Sospensione Condizionale della Pena: Cosa Succede se il Giudice Dimentica il Termine?
La sospensione condizionale della pena è un istituto fondamentale del nostro ordinamento penale, che offre al condannato una possibilità di riscatto, subordinando l’effettiva esecuzione della pena al rispetto di determinate condizioni. Ma cosa accade se il giudice, nel disporre tale beneficio, omette un elemento essenziale come il termine entro cui adempiere a un obbligo risarcitorio? Con una recente ordinanza, la Corte di Cassazione ha fornito un chiarimento decisivo, delineando le conseguenze di tale omissione.
Il Caso: Una Condanna con un Obbligo Sospeso
Il caso in esame ha origine dal ricorso di un imputato avverso una sentenza della Corte d’Appello. La Corte territoriale aveva concesso all’imputato il beneficio della sospensione condizionale della pena, condizionandolo però all’adempimento di un obbligo risarcitorio nei confronti della parte civile. Tuttavia, la sentenza non specificava entro quale data tale risarcimento dovesse essere effettuato. L’imputato ha quindi presentato ricorso in Cassazione, lamentando proprio questa mancata determinazione del termine, ritenendola un vizio della sentenza.
La Questione della Sospensione Condizionale e il Termine Mancante
Il cuore della questione giuridica riguarda la natura del termine per l’adempimento degli obblighi imposti con la sospensione condizionale. È un elemento così essenziale che la sua assenza invalida la decisione? Secondo la difesa del ricorrente, sì. Secondo la Suprema Corte, invece, la soluzione è un’altra e si basa su un principio consolidato, volto a preservare l’efficacia della decisione giudiziaria.
La Posizione della Parte Civile
È interessante notare che la Corte ha anche precisato il ruolo della parte civile in questo tipo di controversie. Ha stabilito che la parte civile, pur avendo ottenuto il riconoscimento del diritto al risarcimento, non ha interesse a partecipare a discussioni che riguardano aspetti puramente penalistici come le modalità della sospensione condizionale della pena, poiché questi non incidono sulla sua posizione creditoria.
Le Motivazioni della Corte di Cassazione
La Corte di Cassazione, nel dichiarare il ricorso inammissibile, ha richiamato un principio di diritto espresso dalle sue Sezioni Unite (sentenza Liguori, n. 37503/2022). Secondo questo orientamento, il termine per adempiere a un obbligo risarcitorio è un elemento essenziale dell’istituto. Tuttavia, la sua mancata fissazione da parte del giudice non crea un vuoto normativo né un vizio insanabile.
Il principio è chiaro: se il giudice di merito (o d’appello) non stabilisce un termine, questo viene automaticamente a coincidere con la scadenza prevista dall’articolo 163 del codice penale, ovvero cinque anni per i delitti e due anni per le contravvenzioni. Questi termini decorrono dal momento in cui la sentenza passa in giudicato. L’omissione del giudice, pur configurandosi come un vizio di violazione di legge, non giustifica un ricorso in Cassazione, in quanto l’interessato ha la possibilità di agire in sede esecutiva per ottenere le necessarie precisazioni.
Di conseguenza, il ricorso è stato giudicato manifestamente infondato. La Corte ha ritenuto che l’impugnazione non sollevasse questioni di legittimità, ma si traducesse in un mero tentativo di rivalutare il merito della decisione, non consentito in sede di Cassazione.
Le Conclusioni: Principio di Diritto e Conseguenze Pratiche
L’ordinanza ribadisce un importante principio di economia processuale e di certezza del diritto. La mancata indicazione del termine non paralizza l’efficacia della sospensione condizionale della pena, ma viene automaticamente ‘sanata’ dalla legge stessa. Per l’imputato, questo significa che il tempo per adempiere non è indefinito, ma corrisponde ai termini legali di sospensione.
In conformità con l’articolo 616 del codice di procedura penale e con la giurisprudenza della Corte Costituzionale, la declaratoria di inammissibilità ha comportato la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria di 3.000,00 euro a favore della Cassa delle ammende, poiché si è ritenuto che il ricorso fosse stato proposto senza una valida giustificazione giuridica.
Cosa accade se il giudice, nel concedere la sospensione condizionale della pena subordinata a un obbligo risarcitorio, non fissa un termine per l’adempimento?
In assenza di un termine fissato dal giudice, questo coincide automaticamente con i termini di legge previsti dall’art. 163 del codice penale, ovvero cinque anni per i delitti e due anni per le contravvenzioni, decorrenti dal passaggio in giudicato della sentenza.
L’omissione della fissazione del termine per l’adempimento è un vizio che giustifica un ricorso in Cassazione?
No. Secondo la Corte, pur rappresentando un vizio di violazione di legge, non è un vizio rilevante in sede di Cassazione. La questione può essere risolta in sede esecutiva, dove è possibile ottenere le necessarie integrazioni.
Perché il ricorrente è stato condannato a pagare una somma alla Cassa delle ammende?
Il ricorrente è stato condannato perché il suo ricorso è stato dichiarato inammissibile in quanto manifestamente infondato. Secondo l’art. 616 del codice di procedura penale, quando un’impugnazione è proposta senza colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, alla condanna alle spese processuali consegue anche il versamento di una somma alla Cassa delle ammende.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 12598 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 12598 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 20/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da: NOME COGNOME nato a TERNI il 21/08/1965
avverso la sentenza del 31/05/2024 della CORTE APPELLO di ROMA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
1. GLYPH Il ricorso di NOME COGNOME che ha presentato anche memoria è inammissibile atteso che a fronte della lamentata mancata determinazione del termine entro cui svolgere l’attività cui è subordinato il beneficio della sospensione condizionale della pena rileva il chiaro principio, di fatto escludente ogni vizio rilevabile in questa sede, per cui in caso di sospensione condizionale della pena subordinata all’adempimento di un obbligo risarcitorio, il termine entro il quale l’imputato deve provvedere allo stesso, che costituisce elemento essenziale dell’istituto, va fissato dal giudice in sentenza ovvero, in mancanza, dal giudice dell’impugnazione, anche d’ufficio, o da quello dell’esecuzione, fermo restando che, ove non venga in tal modo fissato, lo stesso viene a coincidere con la scadenza dei termini di cinque o due anni previsti dall’art. 163 cod. pen. decorrenti dal passaggio in giudicato della sentenza.(In motivazione la Corte ha precisato che l’omessa fissazione del termine si traduce in un vizio di violazione di legge della sentenza). (Sez. U, n. 37503 del 23/06/2022, Liguori, Rv. 283577 – 01). In mancanza di gravame la lamentata integrazione con fissazione del termine non appare vizio rilevante in questa sede a fronte piuttosto della possibilità di agire in sede esecutiva. Sussiste inoltre articolata e coerente motivazione cui si oppone un mero giudizio rivalutativo del merito.
La parte civile che ha depositato conclusioni non può svolgere interlocuzioni sui punti proposti. Invero in tema di impugnazioni non sussiste l’interesse della parte civile cui sia stato già riconosciuto in risarcimento del danno a partecipare al giudizio in cassazione su questioni in punto concernente la sospensione condizionale della pena trattandosi di profili strettamente penalistici non incidenti sulla responsabilità civile. (sez. 3 del 4.10.2023 rv. 285697 01) Non può quindi che concludersi nel senso dell’inammissibilità del ricorso, stante la manifesta infondatezza dell’impugnazione.
Tenuto altresì conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere dellé spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in euro 3.000,00.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al versamento della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma il 20.12.2024