Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 38860 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 38860 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 27/09/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a GALATINA il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 04/06/2024 del TRIBUNALE di LECCE
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni del Pubblico Ministero, nella persona del Sostituto procuratore generale NOME COGNOME, che ha concluso chiedendo dichiararsi l’inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza emessa in data 04 giugno 2024 il Tribunale di Lecce, quale giudice dell’esecuzione, ha respinto l’istanza presentata da NOME COGNOME per la concessione della sospensione condizionale della pena in relazione alla condanna emessa in data 18 novembre 2015 dalla Corte di appello di Lecce, divenuta irrevocabile, alla luce della sopravvenuta revoca di una precedente condanna a pena sospesa, intervenuta a seguito della emissione di una seconda sentenza per lo stesso reato, dichiarato estinto per esito positivo della messa alla prova.
Il Tribunale ha ritenuto non accoglibile la richiesta perché già respinta dal giudice della cognizione che, procedendo quale giudice del rinvio, aveva stabilito sia che la concessione della sospensione condizionale non era stata rimessa alla sua valutazione, sia che il beneficio non era comunque concedibile per avere l’istante già riportato una precedente condanna per un furto successivamente commesso, circostanza che impediva di formulare una prognosi favorevole. Il Tribunale ha ritenuto irrilevante il fatto che la condanna per furto ritenuta ostativa fosse stata, in seguito, revocata perché emessa in violazione del divieto di un secondo giudizio, in quanto ha sottolineato che la concessione del beneficio richiesto non è un diritto del condannato, ma è soggetta al giudizio discrezionale del giudice, giudizio che è stato espresso dal giudice della cognizione.
Ha respinto, infine, la richiesta di sollevare una questione di legittimità costituzionale dell’art. 671, comma 3, cod. proc. pen., per l’omessa estensione dei poteri del giudice dell’esecuzione all’ipotesi qui verificatasi, essendo la norma diretta a disciplinare casi del tutto diversi.
Avverso l’ordinanza ha proposto ricorso NOME COGNOME, per mezzo dei suoi difensori AVV_NOTAIO e AVV_NOTAIO, articolando due motivi.
2.1. Con il primo motivo deduce l’inosservanza della legge penale, con riferimento all’art. 192, commi 1 e 2, cod. proc. pen.
Egli venne condannato, con sentenza emessa in data 07 novembre 2014, per il delitto di furto commesso il 26/06/2013, ad una pena dichiarata sospesa, ma tale senten-za è stata in seguito revocata perché egli, in data 05 ottobre 2016, venne giudicato per il medesimo reato, dichiarato poi estinto per esito positivo della messa alla prova. Pertanto anche la sospensione condizionale concessa in quella occasione è stata, in seguito, revocata. La Corte di appello di Lecce, però, condannando il ricorrente per il delitto di cui all’art. 73 d.P.R. n. 309/1990 con sentenza emessa in data 18 novembre 2015, negò la concessione
della sospensione condizionale perché egli risultava già gravato da quella precedente condanna, dichiarata sospesa.
Tale decisione, all’epoca, appariva corretta, ma il giudice dell’esecuzione non può più tenere conto di quella precedente condanna, perché la sua revoca sopravvenuta ha reso il ricorrente nuovamente meritevole del beneficio della sospensione condizionale, in quanto mai concesso. Il ricorrente non chiede, pertanto, al giudice dell’esecuzione la concessione di un beneficio che il giudice della cognizione non ha concesso per errore, in quanto il ricorrente, all’epoca di emissione della sentenza da parte della Corte di appello, era effettivamente gravato da una precedente condanna, ritenuta ostativa; chiede, invece, l’applicazione di tale beneficio per la sua attuale meritevolezza.
2.2. Con il secondo motivo di ricorso deduce l’erronea applicazione della legge penale, con riferimento all’art. 671, comma 3, cod. proc. pen.
La norma di cui all’art. 671, comma 3, cod. proc. pen. crea una disparità di trattamento tra il condannato che può vedersi concedere la sospensione condizionale a seguito del riconoscimento della continuazione o del concorso formale, e il condannato che invece, a seguito della revoca di una condanna, non può ottenere tale beneficio: essa, infatti, tipizza l’intervento del giudice dell’esecuzione nei soli casi sopra indicati. Tale norma, pertanto, è costituzionalmente illegittima, non prevedendo la possibilità, per il giudice dell’esecuzione, di concedere la sospensione condizionale della pena a seguito della revoca di una precedente sentenza.
Il Procuratore generale, con requisitoria scritta, ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso, per la sua manifesta infondatezza.
I difensori hanno inviato una memoria integrativa, nella quale ribadiscono le ragioni del ricorso
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è manifestamente infondato in entrambi i suoi motivi, e deve essere dichiarato inammissibile.
Il primo motivo è manifestamente infondato.
Il ricorrente si duole che il giudice dell’esecuzione non abbia concesso la sospensione condizionale di una pena irrogata con una sentenza in cui, per quanto riportato nell’ordinanza impugnata e non smentito nel ricorso, il giudice della cognizione ha negato tale beneficio attraverso un giudizio di merito, cioè
valutando esplicitamente l’impossibilità di formulare una prognosi favorevole. La ragione di tale valutazione negativa era l’esistenza di una condanna precedente, emessa per un delitto commesso in epoca successiva a quello giudicato, per la quale era stata concessa la sospensione condizionale: tale condotta dell’imputato, infatti, venne ritenuta tale da non consentire di valutarlo capace di astenersi dal commettere nuovi reati.
Nella sentenza in questione, emessa in data 18 novembre 2015, la Corte di appello di Lecce ha, quindi, negato la sospensione condizionale attraverso un giudizio di merito, ritenendo che la già intervenuta condanna per un delitto commesso successivamente a quello oggetto della sua decisione dimostrasse l’inaffidabilità dell’imputato. Tale giudizio era fondato su un elemento oggettivo corretto e non era frutto di un errore percettivo o valutativo, come riconosciuto dallo stesso ricorrente: l’imputato aveva effettivamente commesso un delitto in epoca successiva, che in seguito è stato dichiarato estinto solo per l’esito positivo della messa alla prova, ma non è stato mai ritenuto insussistente o accertato in modo errato. Anche la sentenza di condanna per tale delitto era, all’epoca, sussistente, essendo intervenuta solo in seguito la sua revoca per violazione del divieto di bis in idem.
Il ricorrente, pertanto, chiede al giudice dell’esecuzione la concessione della sospensione condizionale negata dalla Corte di appello di Lecce non a seguito del venir meno di una condizione ostativa oggettiva, quale potrebbe essere, ad esempio, la già intervenuta concessione del beneficio per una pena tale da impedire una sua seconda concessione, ma chiede di modificare la valutazione negativa della sua meritevolezza, espressa dal giudice della cognizione. L’accoglimento di tale richiesta, pertanto, è impedito dalla intangibilità del giudicato in merito alla valutazione della insussistenza di una prognosi favorevole: il giudice dell’esecuzione non può sostituire la valutazione già compiuta dal giudice della cognizione circa la capacità dell’imputato di astenersi dalla commissione di nuovi reati, neppure se la ritenesse errata.
L’ordinanza impugnata si è conformata al principio generale della intangibilità del giudicato, valutando, correttamente, che la concessione della sospensione condizionale non costituisce un diritto dell’imputato, ma consegue, ai sensi degli artt. 163 e 164 cod. pen., ad un giudizio discrezionale che deve essere effettuato dal giudice della cognizione, il quale dispone di tutti gli elementi necessari per formulare tale giudizio, e affermando che nel presente caso tale giudizio è stato svolto dal giudice della cognizione, il quale ha valutato nel merito la non concedibilità del beneficio, per non esserne l’imputato meritevole.
Il provvedimento impugnato, pertanto, è palesemente privo del vizio di violazione di legge dedotto nel primo motivo di ricorso, e la richiesta del suo annullamento deve essere dichiarata manifestamente infondata.
Anche il secondo motivo di ricorso, relativo all’asserita violazione dell’art. 671, comma 3, cod. proc. pen., è manifestamente infondato.
Il giudice dell’esecuzione non ha respinto la richiesta applicando tale norma e sostenendo, quindi, di non avere il potere di concedere la sospensione condizionale perché non previsto dall’art. 671, comma 3, cod. proc. pen., ed anzi ha affermato di ritenere «del tutto inconferente» il richiamo ad essa, effettuato dall’istante, essendo tale norma diretta a disciplinare situazioni del tutto diverse.
Per la stessa ragione non può accogliersi la sollecitazione del ricorrente a sollevare una questione di legittimità costituzionale di detta norma, mancando del tutto la rilevanza di tale questione nel caso di specie, in cui, come detto, il beneficio non è stato concesso perché già negato dal giudice della cognizione con una valutazione di merito divenuta irrevocabile. E’, poi, appena il caso di ricordare che le Sezioni Unite di questa Corte hanno ritenuto che i casi in cui il giudice dell’esecuzione può concedere i benefici di legge non sono limitati alle ipotesi previste dall’art. 671, comma 3, cod. proc. pen., rientrando tale decisione tra i «provvedimenti conseguenti» che egli deve adottare nei casi previsti dall’art. 673 cod. proc. pen., peraltro sempre se sia possibile formulare il giudizio prognostico favorevole richiesto dalla legge (Sez. U, n. 4687 del 20/12/2005, dep.2006, Catanzaro, Rv. 232610).
Sulla base delle considerazioni che precedono il ricorso deve essere, pertanto, dichiarato inammissibile. Alla dichiarazione di inammissibilità segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., al versamento di una somma in favore della Cassa delle ammende, nella misura che si stima equo determinare in euro 3.000,00;
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 27 settembre 2024
Il Consigliere estensore