Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 20891 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 20891 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 13/05/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da
COGNOME nato a Parete (CE) il 20/01/1951
avverso il decreto del 18/02/2025 della Corte di appello di Napoli letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; generale, NOME COGNOME che ha chiesto il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con il provvedimento in epigrafe, la Corte di appello di Napoli confermava il decreto emesso il 18 settembre 2024 dal Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, con cui era stata respinta l’istanza di revoca della misura di prevenzione della sorveglianza speciale di Pubblica Sicurezza con obbligo di soggiorno nel Comune di residenza applicata a Cipriano Chianese con provvedimento del 5 aprile 2013
confermato con decreto del 17 luglio 2023, emesso ai sensi dell’art. 14, comma 2ter , d.lgs. 9 settembre 2011 n. 159.
NOME COGNOME per il tramite del difensore di fiducia, ha proposto ricorso, deducendo violazione di legge e vizio di motivazione per omissione per avere la Corte di appello ripreso acriticamente le argomentazioni spese dal Tribunale, senza un confronto ragionato con le doglianze difensive.
Si è, nello specifico, evidenziato come il Chianese, da circa due anni rispetto al precedente decreto, avesse cambiato stile di vita, non dando luogo a rilievi di alcun genere da parte della p.g. preposta ai controlli, conducendo una vita onesta e dedicandosi ad attività lavorativa. Anche la Corte di assise di appello -nel decidere in ordine alla misura di sicurezza – aveva escluso la pericolosità sociale del ricorrente.
La difesa del Chianese ha fatto pervenire una memoria di replica alle conclusioni del Procuratore generale, insistendo per l’accoglimento dei motivi di ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile, perché declinato per motivi non consentiti.
Va in limine evidenziato che nel procedimento di prevenzione, il ricorso per cassazione è ammesso soltanto per violazione di legge, secondo il disposto dell’art. 10, comma 3, d.lgs. 9 settembre 2011, n. 159. (e del precedente art. 4 legge 27 dicembre 1956, n. 1423, richiamato dall’art. 3ter , comma due, legge 31 maggio 1965, n. 575).
Nella nozione di violazione di legge va ricompresa la motivazione inesistente o meramente apparente del provvedimento, che ricorre quando il decreto omette del tutto di confrontarsi con un elemento potenzialmente decisivo nel senso che, singolarmente considerato, sarebbe tale da poter determinare un esito opposto del giudizio ( ex multis , Sez. 6, n. 21525 del 18/06/2020, Mulé, Rv. 279284). Ed infatti, la motivazione inesistente e/o apparente si traduce nella violazione dell’obbligo di provvedere con decreto motivato imposto al giudice d’appello dal nono comma del predetto art. 4 legge n. 1423 del 56 (ora art. 10, comma 2, d.lgs. cit.).
Ne consegue, pertanto, la esclusione dal novero dei vizi deducibili in sede di legittimità della ipotesi di illogicità manifesta di cui all’art. 606, lett. e), cod. proc. pen. (Sez. U, n. 33451 del 29/05/2014, Repaci, Rv. 260246, che, in motivazione,
ha ribadito che non può essere proposta come vizio di motivazione mancante o apparente la deduzione di sottovalutazione di argomenti difensivi che, in realtà, siano stati presi in considerazione dal giudice o comunque risultino assorbiti dalle argomentazioni poste a fondamento del provvedimento impugnato; Sez. 1, n. 6636 del 07/01/2016, COGNOME, Rv. 266365; Sez. 6, n. 50946 del 18/09/2014, COGNOME, Rv. 261590).
Così delimitato il controllo affidato a questa Corte, va rilevato che i Giudici del merito si sono mossi nel rispetto delle coordinate ermeneutiche indicate con riferimento a ll’art. 14, comma 2 -ter , d.lgs. 9 settembre 2011 n. 159.
Nell’impugnato provvedimento è stato chiarito, in modo lineare e congruo, sulla scorta di una valutazione ineccepibile ed inoppugnabile, come il decorso del tempo e lo svolgimento di attività lavorativa fossero elementi recessivi a fronte di indici sintomatici di elevata pericolosità sociale, già dettagliatamente esposti dalla Corte di appello nel provvedimento del 17 luglio 2023. Ed infatti, i Giudici di appello, nella rivalutazione della pericolosità sociale, avevano stigmatizzato l’elevato grado di affectio criminalis in capo a Chianese, il quale aveva riportato nel 2021 sentenza di condanna definitiva per il reato di associazione di stampo mafioso all’interno della quale aveva rivestito il ruolo di organizzatore, dando prova di essere particolarmente radicato sul territorio e attivo nel settore dello smaltimento illecito dei rifiuti; il giudizio di pericolosità era inoltre corroborato dall’assenza di un percorso di riabilitazione indicativo di effettiva dissociazione dalle pregresse scelte criminali di vita.
3.1. Ebbene, il Tribunale, nel valutare la istanza di revoca, ha convincentemente e congruamente esposto il motivo per il quale le argomentazioni spese in sede di riesame della pericolosità fossero ancora attuali e, dunque, non superabili, vieppiù in assenza di elementi fattuali -nemmeno allegati in modo specifico dal difensore – evocativi di una seria e radicale rescissione dai contesti criminali.
Nell’impugnato provvediment o, inoltre, si è evidenziato come il differente giudizio – espresso in sede di misure di sicurezza e richiamato dal difensore a sostegno della prospettazione difensiva -non potesse spiegare incidenza sull’attuale giudizio di pericolosità, essendo le due misure a confronto ontologicamente differenti e rispondenti a differenti finalità.
Al cospetto di tale trama motivazionale, il ricorrente non ha evidenziato né si ravvisano vizi di motivazione, così radicali da tradursi in una motivazione apparente e del tutto carente.
Alla inammissibilità del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost., sent. n 186 del 13 giugno 2000).
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso il 13/05/2025