Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 24424 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 24424 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 07/05/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME COGNOME nato a NAPOLI il 23/01/1966
avverso la sentenza del 18/10/2024 della CORTE APPELLO di NAPOLI
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME uditi:
il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME che ha concluso chiedendo la correzione del dispositivo della sentenza impugnata inserendo la frase “revoca la condizione apposta al concesso beneficio della sospensione condizionale della pena” e dichiararsi nel resto inammissibile il ricorso;
l’avv.to NOME COGNOME difensore di COGNOME, che si è riportato ai motivi del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza in data 18/10/2024, la Corte d’appello di Napoli confermò la sentenza del Tribunale di Nola in data 10/10/2023 che aveva ritenuto NOME responsabile del reato di cui all’articolo 2 d.lgs. n. 74/2000 e lo aveva condannato alla pena di anni uno e mesi sei di reclusione, oltre pene accessorie, subordinando la sospensione delle pene al “pagamento del debito erariale”.
Avverso la sentenza ha proposto ricorso per Cassazione l’imputato, a mezzo il difensore di fiducia, che, con il primo motivo, denuncia la violazione di legge e il vizio di motivazione per “inosservanza e illogica valutazione dei canoni normativi in materia di prova indiziaria”. Si assume che gli indizi posti a base della condanna “trovano una valida e molto più realistica deduzione da quanto argomentato dalla difesa e dello stesso imputato…piuttosto che da quanto ipotizzato dall’accusa”. Ad avviso del ricorrente, infatti:
il valore indiziario attribuito alla cessione, da parte della RAGIONE_SOCIALE, del ramo d’azienda relativo alla lavorazione delle materie prime non teneva conto che: i soci della società cessionaria erano tutti specializzati nel settore; per tre anni la società cessionaria aveva tenuto “in regola” la contabilità aziendale”; come dichiarato dal teste COGNOME, la RAGIONE_SOCIALE aveva anche clienti diversi da RAGIONE_SOCIALE;
con la cessione del ramo d’azienda, era stato ceduto alla RAGIONE_SOCIALE anche l’utilizzo del magazzino in quanto le materie prime venivano acquistate da RAGIONE_SOCIALE, lavorate da RAGIONE_SOCIALE, e, infine, commercializzate da RAGIONE_SOCIALE, per cui era stato “inopportuno…l’utilizzo del termine promiscuo da parte del teste escusso”;
il valore significativo attribuito alla richiesta di rinnovo dell’autorizzazione emissione dei fumi, avanzata da RAGIONE_SOCIALE a fronte della “inoperatività” della RAGIONE_SOCIALE, non teneva conto che se la seconda società fosse stata una cartiera, RAGIONE_SOCIALE avrebbe lui stesso inoltrato la richiesta;
la ricostruzione dei giudici di merito era illogica in quanto per la RAGIONE_SOCIALE sarebbe stato più conveniente “continuare a detrarre i costi i produzione” che risultavano “decisamente superiore rispetto all’importo ei fatture ritenute inesistenti”.
Si assume, pertanto, che il ragionamento probatorio dei giudici di merito viola i parametri fissati dall’art. 192 comma 2 cod. proc. pen. facendo discendere la ricostruzione fondante la condanna da indizi che difettavano dei requisiti della gravità, della precisione e della concordanza.
Con il secondo motivo, si chiede “l’annullamento parziale con rinvio o rettificazione di errori ex art. 619 cod. proc. pen.” in relazione alla condizion apposta al beneficio della sospensione condizionale della pena.
Si assume che a fronte di uno specifico motivo di gravame, volto a ottenere la revoca della condizione apposta all’operatività del beneficio della sospensione condizionale delle pene riconosciuto dal Tribunale, la Corte, nella parte motiva, aveva sì ritenuto (pagina 6) che la condizione dovesse essere revocata ma, poi, in dispositivo, aveva confermato la sentenza appellata.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il primo motivo del ricorso è inammissibile in quanto manifestamente infondato.
La Corte territoriale ha fornito una logica e adeguata motivazione circa le ragioni per la quali ha ritenuto che le fatture emesse dalla RAGIONE_SOCIALE nei confronti di RAGIONE_SOCIALE fossero relative ad operazioni soggettivamente inesistenti.
A tal fine la sentenza impugnata rileva che:
la RAGIONE_SOCIALE non risultava aver mai operato nel settore della produzione di materie plastiche;
l’utilizzo promiscuo dello stesso magazzino, disvelato dal fatto che la merce acquistata da RAGIONE_SOCIALE veniva scaricata nel magazzino di Two RAGIONE_SOCIALE i cui dipendenti firmavano il documento di trasporto attestante la consegna apponendovi il timbro di RAGIONE_SOCIALE:
non era rimasto accertato che RAGIONE_SOCIALE avesse altri clienti oltre a RAGIONE_SOCIALE;
RAGIONE_SOCIALE deduceva fiscalmente le quote di ammortamento e manutenzione dei beni strumentali spettanti all’affittuaria RAGIONE_SOCIALE;
RAGIONE_SOCIALE, il 23/5/2013, in costanza del fitto di azienda, aveva chiesto rinnovo dell’autorizzazione relativa all’emissione dei fumi;
il 4/3/2014, RAGIONE_SOCIALE aveva chiesto al competente ministero agevolazioni per l’acquisto di macchinari presentando un programma di investimento afferente alle proprie capacità produttive nonostante sin dal 2012 si occupasse solo della commercializzazione dei prodotti realizzati da RAGIONE_SOCIALE;
RAGIONE_SOCIALE non aveva effettuato versamenti IVA del 2012 al 2015 né le ritenute effettuate per il personale dipendente.
A fronte di una tale motivazione, priva di vizi logici evidenti, le censure difensive prospettano una lettura parcellizzata di alcune elementi probatori al fine di pervenire a una diversa ricostruzione del fatto.
Le doglianze difensive, pertanto, non rientrano nell’orizzonte cognitivo del giudice di legittimità, non potendosi devolvere alla Corte di cassazione censure con le quali, deducendosi apparentemente una violazione della legge penale o una carenza logica od argomentativa della decisione impugnata, si sollecita la rivalutazione del compendio indiziario, operazione non consentita nel giudizio di cassazione poiché esula dai poteri della Suprema Corte ogni possibilità di “rilettura” degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali (Sez. U, n.
47289 del 24/09/2003, COGNOME, Rv. 226074, più di recente, Sez. 2, n. 106 del 12/02/2021, COGNOME, Rv. 280747). Nel giudizio di legittimità, infatti, il sindacato sulla correttezza della valutazione della prova è molto ristretto, perché non può consistere nella rivalutazione della gravità, della precisione e della concordanza degli indizi, dato che ciò comporterebbe inevitabilmente apprezzamenti riservati al giudice di merito, ma deve limitarsi al controllo logico e giuridico della struttura della motivazione, al fine di verificare se sia stata da esatta applicazione ai criteri legali ed alle regole della logica nell’interpretazion dei risultati probatori. A questo proposito, è il caso di ricordare che, in tema d controllo sulla motivazione, alla Corte di cassazione è normativamente preclusa la possibilità non solo di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi, ma anche di saggiare la tenuta logica della pronuncia portata alla sua cognizione mediante un raffronto tra l’apparato argomentativo che la sorregge ed eventuali altri modelli di ragionamento mutuati dall’esterno; ed invero, avendo il legislatore attribuito rilievo esclusivamente al testo del provvedimento impugnato (o ad altri atti del processo specificamente indicati nel ricorso), che si presenta quale elaborato dell’intelletto costituente un sistema logico in sé compiuto ed autonomo, il sindacato di legittimità è limitato alla verifica della coerenza strutturale del sentenza in sé e per sé considerata, necessariamente condotta alla stregua degli stessi parametri valutativi da cui essa è “geneticamente” informata, ancorché questi siano ipoteticamente sostituibili da altri (Sez. U, n. 12 del 31/05/2000, Jakani, Rv. 216260).
Oltre che non ammissibili, le censure difensive risultano anche generiche in quanto si esauriscono nella riproposizione dei motivi di gravame senza confrontarsi con le risposte data dalla Corte territoriale a quei motivi.
Si rappresenta che RAGIONE_SOCIALE aveva altri clienti oltre la RAGIONE_SOCIALE richiamando la deposizione di COGNOME ma non si confuta, con dati specifici, l’affermazione della Corte territoriale secondo cui nessun ulteriore cliente era stato accertato. In relazione all’autorizzazione relativa all’emissione dei fumi, si ignora quanto sottolineato in sentenza, ossia che già nel 2013 RAGIONE_SOCIALE aveva chiesto il rilascio dell’autorizzazione. Si contesta che la ricostruzione cui è pervenuta la Corte territoriale avesse comportato vantaggi per RAGIONE_SOCIALE, ma non si allegano i calcoli che fondano tale censura, di per sé non di immediata comprensione, essendo rimasto accertato che RAGIONE_SOCIALE non aveva effettuato,durante gli anni di esistenza, versamenti IVA e delle ritenute per il personale dipendente. Il rilievo dato dalla Corte d’appello alle quote di ammortamento e alla richiesta di agevolazione per l’acquisto di macchinari relativi a una fase della produzione non più svolta è semplicemente ignorato dal ricorso. Così come, nella ricostruzione
difensiva, non si comprende come i dipendenti di RAGIONE_SOCIALE avessero in uso il timbro di RAGIONE_SOCIALE.
3.Venendo al secondo motivo d’impugnazione, va osservato che nella motivazione vengono esposte la ragioni per le quali, ad avviso della Corte distrettuale, dovesse essere revocata la condizione apposta alla sospensione della pena irrogata, in accoglimento del motivo di gravame che si doleva del fatto che il beneficio era stato subordinato al versamento dell’imposta evasa.
Tale valutazione, tuttavia, non trova riscontro nel dispositivo della sentenza impugnata, che ha confermato la decisione appellata, così determinando una insanabile contraddizione, sul punto, fra motivazione e dispositivo.
In casi quale quello in esame, secondo l’orientamento di legittimità oramai nettamente prevalente, “la regola della prevalenza del dispositivo, in quanto immediata espressione della volontà decisoria del giudice, non è assoluta, ma va contemperata, tenendo conto del caso specifico, con la valutazione degli elementi tratti dalla motivazione, che conserva la sua funzione di spiegazione e chiarimento delle ragioni della decisione e che, pertanto, ben può contenere elementi certi e logici che facciano ritenere errato il dispositivo o parte di esso (così, tra le molte, Sez. 3, n. 3969 del 25/09/2018, dep. 2019, B., Rv. 275690; Sez. 6, n. 24157 del 01/03/2018, COGNOME, Rv. 273269; Sez. 4, n. 26172 del 19/05/2016, COGNOME, Rv. 267153; Sez. 2, n. 23343 del 01/03/2016, Ariano, Rv. 267082)” (Sez. 6, n. 48846 del 17/11/2022, F.). Ari
L’applicazione di tale principio al caso di specie comporta “fra le parti della sentenza in contrasto debba prevalere la motivazione, essendo palese la volontà della Corte territoriale di non condizionare la sospensione della pena irrogate al pagamento dell’imposta evasa.
Lo strumento cui ricorrere per emendare la decisione non è però, come richiesto dalle parti processuali, la correzione dell’errore della sentenza, ai sensi dell’art. 619 cod. proc. pen., non ricorrendo alcuna delle ipotesi contemplata dalla norma, bensì l’annullamento della pronuncia senza rinvio, a norma dell’art. 620, comma 1, lett. I), cod. proc. pen. nella parte in cui non è stata revocata la condizione apposta all’operatività del beneficio della sospensione condizionale della pena. Il riconoscimento non condizionato del beneficio, infatti, può essere disposto in questa sede sulla base delle considerazioni che compongono la parte della motivazione ritenuta prevalente, rendendo superfluo il rinvio del procedimento alla Corte territoriale.
Il Collegio non ignora che il risultato interpretativo da cui scaturisc l’annullamento si discosta dall’orientamento oggi prevalente che ritiene applicabile, a casi quale quello in esame, lo strumento di cui all’art. 619 cod. proc. pen. (Sez. 6, n. 24157 del 01/03/2018, COGNOME, Rv. 273269; Sez. 4, n.
17185 del 17/01/2017, COGNOME, Rv. 269604: Sez. 2, n. 2214 del 06/11/2013, dep. 2014, COGNOME, Rv. 258192) ma ritiene preferibile l’opposto approdo
interpretativo in quanto aderente al testo normativo, che limita l’ambito di applicazione del potere di rettifica alle ipotesi dalla norma specificatamente
indicate (Sez. 6, n. 48846 del 17/11/2022, F.; Sez. 4, n. 26172 del 19/05/2016,
COGNOME Rv. 267153: Sez. 4, n. 43419 del 29/09/2015, COGNOME, Rv. 264909).
4.S’impone, pertanto, l’annullamento della sentenza impugnata limitatamente alla condizione apposta all’operatività della sospensione condizionale della pena,
con conseguente sospensione della pena irrogata dai giudici di merito. Dichiara inammissibile nel resto il ricorso.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata con riferimento alla sospensione condizionale della pena di cui dispone l’applicazione ordinando che l’esecuzione
della pena rimanga sospesa ex art.163 cod. proc. pen. Dichiara inammissibile nel resto il ricorso. Così deciso il 7/5/2025