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Sorveglianza speciale: quando il ricorso è inammissibile

Un soggetto sottoposto a sorveglianza speciale chiedeva la revoca della misura, sostenendo di aver cambiato vita. La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso, confermando la decisione dei giudici di merito. Secondo la Corte, il ricorso in materia di prevenzione è limitato alla violazione di legge, e la motivazione del provvedimento impugnato non era né assente né meramente apparente, avendo correttamente bilanciato gli elementi positivi con la persistente e grave pericolosità sociale del soggetto, derivante da una condanna per associazione mafiosa.

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Pubblicato il 2 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Sorveglianza speciale: quando il ricorso in Cassazione è inammissibile

La sorveglianza speciale di Pubblica Sicurezza è una delle più incisive misure di prevenzione previste dal nostro ordinamento, destinata a soggetti ritenuti socialmente pericolosi. Ma quali sono i limiti per impugnare un provvedimento che nega la sua revoca? Una recente sentenza della Corte di Cassazione fa luce sui motivi di ricorso ammissibili, ribadendo un principio fondamentale: l’appello alla Suprema Corte in questa materia non può basarsi su una mera critica alla valutazione del giudice, ma deve fondarsi su una chiara violazione di legge.

I Fatti di Causa

Il caso esaminato riguarda un individuo sottoposto da anni a sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno nel comune di residenza. L’uomo aveva presentato un’istanza per la revoca della misura, sostenendo di aver radicalmente cambiato stile di vita. La sua richiesta era stata respinta prima dal Tribunale e successivamente dalla Corte di Appello di Napoli. I giudici di merito avevano infatti ritenuto che, nonostante il tempo trascorso e lo svolgimento di un’attività lavorativa, la sua pericolosità sociale permanesse.
Contro la decisione della Corte d’Appello, l’interessato ha proposto ricorso per cassazione, lamentando un vizio di motivazione e una violazione di legge.

I Motivi del Ricorso e i Limiti della Sorveglianza Speciale

La difesa del ricorrente si basava principalmente su due argomenti:
1. Cambiamento dello stile di vita: Si sosteneva che da circa due anni il soggetto conduceva una vita onesta, dedicandosi al lavoro e non dando adito a rilievi da parte delle forze dell’ordine.
2. Omessa motivazione: La Corte d’Appello, secondo la difesa, si sarebbe limitata a riprendere acriticamente le argomentazioni del Tribunale, senza un reale confronto con le doglianze difensive. Inoltre, si richiamava una decisione della Corte di Assise di Appello che, in un diverso contesto (quello delle misure di sicurezza), aveva escluso la pericolosità sociale del soggetto.

L’obiettivo era dimostrare che la valutazione sulla persistenza della pericolosità, presupposto della sorveglianza speciale, fosse errata e non adeguatamente motivata.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile. La decisione si fonda su un punto cardine del procedimento di prevenzione: il ricorso per cassazione è consentito soltanto per violazione di legge. Non è possibile, quindi, contestare l’apprezzamento dei fatti o la logicità della motivazione, a meno che questa non sia talmente carente da risultare “inesistente” o “meramente apparente”.

Le Motivazioni

I giudici hanno spiegato in modo dettagliato perché la motivazione della Corte d’Appello non potesse considerarsi apparente. I giudici di merito avevano operato un bilanciamento tra gli elementi portati dalla difesa e gli indici di pericolosità. In particolare, il decorso del tempo e l’attività lavorativa sono stati ritenuti “recessivi” rispetto a elementi di segno contrario, ben più gravi:
* Una condanna definitiva per associazione di stampo mafioso, in cui il soggetto aveva rivestito il ruolo di organizzatore.
* Un profondo radicamento nel territorio e nel settore dello smaltimento illecito di rifiuti.
* L’assenza di un percorso di riabilitazione che indicasse una reale ed effettiva dissociazione dalle precedenti scelte criminali.

La Corte ha ribadito che l’elevato grado di affectio criminalis dimostrato in passato richiedeva prove ben più consistenti di un semplice cambiamento di abitudini per poter considerare superata la pericolosità sociale. Inoltre, è stato chiarito che la valutazione compiuta in sede di misure di sicurezza non ha alcuna incidenza automatica sul giudizio di prevenzione, poiché le due misure sono “ontologicamente differenti” e perseguono finalità diverse.

Le Conclusioni

La sentenza consolida un orientamento rigoroso in materia di misure di prevenzione. Per ottenere la revoca della sorveglianza speciale, soprattutto in contesti di criminalità organizzata, non basta dimostrare un periodo di buona condotta. È necessario fornire elementi concreti che attestino una rescissione seria e radicale dai contesti criminali di appartenenza. La Corte di Cassazione, dal canto suo, conferma di poter sindacare solo la violazione di norme di legge o una motivazione totalmente assente, lasciando al giudice di merito l’ampia discrezionalità nella valutazione della pericolosità sociale della persona.

È possibile ricorrere in Cassazione contro un provvedimento che nega la revoca della sorveglianza speciale per un vizio di motivazione?
Di regola no. Il ricorso è ammesso solo per violazione di legge. Un vizio di motivazione è rilevante solo se è talmente grave da rendere la motivazione inesistente o meramente apparente, il che si traduce in una violazione dell’obbligo di motivare i provvedimenti.

Un cambiamento nello stile di vita e lo svolgimento di un’attività lavorativa sono sufficienti per ottenere la revoca della sorveglianza speciale?
Non necessariamente. Secondo la sentenza, questi elementi possono essere considerati ‘recessivi’ (cioè meno importanti) di fronte a indici di elevata e persistente pericolosità sociale, come una condanna definitiva per associazione di stampo mafioso e l’assenza di un percorso che dimostri una reale dissociazione dal passato criminale.

Una valutazione di non pericolosità sociale fatta in un altro procedimento (ad esempio, per una misura di sicurezza) ha effetto sul giudizio per la misura di prevenzione?
No. La sentenza chiarisce che il giudizio per le misure di sicurezza e quello per le misure di prevenzione sono ‘ontologicamente differenti’ e rispondono a finalità diverse, pertanto una decisione presa in un contesto non può incidere automaticamente sull’altro.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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