Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 18961 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 1 Num. 18961 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 18/04/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nata in ROMANIA il 05/10/1977
avverso la sentenza del 12/09/2024 della Corte d’appello di Brescia
Udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.
lette le conclusioni, con memoria, del difensore dell’imputata che insiste per l’accoglimento del ricorso.
Dato avviso al difensore.
RITENUTO IN FATTO
Con il provvedimento impugnato, la Corte d’appello di Brescia, decidendo in sede di rinvio (Sez. 5, n. 19957 del 12/01/2024), ha parzialmente riformato la sentenza del Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Brescia in data 19 giugno 2019, concedendo a NOME COGNOME il beneficio della sospensione condizionale della pena, subordinato alla prestazione di attività non retribuita in favore della collettività per la durata di sei mesi, in relazione alla condanna a otto mesi reclusione per i reati di bancarotta fraudolenta per distrazione e bancarotta fraudolenta documentale ai sensi degli articoli 223, 216, primo comma, n. 1 e n. 2, e 219 r.d. 16 marzo 1942, n. 267, revocando altresì la disposta revoca del beneficio della sospensione condizionale della pena concesso con sentenza della Corte d’appello di Brescia in data 20 maggio 2016, irrevocabile in data 8 novembre 2026. GLYPH
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Ricorre NOME COGNOME a mezzo del difensore di fiducia avv. NOME COGNOME che chiede l’annullamento del provvedimento impugnato, denunciando il vizio della motivazione perché, pur essendo stata accolta l’istanza della ricorrente in merito alla concessione del beneficio della sospensione condizionale, esso è stato illegittimamente subordinato alla prestazione dell’attività lavorativa non retribuita.
Il provvedimento è contraddittorio perché non tiene conto del versamento, a titolo di condotta riparatoria, della somma di euro 10.000 e della positiva prognosi derivante dal corretto comportamento processuale, sicché non si comprende perché sia stato applicato l’obbligo previsto dall’articolo 165 cod. pen.
D’altra parte, la sottoposizione all’obbligo lavorativo è ammissibile soltanto quando non sia possibile imporre altri obblighi riparatori, in quanto l’obbligo di prestare attività lavorativa ha contenuto afflittivo in tutto simile a una pena.
In ultima analisi, la Corte d’appello non ha motivato circa la durata dell’obbligo di prestazione di attività lavorativa, fissandola nella misura massima.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è infondato.
È bene premettere che l’applicazione degli obblighi previsti dall’art. 165 cod. pen., ai quali può essere subordinata la sospensione condizionale della pena, non attiene al principio di legalità della pena, poiché siffatta previsione non può essere ricondotta alla nozione di pena in quanto implica la già avvenuta determinazione della sanzione mediante la sentenza dì condanna (Sez. 5, n. 40505 del 19/09/2024, Z., Rv. 287226 – 01, in merito ai più gravosi obblighi di partecipazione a specifici percorsi di recupero nel caso di condanna per il delitto di atti persecutori).
2.1. In ogni caso, la disposizione vigente alla data di commissione del reato (13 novembre 2013), così stabiliva: «(art. 165)La sospensione condizionale della pena può essere subordinata all’adempimento dell’obbligo delle restituzioni, al pagamento della somma liquidata a titolo di risarcimento del danno o provvisoriamente assegnata sull’ammontare di esso e alla pubblicazione della sentenza a titolo di riparazione del danno; può altresì essere subordinata, salvo che la legge disponga altrimenti, all’eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose del reato, ovvero, se il condannato non si oppone, alla prestazione di attività non retribuita a favore della collettività per un tempo determinato comunque non superiore alla durata della pena sospesa, secondo le modalità indicate dal giudice nella sentenza di condanna. La sospensione condizionale della pena, quando è concessa a persona che ne ha già usufruito, deve essere subordinata all’adempimento di uno degli obblighi previsti nel comma precedente ».
Si noti, in particolare, che il secondo comma dell’art. 165 cod. pen. è tuttora invariato: «La sospensione condizionale della pena, quando è concessa a persona che ne ha già usufruito, deve essere subordinata all’adempimento di uno degli obblighi previsti nel comma precedente».
2.2. La giurisprudenza di legittimità ha, inoltre, affermato che «la richiesta di sospensione condizionale della pena avanzata dall’imputato che ne abbia già usufruito in relazione a precedente condanna, implica il consenso alla subordinazione del beneficio all’adempimento di uno degli obblighi previsti dall’art. 165, comma primo, cod. pen., trattandosi di prescrizione che il giudice deve necessariamente disporre a norma del secondo comma del medesimo articolo qualora intenda riconoscere nuovamente detto beneficio» (Sez. 6 n. 8535 del 02/02/2021, S., Rv. 280712 – 01).
Tanto premesso, il ricorso non contesta che l’imputata abbia già usufruito del beneficio della
sospensione condizionale della pena per una precedente condanna, né che la stessa non si sia opposta, nel presente giudizio, alla prestazione di attività lavorativa in favore della collettività
A ciò consegue che, l’applicazione degli obblighi previsti dall’art. 165 cod. pen. era doverosa e non, come di regola, facoltativa, e che, mancando una formale opposizione alla prestazione di
attività in favore della collettività, tale onere si presenta come perfettamente legale.
Se, dunque, la richiesta di sospensione condizionale presuppone – quale implicito e indefettibile requisito – anche l’accettazione della sottoposizione agli obblighi previsti dall’art. 165 cod. pen., n
consegue che l’imputato non può lamentarsi della pronuncia che egli stesso ha sollecitato, essendo attribuita alla discrezionalità del giudice la motivata opzione di quali obblighi siano più confacenti nel
caso di specie.
3.1. Il ricorso, in particolare, contesta genericamente non tanto la scelta della misura applicata, quanto la stessa possibilità del giudice di subordinare il beneficio della sospensione condizionale
alla prestazione di attività in favore della collettività, ritenendo di avere già adempiuto agli obblig risarcitori.
Tale deduzione, oltre a essere – come si vedrà – infondata, non considera che la disposizione normativa prevede la possibilità di assegnare all’imputato l’adempimento di obblighi aggiuntivi e
concorrenti.
3.2. Quanto alla somma di euro 10.000, che si assume versata dall’imputata nel corso del giudizio, va precisato che, alla luce dell’imputazione che indica la somma distratta in complessivi
euro 20.154,52, è evidente che si tratta di una restituzione parziale che, quindi, non preclude affatto l’adozione degli obblighi aggiuntivi previsti dall’art. 165, primo comma, secondo periodo, cod. pen. per il caso di sospensione condizionale della pena.
Si tratta, oltretutto, di una misura obbligatoria quando, come nel caso in esame, l’imputato abbia già usufruito del beneficio della sospensione condizionale.
Del resto, fermo restando che la ricorrente non si è attivata per la integrale restituzione delle somme distratte e che il giudice di merito non l’ha condannata, mancando la parte civile, al risarcimento del danno cui eventualmente subordinare il beneficio della sospensione condizionale della pena, risulta pienamente legittima la subordinazione del ridetto beneficio all’aggiuntiva condizione di prestare attività lavorativa a favore della collettività, obbligo che, appunto, si aggiunge a quelli ripristinatori e risarcitori in ottica di verifica della prognosi che ha spinto il giudi concedere la sospensione condizionale.
3.3. Quanto alla durata della prestazione in favore della collettività, il giudice di rinvio s attenuto ai limiti legali di durata («tempo determinato comunque non superiore alla durata della pena sospesa»), determinando una prestazione di sei mesi a fronte di una pena di otto mesi di reclusione, in piena consonanza con la valutazione già compiuta in primo grado circa gli elementi previsti dall’art. 133 cod. pen.
Al rigetto del ricorso consegue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna della ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 18/04/2025.