Sorveglianza speciale: anche la violazione delle prescrizioni accessorie è reato
L’ordinanza della Corte di Cassazione in esame offre chiarimenti fondamentali sulla portata e l’applicazione della sorveglianza speciale, una delle più incisive misure di prevenzione previste dal nostro ordinamento. Il caso analizzato riguarda la violazione delle prescrizioni imposte a un soggetto sottoposto a tale misura e la conseguente condanna penale. La Suprema Corte, nel dichiarare inammissibile il ricorso, ribadisce principi chiave sull’integrazione del reato e sui limiti di applicabilità della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto.
I Fatti del Caso: un Ricorso contro la Condanna
Un individuo, già condannato in primo e secondo grado per il reato di cui all’art. 75 del d.lgs. 159/2011, ha presentato ricorso per cassazione. La sua condanna derivava dalla violazione di specifiche prescrizioni legate alla misura della sorveglianza speciale cui era sottoposto. Il ricorrente lamentava principalmente due aspetti: la manifesta illogicità della sentenza che affermava la sua responsabilità e la mancata applicazione dell’art. 131-bis del codice penale, sostenendo la particolare tenuità del fatto commesso.
L’Analisi della Corte sulla Sorveglianza Speciale
La Corte di Cassazione ha rigettato entrambi i motivi del ricorso, ritenendoli manifestamente infondati. L’analisi dei giudici si è concentrata su due pilastri fondamentali della disciplina.
La Violazione delle Prescrizioni Accessorie
In primo luogo, la Corte ha sottolineato che le cosiddette ‘prescrizioni accessorie’, previste dall’art. 8 del d.lgs. 159/2011, non sono elementi secondari, ma parti integranti del precetto penale. Queste prescrizioni, che servono a personalizzare la misura di prevenzione in base alle esigenze di difesa sociale del caso specifico, hanno piena efficacia integrativa. Di conseguenza, la loro violazione costituisce pienamente il reato previsto dall’art. 75 dello stesso decreto. La decisione si allinea a un orientamento giurisprudenziale consolidato, che attribuisce a tali regole un ruolo essenziale nell’effettività della misura preventiva.
L’Esclusione della Particolare Tenuità del Fatto
Per quanto riguarda la richiesta di applicare l’art. 131-bis c.p., la Corte ha ritenuto la doglianza inammissibile perché meramente reiterativa di censure già esaminate e respinte dal giudice di merito. La Corte territoriale aveva correttamente evidenziato l’assenza dei presupposti per la non punibilità. Nello specifico, mancava sia la particolare tenuità della condotta (data la totale assenza di giustificazioni per la violazione), sia la non abitualità del comportamento. Su quest’ultimo punto, è stato decisivo il fatto che il ricorrente avesse un precedente specifico e altre due condanne per evasione, elementi che delineavano un profilo di persistenza nell’illecito, incompatibile con la natura occasionale richiesta dalla norma.
Le Motivazioni della Decisione
La motivazione della Suprema Corte si fonda sulla necessità di garantire l’effettività delle misure di prevenzione come la sorveglianza speciale. Ritenere non penalmente rilevante la violazione delle prescrizioni accessorie svuoterebbe di significato la misura stessa, che si basa proprio sull’adesione del soggetto a un programma di controllo personalizzato. La decisione di inammissibilità è stata quindi una conseguenza diretta della manifesta infondatezza delle argomentazioni del ricorrente, che non hanno scalfito la logicità e la correttezza giuridica delle sentenze di merito. La condanna al pagamento delle spese processuali e di una somma alla Cassa delle ammende sancisce la temerarietà del ricorso, proposto in assenza di elementi validi a sostegno.
Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche
Questa ordinanza ribadisce un messaggio chiaro: ogni prescrizione imposta nell’ambito della sorveglianza speciale ha forza di legge e la sua inosservanza comporta conseguenze penali. La decisione conferma che non vi è spazio per interpretazioni lassiste e che la valutazione sulla ‘particolare tenuità’ di un fatto deve tenere conto non solo dell’episodio in sé, ma anche del contesto complessivo e della storia criminale del soggetto. Per chi è sottoposto a tali misure, è quindi imperativo un rispetto rigoroso di tutte le regole imposte, poiché anche la violazione di quelle apparentemente minori può condurre a una condanna penale, con scarse possibilità di appellarsi con successo a cause di non punibilità.
 
La violazione di una prescrizione accessoria della sorveglianza speciale costituisce reato?
Sì, la Corte di Cassazione ha confermato che le prescrizioni accessorie, previste dall’art. 8 del d.lgs. 159/2011, hanno efficacia integrativa del precetto penale. Di conseguenza, la loro violazione integra pienamente i reati di cui all’art. 75 del medesimo decreto.
Quando non si applica la causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto (art. 131-bis c.p.)?
Secondo la Corte, non si applica quando manca il requisito della non abitualità del comportamento. Nel caso di specie, l’esistenza di un precedente specifico e di ulteriori condanne per evasione a carico del soggetto ha escluso la possibilità di considerare il comportamento illecito come occasionale, rendendo inapplicabile la norma.
Cosa succede se un ricorso in Cassazione è manifestamente infondato?
Se il ricorso è ritenuto manifestamente infondato, la Corte lo dichiara inammissibile. Ciò comporta non solo la conferma della decisione impugnata, ma anche la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della Cassa delle ammende.
 
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 3263 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7   Num. 3263  Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 12/10/2023
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a BARCELLONA POZZO DI GOTTO il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 26/05/2023 della CORTE APPELLO di MESSINA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Rilevato che NOME COGNOME ricorre per cassazione contro la sentenza della Corte d’appello di Messina che ha confermato la condanna del Tribunale di Patti del 14/12/2021 in ordine al reato di cui all’art.75 d.lgs. 159 del 2011;
Ritenuto che i motivi dedotti nel ricorso, con i quali COGNOME si duole della manifesta illogicità della sentenza in relazione all’affermazione di responsabilità dell’imputato nonché in ordine alla mancata applicazione dell’art.131-bis cod. pen., sono manifestamente infondati;
Osservato, quanto al primo motivo, che la Corte ha fatto corretta applicazione del principio per cui in tema di sorveglianza speciale, le cd. prescrizioni accessorie di cui all’art. 8 d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159 – che consentono di adattare le esigenze di difesa sociale proprie della misura di prevenzione al caso concreto – hanno efficacia integrativa del precetto relativo ai reati di cui all’art. 75, commi 1 e 2, del medesimo decreto, con la conseguenza che anche la loro violazione integra detti reati (Sez. 1, n. 12889 del 26/02/2018, Tagliapietra, Rv. 272612 – 01;
Rilevato che anche la seconda doglianza non supera il vaglio preliminare di ammissibilità, in quanto semplicemente reiterativa di profili di censura già congruamente vagliati dal giudice di merito. La Corte territoriale ha invero evidenziato come difettasse nel caso di specie sia la particolare tenuità della condotta, stante la totale assenza di giustificazione rispetto alla violazione contestata, sia la non abitualità del comportamento illecito, evidenziando come COGNOME avesse riportato un precedente specifico nonché ulteriori due condanne per evasione;
Ritenuto che deve essere dichiarata l’inammissibilità del ricorso, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in mancanza di elementi atti a escludere la colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al versamento della somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 12 ottobre 2023.