Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 4267 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 6   Num. 4267  Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 11/01/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da
NOME NOME, nato a Catania il DATA_NASCITA
avverso il decreto del 2/5/2023 della Corte di appello di Catania
Visti gli atti, il decreto impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO; letta la requisitoria del AVV_NOTAIO, che ha concluso chiedendo di dichiarare l’inammissibilità del ric:orso
RITENUTO IN FATTO
Con decreto del 2 maggio 2023 la Corte di appello di Catania ha confermato il decreto emesso dal Tribunale della stessa città il 15 dicembre 2022, con cui nei confronti di NOME COGNOME è stata disposta la misura di prevenzione della sorveglianza speciale per anni uno e mesi sei con l’obbligo di soggiorno del Comune di residenza e l’imposizione di una cauzione, in quanto
ritenuto soggetto socialmente pericoloso ai sensi dell’art. 1, lettera b), D.Igs. n. 159/2011.
Avverso il decreto della Corte di appello ha proposto ricorso per cassazione il difensore di NOME NOME COGNOME, che ha dedotto l’erronea applicazione dell’art. 1 lett. b) D.Igs n. 159/2011 nonché vizi della motivazione, per avere il Collegio territoriale trascurato una serie di elementi, quali il tenore d vita del proposto, adeguato alle capacità lavorative sue e del suo nucleo familiare, l’assenza di condanne e il difetto del profilo dell’attualità del pericolosità sociale.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile.
Costituisce ius receptum nella giurisprudenza di questa Corte il principio secondo il quale nel procedimento di prevenzione il ricorso per cassazione è ammesso soltanto per violazione di legge, nozione nella quale va ricompresa la motivazione inesistente o meramente apparente.
Tale principio, enunciato con riferimento alla disciplina previgente rispetto al D.Igs. n. 159/2011, è valido tuttora, in quanto l’art. 10, comma 3, di tale decreto, pure richiamato dall’art. 27, comma 2, per le misure reali, prevede espressamente che il ricorso per cassazione avverso il decreto della Corte di appello può essere presentato solo per violazione di legge.
Ciò esclude che nel giudizio di legittimità possano essere dedotti meri vizi della motivazione, che si traducano in forme di illogicità ovvero in una diversa interpretazione degli elementi dimostrativi, valutati dai giudici di merito. Di contro, possono essere rilevanti solo quei vizi che concretizzino una ipotesi di motivazione del tutto assente ovvero apparente, intesa quest’ultima come motivazione «del tutto priva dei requisiti minimi di coerenza e completezza, al punto da risultare inidonea a rendere comprensibile l’iter logico seguito dal giudice di merito», trattandosi di vizio che sostanzia una «inosservanza della specifica norma processuale che impone, a pena di nullità, l’obbligo di motivazione dei provvedimenti giurisdizionali» (così, tra le tante, Sez. U, n. 33451 del 29/05/2014, Repaci, Rv. 260246 – 01).
 Alla luce di tale regula iuris devono considerarsi prive di pregio le doglianze formulate dal ricorrente, in quanto con le stesse, lungi dall’evidenziare un’ipotesi di motivazione apparente, nel senso innanzi esposto, egli ha proposto una rilettura delle emergenze procedimentali, provando a togliere forza persuasiva all’ordito argomentativo contenuto nel decreto impugnato,
caratterizzato, invece, da una motivazione completa e congrua, di certo idonea ad illustrare le ragioni della decisione.
La Corte di appello ha ricondotto il ricorrente nella categoria di soggetti delineata dall’art. 4, comma 1, lettera b, D.Igs n. 159/2011 (soggetti indiziati di uno dei reati previsti dall’art. 51, comma 3 bis cod. proc. pen.), essendo emerso, nell’ambito del procedimento penale in corso, avente ad oggetto il delitto di estorsione aggravato dall’art. 416 bis.1 cod. pen., che egli non solo aveva condotto NOME COGNOME da NOME COGNOME, noto mafioso, affinché gli fosse rivolta la richiesta estorsiva, ma aveva anche preso la parola per rivelare di essere a conoscenza che l’ex socio di NOME, ossia NOME COGNOME, aveva pagato il pizzo e, in virtù di ciò, «le cose gliele avevano sistemate».
La Corte di appello ha precisato che le modalità della condotta, tenuta da COGNOME e COGNOME, costituivano chiara manifestazione del metodo mafioso, che fa leva, tra l’altro, proprio sulla forza di intimidazione e sull’omertà, che n deriva, e ha aggiunto che la consumazione di tale fatto a novembre 2021 toglieva ogni dubbio sull’attualità della pericolosità sociale.
A fronte di siffatte argomentazioni il ricorrente ha contestato le valutazioni effettuate dal Collegio territoriale, così deducendo non violazioni di legge ma vizi della motivazione, estranei, però, al sindacato di questa Corte.
La declaratoria di inammissibilità del ricorso comporta, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali nonché – non sussistendo ragioni di esonero (Corte cost., 13 giugno 2000 n. 186) – della somma di euro tremila, equitativamente determinata, in favore della Cassa delle ammende a titolo di sanzione pecuniaria.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso 1’11/1/2024