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Sorveglianza speciale: quando va rivista la pericolosità

Un soggetto sottoposto a sorveglianza speciale viene condannato per aver violato l’obbligo di dimora. Nel ricorso alla Corte di Cassazione, la difesa contesta l’identificazione e sostiene che la sua pericolosità sociale dovesse essere rivalutata dopo un periodo di detenzione. La Corte rigetta il ricorso, confermando l’identificazione e chiarendo che la richiesta di rivalutazione della pericolosità deve essere specifica e provata, distinguendo tra detenzione per espiazione di pena e custodia cautelare. La genericità delle allegazioni difensive ha reso il motivo infondato.

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Pubblicato il 25 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Sorveglianza Speciale e Pericolosità Sociale: I Chiarimenti della Cassazione

La sorveglianza speciale è una delle più incisive misure di prevenzione previste dal nostro ordinamento, destinata a soggetti ritenuti socialmente pericolosi. Ma cosa accade quando la persona sottoposta a tale misura trascorre un periodo in detenzione? La sua pericolosità deve essere automaticamente rivalutata? Una recente sentenza della Corte di Cassazione fa luce su questo punto, sottolineando l’importanza di argomentazioni specifiche e provate da parte della difesa.

I Fatti del Caso: La Violazione della Sorveglianza Speciale

Il caso riguarda un individuo, già sottoposto alla misura della sorveglianza speciale con obbligo di dimora nel comune di Avezzano, condannato dalla Corte d’Appello di L’Aquila per aver violato tali prescrizioni.

Secondo la ricostruzione, una pattuglia dei Carabinieri, a conoscenza del fatto che l’imputato si sarebbe recato a Roma per acquistare stupefacenti, si era appostata presso un’area di servizio. Al passaggio dell’auto segnalata, i militari si erano messi all’inseguimento. L’imputato, passeggero del veicolo, accortosi di essere seguito, era sceso dall’auto e si era dato alla fuga a piedi. Durante l’inseguimento, un Brigadiere, che già conosceva l’individuo per ragioni d’ufficio, lo aveva identificato con certezza, anche perché il fuggitivo si era voltato dopo essere stato chiamato per nome.

I Motivi del Ricorso in Cassazione

La difesa ha impugnato la sentenza di condanna davanti alla Corte di Cassazione, basando il ricorso su tre motivi principali:

1. Errata identificazione: Si contestava la validità del riconoscimento effettuato dai Carabinieri, avvenuto a una distanza di circa 50-100 metri, ritenendolo viziato da una motivazione apparente e illogica.
2. Travisamento della prova: La difesa sosteneva che i giudici avessero travisato la testimonianza del conducente dell’auto, il quale aveva descritto il suo passeggero in modo diverso rispetto all’imputato.
3. Insussistenza del reato per mancata rivalutazione della pericolosità: Il motivo più rilevante dal punto di vista giuridico. La difesa invocava un principio stabilito dalle Sezioni Unite, secondo cui la misura della sorveglianza speciale non può essere applicata automaticamente dopo un lungo periodo di detenzione senza una nuova valutazione della pericolosità sociale del soggetto.

La Decisione della Corte: Sorveglianza Speciale e Valore della Prova

La Corte di Cassazione ha rigettato integralmente il ricorso, ritenendo tutti i motivi infondati. Per quanto riguarda l’identificazione, i giudici hanno considerato pienamente attendibile la deposizione del Brigadiere, non solo perché conosceva già l’imputato, ma anche perché la reazione del fuggitivo, che si era voltato sentendosi chiamare per nome, costituiva un’ulteriore conferma.

Anche il secondo motivo è stato respinto, poiché la testimonianza del conducente è stata giudicata generica e poco credibile a fronte degli elementi certi forniti dalle forze dell’ordine.

Le Motivazioni: Pericolosità Sociale e Obbligo di Rivalutazione

Il cuore della sentenza risiede nell’analisi del terzo motivo. La Corte ha ripercorso l’evoluzione giurisprudenziale in materia, confermando il principio secondo cui, dopo un periodo di detenzione per espiazione di pena, è necessaria una nuova valutazione dell’attualità della pericolosità sociale prima di ripristinare la sorveglianza speciale.

Tuttavia, la Corte ha operato una distinzione cruciale:

* Detenzione per espiazione di pena: Interrompe la presunzione di pericolosità e impone al giudice della prevenzione una nuova verifica.
* Custodia cautelare: Non ha lo stesso effetto, poiché implica di per sé la persistenza della pericolosità che ha giustificato la misura restrittiva.

Nel caso di specie, la difesa si era limitata a prospettare in modo generico e non specifico l’esistenza di periodi di detenzione, senza allegare prove che dimostrassero che si trattava di espiazione di pena e non di custodia cautelare. I documenti prodotti indicavano solo brevi sospensioni della misura, non sufficienti a integrare il presupposto per una necessaria rivalutazione. La Corte ha quindi concluso che la doglianza era aspecifica e, di conseguenza, infondata.

Conclusioni: Le Implicazioni Pratiche della Sentenza

Questa pronuncia offre un’importante lezione pratica: per contestare efficacemente la legittimità del ripristino di una misura di sorveglianza speciale dopo la detenzione, non è sufficiente invocare genericamente il principio affermato dalle Sezioni Unite. È onere della difesa dimostrare in modo puntuale e documentato che il proprio assistito ha scontato un periodo di detenzione per espiazione definitiva di pena. In assenza di una prova chiara e specifica, il motivo di ricorso rischia di essere rigettato per genericità, con la conseguente conferma della misura di prevenzione.

L’identificazione di un soggetto da parte di un agente di polizia a distanza è una prova sufficiente?
Sì, può essere considerata sufficiente se l’agente conosceva già il soggetto e se la sua testimonianza è corroborata da altri elementi, come la reazione del sospettato alla fuga e al richiamo per nome, come avvenuto nel caso di specie.

Un periodo di detenzione comporta sempre la necessità di rivalutare la pericolosità sociale ai fini della sorveglianza speciale?
No. La Corte di Cassazione chiarisce che è necessario distinguere: la rivalutazione è obbligatoria dopo un periodo di detenzione scontato per espiazione di una pena definitiva. Non lo è, invece, se la detenzione è avvenuta a titolo di custodia cautelare, poiché questa misura presuppone di per sé la persistenza della pericolosità.

Cosa deve fare la difesa per ottenere la rivalutazione della pericolosità sociale del proprio assistito?
La difesa ha l’onere di allegare argomentazioni specifiche e prove documentali. Deve dimostrare in modo chiaro e inequivocabile che i periodi di detenzione subiti dall’assistito erano dovuti all’espiazione di una pena e non a misure cautelari. Una richiesta generica, non supportata da elementi concreti, viene considerata infondata.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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