL avverso la sentenza in data 28/03/2024 della Corte di appello di Torino, visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME;
letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, NOME COGNOME che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;
letta per l’imputato la memoria dell’avv. NOME COGNOME che ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso
RITENUTO IN FATTO
1.Con sentenza in data 28 marzo 2024 la Corte di appello di Torino, in riforma della sentenza in data 21 ottobre 2022 del G.i.p. del Tribunale di Novara, ha sostituito nei confronti di NOME COGNOME la pena detentiva con la corrispondente pena pecuniaria di euro 3.450 di ammenda per il reato dell’art. 256, comma 2, lett. a) e b), d.lgs. n. 152 del 2006.
Il ricorrente lamenta con il primo motivo la violazione di legge perché gli era stato negato il beneficio della sospensione condizionale della pena; con il secondo la violazione di legge e di norme processuali perché la conversione della
pena detentiva era stata disposta senza il previo contraddittorio; con il terzo la violazione di legge e di norme processuali perché non era stato ammesso ai lavori di pubblica utilità.
CONSIDERATO IN DIRITTO
3. Il ricorso è manifestamente infondato.
L’imputato non ha potuto fruire del beneficio della sospensione condizionale della pena perché risulta dal casellario giudiziale che aveva riportato ben due condanne a pena detentiva per delitti, prima dei fatti oggetto del presente processo, e cioè ad anni uno e mesi tre di reclusione per furto continuato aggravato accertato con sentenza del Tribunale di Aosta del 12 ottobre 2012 e a mesi tre di reclusione per uso di atto falso accertato con sentenza del Tribunale di Verona del 12 novembre 2019. A differenza di quanto prospettato in ricorso, l’ultimo comma dell’art. 164 cod. pen. non autorizza l’applicazione del beneficio in caso di terza condanna, ma solo in caso di «nuova condanna» qualora la pena da infliggere, cumulata con quella irrogata con la «precedente condanna» anche per delitto, non superi i limiti stabiliti dall’art. 163 cod. pen., espressioni quelle indicate da leggersi al singolare e non al plurale (Sez. 7, n. 13317 del 07/02/2012, Laouar, non mass., che cita Sez. 3, n. 7836 del 21/11/1975, dep. 1976, COGNOME, Rv. 134082; Sez. 5, Sentenza n. 8993 del 13/07/1988, COGNOME, Rv. 179099). E ciò perché la presenza delle due condanne precedenti, qualunque sia la specie ed entità delle pene inflitte, impedisce di formulare una previsione favorevole sulla futura condotta dell’imputato (Sez. 4, n. 26241 del 14/05/2013, COGNOME, non mass.). La giurisprudenza ha contemplato la possibilità di applicare il beneficio solo nel caso in cui i reati delle due precedenti condanne siano avvinti dal vincolo della continuazione in quanto, per la concezione unitaria del reato continuato, ai fini del trattamento sanzionatorio, la pluralità di condanne è assimilabile a una condanna unica ed è compito del giudice dell’esecuzione valutare se il beneficio possa estendersi alla pena complessivamente determinata (Sez. 1, n. 17871 del 25/01/2017, COGNOME, Rv. 269844 – 01). La sentenza citata dal ricorrente a sostegno del primo motivo – Sez. 4, n. 8367 del 27/02/2024, COGNOME, non mass. – riguarda il diverso caso di una seconda condanna e non di una terza condanna e si pone nel solco dell’interpretazione giurisprudenziale consolidata dell’ultimo comma dell’art. 164 cod. pen. come seguita anche dalla Corte di appello di Torino. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
L’imputato ha poi lamentato con gli altri due motivi che gli era stata convertita la pena detentiva in pena pecuniaria senza un’ulteriore interlocuzione e che non era stato ammesso ai lavori di pubblica utilità che pure aveva richiesto. Le censure sono inconsistenti perché il ricorrente ha formulato le due richieste in
via alternativa (così in sentenza) e la Corte territoriale ha optato per la conversione, non ravvisando i presupposti per l’ammissione ai lavori di pubblica utilità. L’art. 545-bis cod. proc. pen. consente al giudice di sostituire immediatamente la pena detentiva con una delle pene sostitutive, tra cui la pena pecuniaria, previste dall’art. 53 legge 24 novembre 1981, n. 689, e solo se non è possibile decidere immediatamente, subito dopo la lettura del dispositivo, interloquisce con le parti e con il consenso dell’imputato integra il dispositivo. La seconda fase quindi è solo eventuale e non necessaria. Nel caso in esame, a differenza di quanto rappresentato in ricorso, l’imputato ha chiesto per mezzo del difensore, costituito procuratore speciale, la sostituzione della pena detentiva, per cui la Corte territoriale, investita fin dall’atto di appello della richiesta, ha ritenu con motivazione non manifestamente illogica o contraddittoria che non ci fossero i presupposti per l’ammissione ai lavori di pubblica utilità e ci fossero invece quelli per la conversione in pena pecuniaria. Del resto, ai sensi dell’art. 58 legge 24 novembre 1981, n. 689 spetta al giudice scegliere tra le pene sostitutive quella più idonea alla rieducazione e al reinserimento sociale del condannato con il minor sacrificio della libertà personale, indicando i motivi che giustificano l’applicazione della pena sostitutiva e la scelta del tipo e, inoltre, mentre per la semilibertà, la detenzione domiciliare e il lavoro di pubblica utilità è necessario il consenso dell’imputato, espresso personalmente o a mezzo di procuratore speciale, non così per la conversione in pena pecuniaria.
Sulla base delle considerazioni che precedono, la Corte ritiene pertanto che il ricorso debba essere dichiarato inammissibile, con conseguente onere per il ricorrente, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., di sostenere le spese del procedimento. Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale in data 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza “versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, si dispone che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di euro 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle Ammende Così deciso, il 23 ottobre 2024