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Sorveglianza speciale: quando l’incontro è abituale?

La Cassazione, con la sentenza n. 25927/2024, annulla una condanna per violazione della sorveglianza speciale. Si chiarisce che per integrare il reato di ‘associarsi abitualmente’ a pregiudicati non basta un solo incontro accertato, ma servono contatti plurimi e stabili che dimostrino una frequentazione assidua. La mera presenza nello stesso comune non è sufficiente.

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Pubblicato il 1 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Sorveglianza Speciale: Due Incontri Bastano per la Condanna? La Cassazione Fa Chiarezza

La sorveglianza speciale è una delle misure di prevenzione più incisive del nostro ordinamento, limitando la libertà personale di soggetti ritenuti socialmente pericolosi. Tra le prescrizioni più comuni vi è il divieto di frequentare persone con precedenti penali. Ma cosa significa esattamente ‘associarsi abitualmente’? Un solo incontro è sufficiente a far scattare il reato? A questa domanda cruciale ha risposto la Corte di Cassazione con la recente sentenza n. 25927 del 2024, tracciando una linea netta tra frequentazione occasionale e condotta penalmente rilevante.

I Fatti del Caso: Due Episodi Sotto la Lente

Il caso riguarda un individuo sottoposto alla misura della sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno nel comune di residenza, accusato di due distinte violazioni:

1. Violazione dell’obbligo di soggiorno (Capo A): Essersi allontanato dal proprio comune per recarsi in un paese limitrofo.
2. Violazione del divieto di associazione (Capo B): Aver frequentato abitualmente il cognato, anch’egli con precedenti penali.

La presunta frequentazione abituale si basava su due episodi. Nel primo, i due cognati erano stati sorpresi insieme in atteggiamenti che suggerivano la pianificazione di attività illecite, trovati in possesso di attrezzi da scasso. Nel secondo episodio, avvenuto circa due mesi dopo, l’imputato era stato visto in un bar nel comune di Valverde; lo stesso giorno, nello stesso comune, il cognato era stato fermato a bordo di un’auto. Tuttavia, in questa seconda occasione, i due non erano stati visti insieme.

Sulla base di questi elementi, sia il Tribunale che la Corte d’Appello avevano condannato l’uomo per entrambe le violazioni.

La Decisione della Corte di Cassazione

Investita del ricorso, la Suprema Corte ha adottato una decisione divisa. Ha confermato la condanna per la violazione dell’obbligo di soggiorno (Capo A), ritenendo provato l’allontanamento dal comune di residenza sulla base delle relazioni di servizio della polizia giudiziaria.

La svolta è arrivata sul secondo punto. La Corte ha annullato senza rinvio la condanna per la violazione del divieto di associazione (Capo B), stabilendo che ‘il fatto non sussiste’. La pena è stata quindi rideterminata, escludendo l’aumento previsto per questo specifico reato.

Le Motivazioni: Il Concetto di ‘Abitualità’ nella Sorveglianza Speciale

Il cuore della sentenza risiede nell’interpretazione del requisito dell’ ‘abitualità’. La Corte ha chiarito che il reato di associazione con pregiudicati, previsto per chi è sottoposto a sorveglianza speciale, non punisce un incontro singolo o sporadico, ma una condotta caratterizzata da serialità e stabilità.

Secondo gli Ermellini, per configurare il reato sono necessari ‘plurimi e stabili contatti e frequentazioni’. Nel caso di specie, i giudici hanno osservato che:

– Il primo episodio, pur essendo grave e indicativo di una complicità tra i due, rappresentava un unico contatto accertato.
– Il secondo episodio non provava un incontro effettivo. La sola circostanza che entrambi si trovassero nello stesso comune lo stesso giorno non era sufficiente a dimostrare che si fossero visti, e men che meno che avessero una frequentazione stabile.

In assenza di prove su una serie di contatti ripetuti nel tempo, la Corte ha concluso che mancava l’elemento costitutivo del reato: l’abitualità. Non è possibile basare una condanna su una mera deduzione logica o su una presunzione, ma è necessaria la prova rigorosa di una consuetudine di rapporti.

Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche della Sentenza

Questa pronuncia rafforza un importante principio di garanzia nel diritto penale. Per i soggetti sottoposti a sorveglianza speciale, la sentenza stabilisce che:

1. La prova dell’abitualità deve essere rigorosa: Non bastano congetture o singoli episodi. L’accusa deve dimostrare una frequentazione assidua e continua nel tempo.
2. La coincidenza non è una prova: La mera presenza di due persone nello stesso luogo e nello stesso momento non è, da sola, sufficiente a provare un incontro illecito.
3. Tutela contro condanne ingiuste: Questo orientamento protegge gli individui da condanne basate su prove deboli o su circostanze fortuite, assicurando che le severe restrizioni della sorveglianza speciale siano applicate solo quando le violazioni sono pienamente e chiaramente dimostrate.

Per integrare il reato di frequentazione abituale con pregiudicati, è sufficiente un solo incontro provato?
No. Secondo la Corte di Cassazione, un singolo episodio, anche se indicativo di una certa complicità, non è sufficiente. La legge richiede la prova di ‘plurimi e stabili contatti’ che dimostrino una serialità e un’abitudine nel comportamento, non una frequentazione occasionale.

Se una persona sotto sorveglianza speciale e un pregiudicato vengono trovati nello stesso paese lo stesso giorno, ma non insieme, si configura il reato?
No. La mera presenza contemporanea nello stesso comune non basta a provare l’incontro e, ancora meno, una frequentazione abituale. La prova deve dimostrare un contatto effettivo e, soprattutto, ripetuto nel tempo.

Come viene valutata la prova in un processo con rito abbreviato?
Nel rito abbreviato, il giudice decide sulla base degli atti raccolti durante le indagini preliminari. Pertanto, una comunicazione di notizia di reato redatta dalla polizia giudiziaria è un atto utilizzabile per provare i fatti, anche senza la testimonianza in aula dell’agente che l’ha redatta.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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