Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 26457 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 1 Num. 26457 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 11/04/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato il 26/03/1983
avverso la sentenza del 16/09/2024 della CORTE APPELLO di L’AQUILA
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
lette le conclusioni del PG COGNOME:
lette le conclusioni scritte depositate in data 17 marzo 2025 dall’avv. NOME COGNOME
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza indicata in epigrafe, la Corte d’Appello di L’Aquila, in parziale riforma della sentenza di condanna adottata dal Tribunale di Avezzano nei confronti di NOMECOGNOME per i reati di cui agli artt. 75 e 76 d.lgs. n. 159 del 2001, ha rideterminato la pena, concesse le attenuanti generiche equivalenti all’aggravante della recidiva specifica reiterata ed infraquinquennale, in anni uno e mesi sei di reclusione, confermando per il resto la sentenza.
Avverso la sentenza, ha proposto ricorso per cassazione NOME COGNOME per il tramite del difensore di fiducia, avv. NOME COGNOME deducendo tre motivi, di seguito enunciati in conformità al disposto degli artt. 173 disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Con il primo motivo, il ricorrente ha dedotto la violazione di legge, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e) cod. proc. pen., la nullità del sentenza, nonché la sussistenza di una motivazione apparente e illogica.
In particolare, la difesa ha eccepito che la sentenza impugnata, nella parte in cui afferma che la persona vista a bordo dell’auto, poi fuggita, è l’attuale ricorrente, sarebbe affetta da una motivazione travisante e apparente, in quanto fondata su un riconoscimento operato dalla polizia giudiziaria a circa cinquanta, cento metri di distanza; sarebbe, altresì contraddittoria e presuntiva anche nella parte in cui afferma che il ricorrente, essendo stato sorpreso alle 17.30 al di fuori del territorio in cui avev l’obbligo di dimorare, ben avrebbe potuto raggiungere la caserma dei Carabinieri di Avezzano per apporre la firma, trattandosi invece di asserzioni apodittiche e prive di efficacia dimostrativa i in quanto la distanza tra il casello autostradale di Avezzano e la suddetta caserma è di tredici chilometri, percorribili a passo normale in circa due ore.
2.2. Con il secondo motivo, il ricorrente ha dedotto, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. e) cod. proc. pen. il travisamento della testimonianza del conducente l’autovettura, ritenuto poco credibile avendo il teste sostenuto di aver dato il passaggio ad un soggetto che gli chiese di accompagnarlo ad Avezzano, descrivendolo in modo differente dalla persona del ricorrente.
2.3. Con il terzo motivo, il ricorrente ha, infine, dedotto l’insussistenz del reato alla luce del principio di diritto affermato nella sentenza dell Sezioni Unite n. 51407 del 2018 del 13 novembre 2019, nonché del mancato accertamento della pericolosità sociale da parte del Tribunale che ha disposto
la misura, come invece sarebbe stato necessario anche a seguito delle sentenze della Corte costituzionale n. 24 e 25 del 2019.
A tal riguardo, il ricorrente ha evidenziato che la misura di prevenzione, emessa in data 18 giugno 2012 con decorrenza dal 14 agosto 2012, per la durata di due anni, per effetto delle varie carcerazioni definitive di lung durata avrebbe dovuto scadere il 2 giugno 2016, essendosi invece prorogata la scadenza di ben quattro anni, senza procedere alla rivalutazione della pericolosità.
Con requisitoria scritta, il Sostituto Procuratore generale della Corte di cassazione, NOME COGNOME ha concluso per il rigetto del ricorso.
In data 17 marzo 2025, il difensore del ricorrente ha presentato conclusioni scritte insistendo per l’accoglimento del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRMO
Il ricorso è complessivamente infondato.
Il primo motivo non è meritevole di accoglimento, in quanto la sentenza impugnata fornisce una motivazione esente da vizi logici e carenze argomentative in ordine alla attendibilità del teste di polizia giudiziaria sul identificazione dell’imputato.
Al riguardo, nel convalidare le conclusioni formulate dal Giudice di Avezzano, la sentenza dà conto della deposizione del Brigadiere dei Carabinieri COGNOME il quale aveva riferito che una pattuglia dei Carabinieri di Avezzano, a conoscenza del fatto che l’imputato si sarebbe recato in Roma per l’acquisto di stupefacenti, si era appostata presso l’area di servizio Mont Velino, nel Comune di Magliano del Marsi e che, al passaggio dell’autovettura segnalata, si era posta al seguito della stessa, avendo modo l’COGNOME di vedere, trovandosi a circa cinquanta, cento metri, che il soggetto trasportato fosse proprio l’imputato / persona, peraltro, a lui nota per ragioni di ufficio.
Il logico percorso argomentativo sulla certa identificazione dell’imputato risulta altresì dalla puntuale analisi dei Giudici di appello che hann evidenziato che il soggetto trasportato, già identificato nell’imputato da parte del Brigadiere COGNOME una volta datosi alla fuga a piedi, perché accortosi di essere stato scoperto, si era voltato all’indietro, una volta senti chiamare per nome dall’operante che lo inseguiva.
La persuasiva motivazione sulla identificazione dell’imputato mina di rilievo la censura di assertività della motivazione dedotta dalla difesa in ordine alla possibilità cel’imputato, qualora fosse stata lui la person sorpresa, eílrecarsi a porre la firma alle 18.30 presso la Caserma dei Carabinieri, non solo perché tale circostanza non interferisce con la sussistenza della condotta che gli è contestata – ovvero l’ essersi allontanato dal Comune di Avezzano dove aveva l’obbligo di dimorare in forza della misura di prevenzione della Sorveglianza speciale – essendo risultato certo che l’imputato si trovava al di fuori di Avezzano, ma anche perché le indicazioni offerte sono generiche e non comprovate, come si afferma in sentenza, dal registro delle firme.
2. Parimenti infondato è il secondo motivo di ricorso.
Va rilevato che non è configurabile alcun travisamento della testimonianza resa da NOME COGNOME nella parte in cui la sentenza ne afferma la scarsa credibilità per avere il teste, che conduceva l’autovettura dalla quale era sceso l’imputato, reso delle dichiarazioni generiche quanto alla non corrispondenza dell’imputato alla persona da lui trasportata.
Anche in relazione a tale doglianza la difesa si è limitata ad affermare che la sentenza appare “sganciata dalla realtà dei fatti” senza confutare specificamente la motivazione dei giudici di appello che, a fronte di elementi certi di identificazione di NOMECOGNOME evidenziano la genericità di quanto riferito dal teste, il quale aveva affermato di aver dato un passaggio ad un soggetto di carnagione scura da lui occasionalmente incontrato presso l’Autogrill lungo il tragitto autostradale.
3. Anche il terzo motivo non è fondato.
3.1. Deve, rilevarsi che con la sentenza n. 51407 del 21/06/2018, Rv. 273952 – 01, le Sezioni Unite della Corte di cassazione, sviluppando i principi affermati dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 291 del 2013, hanno affermato che non è configurabile il reato di violazione degli obblighi inerenti alla sorveglianza speciale, previsto dall’art. 75 del d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159, nei confronti del destinatario di una tale misura, la cui esecuzione sia stata sospesa per effetto di una detenzione di lunga durata, in assenza della rivalutazione dell’attualità e della persistenza della pericolosità sociale, parte del giudice della prevenzione, al momento della nuova sottoposizione alla misura. (Nell’affermare tale principio, nella sentenza si è rilevato ch l’art. 14, comma 2-ter del d.lgs. n. 159 del 2011, introdotto dall’art.
comma 1, della legge 17 ottobre 2017, n. 161, recante modifiche al Codice antimafia, ha stabilito che la verifica della pericolosità debba avvenire ad opera del tribunale, anche d’ufficio, dopo la cessazione della detenzione per espiazione di pena che si sia protratta per almeno due anni).
Quanto al rapporto tra detenzione e esecuzione di una misura di prevenzione personale, la giurisprudenza di questa Corte, inoltre, ha precisato «che il principio di diritto secondo cui la concomitante sottoposizione del proposto a misura cautelare personale, detentiva o non detentiva, incompatibile con la misura di prevenzione, non consente, all’atto dell’esecuzione di quest’ultima, di ritenere superata o attenuata la presunzione di attualità della pericolosità sociale (Sez. 1, n. 27970 2 del 09/03/2017, Greco, Rv. 270655) continua a rimanere valido anche dopo le modifiche apportate all’art. 14, comma 2-ter, del d.lgs. n. 159 del 2011 dall’art. 4, comma 1, della legge n. 161 del 2017, che, nel dare attuazione al contenuto della sentenza della Corte costituzionale n. 291 del 2013, ha imposto la verifica della pericolosità ad opera del tribunale, anche d’ufficio, dopo la cessazione della detenzione per espiazione di pena che si sia protratta per almeno due anni (Sez. 1, n. 29475 del 01/03/2019, COGNOME Rv. 276806 – 01)» (Sez. I, n. 39246 del 19/09/24, COGNOME n.m.).
Si è specificato che va dato «continuità all’opzione ermeneutica secondo cui l’attuale assetto normativo differenzia la detenzione determinata da custodia cautelare, in sé implicante la persistenza della pericolosità del soggetto, dalla detenzione patita per espiazione di pena, quest’ultima soltanto, ove durata per il lasso minimo suindicato, comportando l’esigenza della verifica dell’attualità della pericolosità sociale del prevenuto. Si osservato che la concomitante sottoposizione del proposto a misura cautelare personale, detentiva o non detentiva, incompatibile con la misura di prevenzione, non consente, all’esecuzione di quest’ultima, di ritenere superata o attenuata la presunzione di attualità della pericolosità sociale (Sez. 1, n. 29475 del 01/03/2019, COGNOME, Rv. 276806): ciò in quanto, la detenzione determinata da custodia cautelare implica, in sé, la persistenza della pericolosità del soggetto. (Sez. I, n. 39246 del 19/09/24, COGNOME, n.m.).
Tali principi restano applicabili pur dopo la recente sentenza della Corte costituzionale n. 162 del 2024, dichiarativa della incostituzionalità dell’art 14, comma 2-ter, del d.lgs. n. 159 del 2011, limitatamente alle parole «se esso si è protratto per almeno due anni,». Difatti, in conseguenza dell’ablazione, per effetto della pronuncia, dopo la cessazione dello stato gi
NOME
detenzione, il Tribunale di sorveglianza sarà tenuto a verificare, anche d’ufficio, la persistenza della pericolosità sociale dell’interessato, senza la
sussistenza di un limite temporale, prevedendosi la possibilità per il Tribunale
«di procedere alla rivalutazione della pericolosità dell’interessato in un momento immediatamente antecedente la scarcerazione del destinatario
della misura di prevenzione, ovvero di omettere la rivalutazione quando la misura sia stata adottata per la prima volta nell’imminenza di tale
scarcerazione».
In conclusione, il principio di diritto secondo cui la concomitante sottoposizione del proposto a misura cautelare personale, detentiva o non
detentiva, incompatibile con la misura di prevenzione, non consente, all’atto dell’esecuzione di quest’ultima, di ritenere superata o attenuata la
presunzione di attualità della pericolosità sociale rimanere valido pur dopo la sentenza Corte costituzionale n. 162 del 2024.
3.2. Tanto premesso, va, quindi, rilevato che la censura dedotta dal ricorrente è geherica e aspecifica in quanto si limita a prospettare la sussistenza di periodi di detenzione, senza indicare i periodi di carcerazione in espiazione di pena, ed allegando un verbale di risottoposizione alla misura di prevenzione della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza nel quale si indicano le date di ripristino della esecuzione della misura (12 aprile 2014, 7 ottobre, 2024 e 28 ottobre 2014), ovvero significativi di brevi periodi di sospensione della esecuzione della misura, che potrebbero essere riferiti ad arresti e ad altre misure restrittive adottate nei confronti di NOME COGNOME senza che sul punto siano stati acquisiti più chiari e definitivi elementi, non allegati dalla difesa.
Alla luce delle ragioni esposte, il ricorso deve essere rigettato, seguendo a tale esito l’onere delle spese processuali a norma dell’art. 616 cod. proc. pen.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, in data 11 aprile 2025.