Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 20016 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 20016 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 20/03/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME nato a BOLOGNA il 17/01/1963
avverso la sentenza del 08/07/2024 della CORTE APPELLO di BOLOGNA visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
lette le conclusioni del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto l’annullamento della sentenza senza rinvio per essere i reati ascritti all’imputata estinti per intervenuta prescrizione, con conferma delle statuizioni civili;
ricorso trattato in camera di consiglio senza la presenza delle parti, in mancanza di richiesta di trattazione orale pervenuta nei termini, secondo quanto disposto dagli articoli 610 co. 5 e 611 co. 1 bis e ss. c.p.p..
RITENUTO IN FATTO
Con l’impugnato provvedimento, la Corte d’appello di Bologna, in riforma della sentenza del Tribunale di Bologna del 3 agosto 2023, ha dichiarato di non doversi procedere per intervenuta prescrizione nei confronti di NOME COGNOME relativamente a tre distinte ipotesi di appropriazione indebita di somme ricevute da diversi clienti nell’esercizio dell’attività professionale di broker finanziar confermando la condanna per due ulteriori ipotesi. In conseguenza di ciò, la pena
veniva ridotta e rideterminata, mentre le statuizioni civili della sentenza venivano confermate, ad eccezione di quelle a favore di NOME e NOME COGNOME
Con il ricorso per cassazione, la difesa dell’imputata formula i seguenti motivi, in relazione alla due imputazioni sopravvissute (capi di imputazione n.5 e n.9):
vizio di motivazione (art. 606 lett. e, in relazione all’art. 192, cod. proc pen.) per contraddittorietà, mancanza e manifesta illogicità della motivazione in relazione all’elemento oggettivo del reato del capo 5 di imputazione.
Si sostiene che la Corte d’appello abbia errato nel valutare isolatamente l’episodio concernente l’appropriazione indebita, da parte dell’imputata, della somma corrispostale da tal NOME COGNOME per il successivo trasferimento alla sorella NOME COGNOME. Infatti, nell’ambito del rapporto pluriennale tra l’operatrice finanziaria e la cliente, connotato da una serie di movimenti reciproci di denaro, non era stato possibile rinvenire alcun ulteriore, specifico, riscontro delle accuse di NOME COGNOME Esposti a carico di NOME COGNOME.
vizio di motivazione (art. 606 lett. e, in relazione all’art. 192, cod. proc pen.) per contraddittorietà, mancanza e manifesta illogicità della motivazione in relazione all’elemento oggettivo del reato del capo 9 di imputazione.
Si deduce la mancanza di prova in ordine ai singoli episodi appropriativi, consistenti, nella prospettiva accusatoria ed in relazione allo specifico capo di imputazione, nel trattenimento da parte dell’imputata, per fini personali, senza versarle alle compagnie di riferimento, di somme relative ai premi assicurativi riscossi nel corso dei rapporti di agenzia svolti nel tempo.
La carenza probatoria è rilevante in sé, per la prova dell’elemento oggettivo del reato, e per la determinazione del tempus commissi delicti, che non può essere fatto coincidere con l’epoca della scoperta delle asserite appropriazioni, ma con quella dell’eventuale interversio possessionis.
violazione di legge e vizio di motivazione (art. 606 lett. b ed e, cod. proc. pen.) per erronea applicazione della legge penale e contraddittorietà, mancanza o manifesta illogicità della motivazione in relazione alla sussistenza dell’elemento soggettivo del delitto di cui all’art. 646 cod. pen..
Manca la prova, e la relativa motivazione, del dolo richiesto per la commissione del reato di appropriazione indebita che è connotato da una struttura bifasica costituita dalla rappresentazione e volontà di appropriarsi del bene mobile altrui posseduto, con la finalità di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto. Ne caso concreto non vi è nella sentenza di secondo grado alcuna motivazione
riguardo alla rappresentazione della volontà di appropriarsi del denaro delle parti civili né tantomeno riguardo alla finalità dell’ingiusto profitto.
violazione di legge e vizio di motivazione (art. 606 lett. b ed e, cod. proc. pen.) per erronea applicazione della legge penale e mancanza di motivazione in relazione alla mancata concessione della sospensione condizionale della pena.
La Corte d’appello, pur irrogando una pena detentiva inferiore alla soglia prevista dall’art. 163 cod. pen. per la concessione del beneficio, pur a fronte di specifica richiesta contenuta in atto di appello, non ha applicato la sospensione condizionale della pena né ha fornito alcuna motivazione sul punto, nonostante l’incensuratezza dell’imputata.
La parte civile RAGIONE_SOCIALE ha inviato, a mezzo del proprio difensore, memoria con cui chiede il rigetto del ricorso.
Con memoria inviata per mail, il Sostituto Procuratore ha chiesto l’annullamento della sentenza in relazione ai reati di cui ai capi 5 e 9, perché estinti per prescrizione, con conferma delle statuizioni civili della sentenza.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I primi tre motivi di ricorso sono manifestamente infondati mentre il quarto, in quanto fondato, comporta l’accoglimento, in parte qua, del ricorso con annullamento della sentenza e conseguente dichiarazione di estinzione dei reati ascritti all’imputata ai capi 5 e 9 di imputazione, per intervenuta prescrizione medio tempore. Le statuizioni civili della sentenza vanno, per contro, confermate.
Quanto ai motivi attinenti alla responsabilità (i primi tre), si osserva innanzi tutto che due di essi sono sostanzialmente ripetitivi di tesi già formulate in atto di appello, mentre il terzo non è consentito, non essendo stato dedotto in appello. Infatti, nel primo motivo di ricorso viene riproposta, con riferimento all’episodio del capo 5 (una appropriazione di C 36.500,00 ai danni di NOME COGNOME) la deduzione (già oggetto del secondo motivo di appello) secondo la quale i complessi rapporti economici instaurati tra le parti non avessero permesso una ricostruzione integrale dei rapporti di dare-avere. Il secondo motivo, che contesta l’oggettività dell’appropriazione dei premi assicurativi ai danni della società di cui la COGNOME era sub-agente, è stato già dedotto con il terzo motivo d’appello. Infine, il terzo motivo di ricorso, come detto, risulta propriamente formulato solo in questa sede, dato che nell’atto di appello nessun motivo è dedicato alla contestazione dell’elemento soggettivo del reato di appropriazione indebita.
Da quanto precede, si deve concludere che il ricorso, per questa parte, costituisce un atto, da un lato, intriso da aspecificità, non confrontandosi realmente i primi due motivi con la motivazione della sentenza impugnata, e quindi risultando essi inidonei al fine di costituire una critica argomentata della decisione che ‘attaccano’ (Sez. 6, n. 20377 del 11/03/2009 Arnone Rv. 243838 – 01; Sez. 5, n. 28011 del 15/02/2013 COGNOME Rv. 255568 – 01; Sez. 2, n. 11951 del 29/01/2014, Lavorato, Rv. 259425 – 01), ed in parte ‘eccentrico’ -e comunque non consentito- rispetto alla decisione, poiché il terzo motivo formula una contestazione che ha ad oggetto un tema di cui la Corte d’appello non si era occupata (né poteva occuparsi), in quanto estraneo alle deduzioni dell’appello.
Esaminando specificamente i primi tre motivi, si osserva quanto segue.
2.1 Sulla questione della pratica impossibilità di identificare, nell’ambito dei molteplici trasferimenti reciproci di denaro tra le parti (COGNOME, da un lato, COGNOME, dall’altro), la motivazione della Corte d’appello, tra pg. 9 e pg. 10, spiega in maniera congrua, adeguata e del tutto logica, per quale ragione una specifica dazione, soggetta ad uno specifico vincolo di destinazione (il trasferimento a titolo di risarcimento di una somma da NOME COGNOME alla sorella NOME COGNOME, per il tramite della COGNOME, sia stata oggetto appropriazione da parte dell’imputata. Quanto sostenuto alle pagine 3 e 4 del ricorso, ponendo l’attenzione sull’esito finale e complessivo dei rapporti economici tra le parti senza rispondere al rilievo contenuto in motivazione, è generico, condannando il motivo all’inammissibilità.
2.2. Stessa sorte tocca al secondo motivo, come detto inerente all’imputazione di cui al capo 9 ed alla mancata identificazione dei cespiti ‘appropriati’.
Anche in questo caso, tuttavia, a seguito di approfondita analisi, in linea con la decisione sul punto assunta in primo grado (dando vita, pertanto ad una ‘doppia conforme’: cfr., ex multis, Sez. 3, n. 44418 del 16/07/2013, COGNOME, Rv. 257595; Sez. 2, n. 37295 del 12/06/2019, E., Rv. 277218), la Corte d’appello spiega, alle pg. 10 e 11, le ragioni di fondatezza della accusa. L’imputazione, si legge, risulta basata su un quadro testimoniale e documentale estremamente solido (cfr. altresì pg. 10 e 11 della sentenza di primo grado) che certo non può essere liquidato come “mere dichiarazioni indizianti” (pg. 5 del ricorso), critica che, lungi dall’attingere allo standard richiesto per il giudizio di legittimità (manifes illogicità: art. 606, comma 1, lett. e, cod. proc. pen.), rivela la propria natura doglianza sul merito, che mira alla ‘rilettura’ delle circostanze di causa, nel tentativo di ottenere un terzo giudizio sul fatto, in contrasto con la funzione propria della Cassazione (Sez. 6, n. 13809 del 17/03/2015, 0., Rv. 262965 – 01).
Né, d’altra parte, merita accoglimento l’ulteriore profilo di critica, che contesta la prova della accusa, per essere rimasti indefiniti i singoli prelievi effettuati d conto vincolato a ricevere esclusivamente i premi assicurativi dei clienti.
Il tema, prospettato con l’atto di appello in forma del tutto generica (perché formulato senza contestare minimamente, e quindi senza confrontarsi con il ragionamento probatorio illustrato nella sentenza di primo grado, che aveva accertato la appropriazione sulla base degli accertamenti interni della compagnia, delle testimonianze e della consulenza di parte, nonché delle ammissioni della stessa imputata, che si era inizialmente impegnata alla restituzione delle somme indebitamente prelevate) è rimasto tale anche nel ricorso per Cassazione. Infatti, il motivo, pur dilungandosi a contestare le conclusioni della Corte d’appello sull’epoca del commesso delitto, non affronta il nodo centrale della questione, costituito dalla prova (ritenuta sussistente dalla due sentenze conformi) dell’ammanco dell’importo di oltre C 300.000,00 destinati alla compagnia mandante, dal conto operato in via esclusiva dalla imputata, unica autrice dei prelievi.
2.3 n terzo motivo non è consentito, in quanto non formulato nell’atto di appello, come risulta dall’esame dello stesso ed, ancor prima, dalla sintesi fattane nella prima parte della sentenza impugnata (pg. da 1 a 3).
La formulazione del motivo per la prima volta in sede di legittimità viola pertanto la catena devolutiva, in spregio di quanto dettato dagli artt. 606 comma 3 e 609 comma 2 c.p.p.. Il combinato disposto delle due norme non consente la deduzione in cassazione di questioni non prospettate nei motivi di appello, tranne che si tratti di questioni rilevabili di ufficio in ogni stato e grado del giudizio questioni che non sarebbe stato possibile dedurre in grado d’appello. Tale regola trova la ratio nella necessità di evitare che possa sempre essere rilevato un difetto di motivazione della sentenza di secondo grado con riguardo ad un punto del ricorso non investito dal controllo della Corte di appello, perché non segnalato con i motivi di gravame (Sez. 4, n. 10611 del 04/12/2012, COGNOME, Rv. 256631).
Il quarto motivo di ricorso, attinente al trattamento sanzionatorio ed in particolare alla mancata applicazione della sospensione condizionale della pena, è fondato.
La richiesta risulta formulata nell’atto di appello, nell’ultima pagina, ove, a conclusione del motivo dedicato alla revisione in mitior del trattamento sanzionatorio, si chiede che ciò avvenga “entro i limiti previsti per la concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena”.
Di tale richiesta non vi è traccia nella sintesi dei motivi a pg. 3 dell motivazione, né alcuna parola sul punto viene spesa allorché il tema del trattamento sanzionatorio viene trattato a pg. 12.
V’è quindi omissione di pronuncia. Nè può parlarsi, in questo caso, di motivazione implicita che, secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, si configura quando l’impugnata sentenza non motivi espressamente su una specifica deduzione prospettata con il gravame, ma il rigetto della stessa possa essere indotto dalla motivazione della sentenza complessivamente considerata (Sez. 5, n. 6746 del 13/12/2018, dep. 2019, COGNOME, Rv. 275500). Tale principio di carattere generale non può tuttavia trovare applicazione ove, come nel caso concreto, per quanto detto sopra, risulti omessa la stessa presa in carico di un motivo di gravame. Non potrebbe infatti in tale ipotesi ritenersi che la pronunzia reiettiva dell’impugnazione sia sorretta da motivazione implicita, quand’anche le ragioni a fondamento del rigetto potessero ricavarsi dalla complessiva struttura argomentativa della sentenza, poiché si finirebbe per consentire al giudice di legittimità di sostituire irritualmente il proprio ragionamento a quello del giudice di merito, che non ha mai preso in carico la questione e, quindi, non l’ha mai scrutinata (Sez. 2, n. 2103 del 17/12/2024 dep. 2025, COGNOME, Rv. 287330 01).
L’accoglimento del motivo di ricorso comporta l’annullamento della sentenza impugnata ma non il rinvio per nuovo esame alla Corte di appello di Bologna poiché, nelle more, i due reati sono estinti per intervenuta prescrizione.
Trova infatti applicazione il principio, costantemente espresso da questa Corte, secondo cui l’omessa statuizione sulla sospensione condizionale della pena da parte del giudice di merito costituisce vizio della decisione tale da consentire, nel giudizio di legittimità, la declaratoria di estinzione del reato per intervenut prescrizione maturata dopo la pronuncia impugnata, qualora nel giudizio di merito sia stata chiesto il beneficio, come avvenuto nel presente caso, mentre, nell’eventualità contraria, il ricorso per cassazione deve essere dichiarato inammissibile (Sez. 3, n. 23259 del 29/04/2015, Richichi, Rv. 263649 – 01; Sez. 1, n. 27776 del 01/07/2008, Ilaqua, Rv. 240861 – 01).
E che i reati siano estinti per prescrizione, è facilmente desumibile dalla data di commissione dei due reati (rispettivamente 26 maggio 2016 per il capo 5 e 23 giugno 2016 per il capo 9) cui vanno aggiunti 7 anni e sei mesi di termine prescrizionale esteso per successivi eventi interruttivi, nonché le sospensioni intervenute, per adesione dei difensori alla astensione proclamata dalla
associazione di categoria alle udienze 19 maggio e 24 ottobre 2019 e per legittimo impedimento dell’imputata all’udienza 17 marzo 2022, riportate nella sentenza di
primo grado, portando così i termini di prescrizione dei reati rispettivamente al 26
luglio (capo 5) ed al 7 settembre 2024 (capo 9).
6. Vanno confermate le statuizioni civili della sentenza d’appello, itopt-rrsle quali-,-
– –géraltro, non è stato formulato alcun motivo di ‘RAGIONE_SOCIALE. In assenza di domanda, non vi è nemmeno pronuncia sulle spese a favore della sola parte civile
che, pure, ha presentato memoria nel corso del procedimento.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata agli effetti penali, perché i reati sono estinti per prescrizione.
Rigetta il ricorso agli effetti civili.
Così d ciso il 20 marzo 2025