Sorveglianza Speciale: la Cassazione fa chiarezza sulla rivalutazione della pericolosità sociale
Con la recente ordinanza n. 8432 del 2024, la Corte di Cassazione è intervenuta su un tema cruciale in materia di misure di prevenzione: la sorveglianza speciale. La pronuncia chiarisce in quali circostanze specifiche il decorso del tempo tra l’applicazione di una misura e la sua concreta esecuzione imponga al giudice una nuova valutazione della pericolosità sociale del destinatario. Questa decisione offre importanti spunti interpretativi sull’art. 14 del D.Lgs. 159/2011 (Codice Antimafia) e ribadisce i confini dell’obbligo di motivazione del giudice.
Il caso: violazione della sorveglianza speciale e ricorso in Cassazione
Il caso trae origine dalla condanna a un anno di reclusione, confermata dalla Corte d’Appello di Ancona, nei confronti di un individuo per aver violato gli obblighi derivanti dalla misura della sorveglianza speciale. L’imputato, ritenendo la condanna ingiusta, ha proposto ricorso per cassazione, sollevando due questioni principali: la presunta illegittimità della misura di prevenzione applicata e l’eccessività della pena irrogata.
I motivi del ricorso: legittimità della misura e quantum della pena
Il ricorrente ha articolato la sua difesa su due punti fondamentali:
1. Vizio di motivazione e violazione dell’art. 3 della Costituzione: Secondo la difesa, la misura della sorveglianza speciale era illegittima perché erano trascorsi più di due anni tra la delibera del provvedimento e la sua effettiva esecuzione. Questo ritardo, sebbene non causato da una detenzione, avrebbe dovuto imporre al giudice una nuova e attenta valutazione della persistenza della pericolosità sociale del soggetto, analogamente a quanto previsto per i casi di detenzione.
2. Vizio di motivazione sul quantum della pena: Il secondo motivo di ricorso contestava la congruità della pena di un anno di reclusione, ritenendola non adeguatamente motivata dal giudice di merito.
La decisione della Corte sulla sorveglianza speciale
La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso manifestamente infondato e, di conseguenza, inammissibile. Gli Ermellini hanno smontato entrambe le tesi difensive con argomentazioni precise, basate sul dato normativo e sulla giurisprudenza consolidata.
Il rigetto del primo motivo
La Corte ha stabilito che la tesi del ricorrente era in palese contrasto con la legge. L’art. 14 del D.Lgs. n. 159/2011 è chiaro: la rivalutazione della pericolosità sociale è necessaria solo e unicamente quando l’esecuzione della misura di prevenzione sia ritardata a causa di una detenzione per espiazione di una pena superiore a due anni. In tale ipotesi, e solo in quella, la nuova verifica della pericolosità diventa una condizione di efficacia della misura stessa. La ratio della norma, come chiarito anche dalle Sezioni Unite (sent. n. 51407/2018), risiede nel fatto che un lungo periodo di detenzione può modificare l’atteggiamento del soggetto. Al di fuori di questa specifica circostanza, il semplice decorso del tempo non impone alcun obbligo di rivalutazione.
L’infondatezza del secondo motivo
Anche la censura sulla quantificazione della pena è stata respinta. La Cassazione ha ritenuto la motivazione della Corte d’Appello congrua e specifica. I giudici di merito avevano correttamente bilanciato gli elementi a disposizione: da un lato, avevano concesso le circostanze attenuanti generiche nonostante i precedenti penali; dall’altro, avevano operato un giudizio di equivalenza con la recidiva e irrogato una pena pari al minimo edittale. La Corte ha inoltre ricordato un principio consolidato: un obbligo di motivazione particolarmente dettagliato sulla pena è richiesto solo quando questa si discosta notevolmente dalla media, e non quando, come nel caso di specie, si attesta sul minimo previsto dalla legge.
Le motivazioni
La motivazione della Cassazione si fonda su un’interpretazione rigorosa e letterale della normativa in materia di misure di prevenzione. La Corte sottolinea che l’obbligo di rivalutare la pericolosità sociale rappresenta un’eccezione, legata a una specifica situazione (la detenzione ultra biennale), e non può essere estesa per analogia ad altre ipotesi di ritardo nell’esecuzione. Il legislatore ha ponderato le diverse situazioni, ritenendo che solo una lunga carcerazione possa incidere significativamente sulla pericolosità di un individuo al punto da richiedere una nuova verifica prima di applicare la sorveglianza speciale. Qualsiasi altra interpretazione si porrebbe in contrasto con la volontà del legislatore e con la giurisprudenza consolidata delle Sezioni Unite.
Le conclusioni
L’ordinanza in esame ribadisce un principio fondamentale: le condizioni per l’applicazione e l’efficacia delle misure di prevenzione sono stabilite tassativamente dalla legge e non possono essere interpretate in via estensiva. Il ritardo nell’esecuzione di una misura di sorveglianza speciale, se non causato da una detenzione superiore a due anni, non fa sorgere alcun obbligo per il giudice di procedere a una nuova valutazione della pericolosità sociale. La decisione conferma la validità della misura applicata e, di conseguenza, la legittimità della condanna per la sua violazione.
Il semplice passare del tempo tra la decisione e l’esecuzione di una misura di sorveglianza speciale obbliga il giudice a rivalutare la pericolosità sociale del soggetto?
No. Secondo la Corte di Cassazione, la rivalutazione della pericolosità sociale non è richiesta per il solo decorso del tempo. È una condizione di efficacia della misura prevista dalla legge solo nel caso specifico in cui l’esecuzione sia ritardata a causa di una detenzione del soggetto per una pena superiore ai due anni.
Per quale motivo la Corte ha ritenuto legittima la pena inflitta al ricorrente?
La Corte ha ritenuto che la motivazione della pena fosse adeguata, poiché il giudice di merito aveva considerato le circostanze attenuanti generiche, le aveva bilanciate con la recidiva e aveva irrogato il minimo della pena previsto dalla legge. Una spiegazione più dettagliata è richiesta solo per pene molto superiori alla media, cosa non avvenuta in questo caso.
Cosa succede quando un ricorso in Cassazione viene dichiarato inammissibile?
La dichiarazione di inammissibilità comporta che il ricorso non venga esaminato nel merito, rendendo definitiva la sentenza impugnata. Inoltre, il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese processuali e di una somma di denaro in favore della cassa delle ammende, come sanzione per aver proposto un ricorso privo dei presupposti di legge.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 8432 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 8432 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 08/02/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a ROMA il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 27/04/2023 della CORTE APPELLO di ANCONA
dato avviso alle parti; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
Rilevato che con il provvedimento impugnato la Corte d’appello di Ancona ha confermato la sentenza di condanna alla pena di anni uno di reclusione emessa dal Tribunale di Pesaro nei confronti di COGNOME NOME in relazione al reato di cui all’art. 75 comma 2 D.Lgs. 159 del 2011;
Rilevato che con il primo motivo di ricorso si deduce vizio di motivazione nonché violazione dell’art. 3 della Costituzione per avere il giudice dell’esecuzione ritenuto integrato il reato ascritto in tutti i suoi elementi costitutivi nonostan l’illegittimità del provvedimento di applicazione della misura della sorveglianza speciale; invero, essendo trascorsi più di due anni tra la deliberazione e l’esecuzione della misura, anche se per ragioni diverse dall’espiazione di un pena detentiva, l’organo giudiziario avrebbe dovuto rivalutare la persistenza della pericolosità sociale dell’interessato, non potendo dipendere la verifica di tale requisito dall’essere stati o meno detenuti, trattandosi di situazioni oggettivamente analoghe;
Rilevato che con il secondo motivo di ricorso si deduce vizio di motivazione in relazione al quantum di pena irrogato al ricorrente;
Rilevato che la prima censura è manifestamente infondata perché prospetta enunciati ermeneutici in palese contrasto con il dato normativo e con la consolidata giurisprudenza di legittimità, giacché, ai sensi dell’art. 14 cligs. 6 settembre 2011, n. 159, la rivalutazione della pericolosità sociale dell’interessato si rende necessaria nel caso di detenzione per espiazione pena ultra biennale; è in tale ipotesi, e non in altre, che la nuova verifica di pericolosità rappresenta una condizione di efficacia della misura di prevenzione, in difetto della quale non può configurarsi il reato di violazione degli obblighi inerenti alla sorveglianza speciale, previsto dall’art. 75 d.lgs. 6 settembre 2011 n. 159, considerato che il decorso di un rilevante lasso di tempo tra la applicazione della misura e la sua esecuzione, sospesa per l’espiazione di una pena, incrementa la possibilità che intervengano modifiche nell’atteggiamento del soggetto nei confronti dei valori della convivenza civile (Sez. U, n. 51407 del 21/06/2018, NOME, ftv. NUMERO_DOCUMENTO);
Ritenuto che anche la seconda censura è manifestamente infondata in quanto il decidente ha fornito sul punto una congrua e specifica motivazione non censurabile in sede di legittimità (avendo posto l’accento sull’avvenuta concessione, nonostante i plurimi precedenti penali, delle circostanze attenuanti generiche, sul giudizio di equivalenza con la contestata recidiva, sull’irrogazione del minimo della pena), rispettosa del principio secondo cui, in tema di graduazione della pena, è necessaria una specifica e dettagliata spiegazione del ragionamento seguito, al fine di assolvere all’obbligo di motivazione, soltanto
quando la pena sia di gran lunga superiore alla misura media di quella edittale (Sez. 2, Sentenza n. 36104 del 27/04/2017);
Considerato che alla inammissibilità del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché – valutato il contenuto del ricorso e in mancanza di elementi atti a escludere la colpa nella determinazione della causa di inammissibilità – al versamento della somma, ritenuta congrua, di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso 1’8/02/2024