Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 21316 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 21316 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 18/04/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da
COGNOME NOMECOGNOME nato a Napoli il 03/06/1946
avverso l’ordinanza del 02/09/2024 della Corte di appello di Perugia visti gli atti, il provvedimento denunziato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
lette le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo che il ricorso sia dichiarato inammissibile;
letta la memoria di replica dell’avvocato NOME COGNOME difensore di COGNOME COGNOME che ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con l’ordinanza in epigrafe indicata la Corte di appello di Perugia ha dichiarato inammissibile l’istanza di revisione formulata ai sensi dell’art. 630, comma 1 lett. c), cod. proc. pen. nell’interesse di NOME COGNOME condannato con sentenza irrevocabile il 21/06/2015, per il reato di cui all’art. 348 cod. pen., per aver esercitato attività forense da febbraio a ottobre 2007,
nonostante fosse stato sospeso dall’esercizio della professione con provvedimento del 07/11/2006, notificatogli il 11/11/2006.
Avverso tale ordinanza ha proposto ricorso per cassazione il difensore di NOME COGNOME denunciando un unico motivo di annullamento per violazione di legge, in relazione agli artt. 348 cod. pen. e 50 Regio decreto legge n. 1578 del 1933, vigente all’epoca dei fatti, che prevedeva che l’impugnazione del provvedimento disciplinare avesse effetto sospensivo. Per questo, secondo la difesa, la certificazione del Consiglio dell’Ordine degli avvocati di Napoli da cui risulta che l’avvocato COGNOME presentò ricorso avverso la delibera di sospensione dall’esercizio della professione integrerebbe una nuova prova, idonea a far venir meno l’elemento oggettivo del reato di cui all’art. 348 cod. pen.
Disposta la trattazione scritta del procedimento, in mancanza di richiesta nei termini ivi previsti di discussione orale, il Procuratore generale e il difensore hanno depositato conclusioni scritte, come in epigrafe indicate.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è infondato e va respinto.
Nella prospettazione difensiva la prova nuova, rilevante ai sensi dell’art. 630, comma 1, lett. c), cod. proc. pen. isarebbe costituita dalla certificazione del Consiglio dell’Ordine degli avvocati di Napoli, da cui risulta: a) che l’avvocato NOME COGNOME fu sospeso in via cautelare dall’esercizio della professione con delibera del Consiglio dell’Ordine degli avvocati di Napoli del 07/11/2006 (notifica del 11/11/2006); b) che detta delibera venne impugnata con ricorso al Consiglio Nazionale Forense il 01/12/2006. Ciò in quanto, secondo la difesa, l’art. 50 del Regio decreto legge n. 1578 del 1933, applicabile al caso di specie, espressamente riconnetteva effetto sospensivo all’impugnazione.
Per questo l’esercizio della professione forense da parte del ricorrente attinto da provvedimento disciplinare cautelare non avrebbe integrato l’ipotesi delittuosa di cui all’art. 348 c.p., essendo sospesa l’efficacia del provvedimento stesso.
Il Regio decreto legge n. 1578 del 1933 (Ordinamento delle professioni di avvocato e di procuratore) regolava il procedimento disciplinare negli artt. da 38 a51. La legge n. 247 del 2012, istitutiva della nuova disciplina dell’ordinamento professionale forense, ha previsto al Titolo V le disposizioni sul nuovo procedimento disciplinare. Tale normativa è entrata in vigore, con riguardo alla
sospensione cautelare, il 10 gennaio 2015, allorquando è divenuto vigente il regolamento del CNF 21 febbraio 2014, n. 2, secondo la previsione contenuta nell’art. 39 (Cass., Sez. U. civ, 26 settembre 2017, n. 22358, Rv. 645466).
La nuova disciplina della sospensione cautelare differisce dalla precedente in quanto la legge n. 247 del 2012 tipizza le ipotesi che la legittimano, ne stabilisce un termine di durata (un anno) e ne prevede l’inefficacia ove, nel termine di sei mesi dalla sua irrogazione, non venga adottato il provvedimento sanzionatorio. Inoltre, la competenza a deliberarla spetta a una apposita sezione del Consiglio Distrettuale di disciplina competente per il procedimento disciplinare, mentre in precedenza la competenzia deliberare la misura spettava al Consiglio dell’Ordine degli avvocati.
Al presente ricorso si applica, ratione temporis, il Regio decreto legge n. 1578 del 1933.
Tale decreto prevedeva la sospensione dall’esercizio della professione sia come sanzione definitiva (art. 40) che come misura cautelare (art. 43, commi 3 e 4).
In particolare, l’art. 43, comma 3, del decreto in esame stabiliva che «il Consiglio può pronunciare, sentito il professionista, la sospensione dell’avvocato o del procuratore sottoposto alla misura di prevenzione della sorveglianza speciale o contro il quale sia stato emesso mandato od ordine di comparizione o di accompagnamento, senza pregiudizio, delle più gravi sanzioni».
Tale previsione conferiva al Consiglio dell’Ordine il potere di disporre, in via cautelare, la sospensione dall’attività professionale, sulla base di una valutazione d’incompatibilità dell’addebito con l’esercizio della professione.
L’istituto della sospensione cautelare -a differenza della sospensionesanzione-, trova le sue ragioni nella esigenza di evitare lo strepitus fori che può conseguire alla contestazione di un reato a carico del professionista ed assegna al Consiglio dell’Ordine locale il potere di valutare la sua opportunità, in un’ottica di bilanciamento tra le ragioni di tutela della immagine di integrità morale della categoria e le ragioni del professionista (Sez. U civ., n. 26148 del 03/11/2017, Rv. 645815).
Secondo consolidata giurisprudenza di legittimità, la misura interdittiva in questione «non ha natura di sanzione, costituendo piuttosto un provvedimento amministrativo a carattere provvisorio, avente natura propriamente discrezionale, (…) la cui ratio va individuata nell’esigenza di tutelare e salvaguardare la dignità e il prestigio dell’Ordine forense» (Sez. U. civ. 23 dicembre 2005 n. 28505, Rv. 587955).
( 4) Pertanto, la sospensione cautelare non è 11!: un provvedimento giurisdizionale, né una forma di sanzione disciplinare ma costituisce, al contrario, un provvedimento cautelare incidentale di natura amministrativa a carattere provvisorio, svincolato dalle forme e dalle garanzie del procedimento disciplinare, nel senso che non richiede la preventiva formale apertura di un procedimento disciplinare.
Tali caratteristiche, affermate dalla giurisprudenza in riferimento alla previsione dell’art. 43, comma 3, Regio decreto legge n. 1578 del 1933, sono rimaste immutate anche con la legge n. 247 del 2012, che ha mantenuto l’indipendenza del provvedimento di sospensione cautelare dalla formulazione di un capo di incolpazione e dalla apertura di un procedimento disciplinare.
Il ricorrente ha richiamato l’art. 50 del Regio deceto-legge n. 1578 del 1933, che stabiliva che il ricorso al Consiglio Nazionale Forense avesse effetto sospensivo della delibera impugnata (comma 7, secondo cui «Il ricorso ha effetto sospensivo»), contrariamente a quanto previsto dal successivo art. 56 per il ricorso per cassazione avverso la delibera del Consiglio Nazionale Forense (il comma 4, infatti, recitava «Il ricorso non ha effetto sospensivo. Tuttavia l’esecuzione può essere sospesa dalle sezioni unite della Corte di cassazione»).
Tale richiamo, però, è inconferente, in quanto l’art. 50 si riferiva unicamente alle delibere che irrogano sanzioni disciplinari (e, quindi, anche alla sospensionesanzione). Esso, quindi, non era applicabile ai provvedimenti di sospensione cautelare, per i quali la normativa nulla disponeva.
Nel silenzio del legislatore, la giurisprudenza ha ritenuto che tali provvedimenti, per loro stessa natura, dovessero avere esecutività immediata, non potendo altrimenti conseguire le proprie finalità, e ha precisato che, non essendo sanzioni disciplinari, non ammettevano possibilità di sospensione (Sez. U. civ, 9 aprile 1986 n. 2463 Rv. 445557; Sez. U civ., 24 marzo 1971, n. 831, Rv. 350676; Sez. U. civ, n. 15429 del 01/07/2014 in motivazione).
Il provvedimento impugnato ha fatto corretta applicazione di tali principi, richiamando la giurisprudenza delle Sezioni Unite secondo cui il ricorso al Consiglio Nazionale Forense non ha effetto sospensivo del provvedimento di sospensione cautelare dell’avvocato dall’esercizio professionale. E infatti, dall’attestazione del Consiglio dell’Ordine degli avvocati di Napoli emerge che il ricorrente non è stato sottoposto alla sanzione disciplinare della sospensione dall’esercizio della professione, ma che è stato sospeso cautelarmente dallo stesso, con conseguente inapplicabilità dell’art. 50 del Regio decreto legge n. 1578 del 1933.
In conclusione il ricorso va rigettato, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 18/04/2025.