Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 4023 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 6 Num. 4023 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 19/12/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da
NOME COGNOME NOME, nato in Ecuador l’DATA_NASCITA avverso il decreto del 15/6/2023 emesso dalla Corte di appello di Genova visti gli atti, il decreto impugnato e il ricorso; udita la relazione del consigliere NOME COGNOME; lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona della Sostituta Procuratrice generale NOME COGNOME, che ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
La Corte di appello di Genova confermava la sottoposizione alla misura di prevenzione della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza, per la durata di un anno e sei mesi, disposta nei confronti del ricorrente in quanto ritenuto soggetto pericoloso ai sensi dell’art.1, lett. b) e c) idel d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159.
In particoiare, la pericolosità veniva desunta dai plurimi precedenti per reati concernenti il traffico di stupefacenti, in alcuni casi anche di cospicui quantitativi
nonché dall’abituale frequentazione con soggetti gravati da precedenti per la medesima tipologia di reati.
Avverso tale sentenza, il ricorrente ha formulato un unico motivo di ricorso, deducendo che la Corte di appello, nel riconoscere la sussistenza dei presupposti per l’applicazione della misura, sarebbe incorsa in violazione di legge.
Nello specifico, si contesta che il prevenuto possa qualificarsi quale soggetto che abitualmente viva, anche in parte, con i proventi di attività delittuosa (reati in materia di stupefacenti), avendo prodotto documentazione idonea a dimostrare l’esistenza di lecite fonti di reddito. A tal fine, peraltro, dovrebbero considerars anche le attività lavorative svolte dal ricorrente “in nero”, quale operaio edile alle dipendenze di connazionali, posto che, pur in difetto di regolare assunzione, il provento di tale occupazione non può ricondursi ad attività delittuosa.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile.
Occorre premettere che il ricorrente, pur non avendo compiutamente qualificato il motivo di ricorso, mediante il richiamo ad una delle diverse ipotesi disciplinate dall’art. 606 cod. proc. pen., ha chiaramente dedotto il vizio di motivazione del provvedimento impugnato, lamentando una non corretta valutazione, nel merito, dei presupposti legittimanti l’adozione della misura.
Per consolidata giurisprudenza, nel procedimento di prevenzione il ricorso per cassazione è ammesso soltanto per violazione di legge t e ne consegue che è esclusa dal novero dei vizi deducibili in sede di legittimità l’ipotesi dell’illogicità manife di cui all’art. 606, lett. e), cod. proc. pen., potendosi esclusivamente denunciare con il ricorso il caso di motivazione inesistente o meramente apparente (Sez. U, n.33451 del 29/05/2014, Repaci, Rv. 260246; sulla compatibilità costituzionale di tale disciplina si veda anche Sez. 2, n. 2566 del 19/12/2014, COGNOME, Rv. 261954, che ha dichiarato manifestamente infondata la relativa questione).
Tale principio, enunciato dalle Sezioni Unite con rifermento alla disciplina previgente rispetto a quella contenuta nel d.lgs. 16 settembre 2011, n.159, è valido anche nei procedimenti nei quali sono operanti le disposizioni introdotte dalla novella, in quanto anche l’art. 10, comma 3, d.lgs. n.169 del 2011 prevede espressamente che il ricorso in cassazione avverso il decreto della Corte di appello possa essere presentato solo per violazione di legge (così, da ultimo, Sez. 6, n. 21525 del 18/06/2020, COGNOME, rv.279284; Sez.2, n.20968 del 6/07/2020, Noviello,
Rv. NUMERO_DOCUMENTO).
Quanto detto comporta che nel giudizio di legittimità non possono essere dedotti meri vizi della motivazione, afferenti alla illogicità e contraddittorietà del valutazione degli elementi dimostrativi sottoposti ai giudici di merito, potendo essere rilevanti solo quei vizi che concretizzino una motivazione del tutto assente o apparente, intesa quest’ultima come motivazione priva dei requisiti minimi di coerenza e completezza, al punto da risultare inidonea a rendere comprensibile l’iter logico seguito dal giudice di merito, ovvero configurabile qualora le linee argomentative del provvedimento siano talmente scoordinate da rendere oscure le ragioni che hanno giustificato il provvedimento (così, tra le tante, Sez. U, n. 33451 del 29/05/2014, Repaci, Rv. 260246).
Nel caso di specie, la Corte di appello ha ampiamente indicato gli elementi sulla base di quali è stata desunta l’appartenenza del prevenuto ad una delle categorie previste dall’art. 1, d. Igs. 6 settembre 2011, n. 159, sicchè deve con certezza escludersi che la motivazione possa essere ritenuta assente, con conseguente inammissibilità delle censure volte esclusivamente a porre in discussione la sua adeguatezza e logicità.
Alla luce di tali considerazioni, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M..
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 19 dicembre 2023
Il Consigliere estensore
Il Presidente