Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 147 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 147 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 26/11/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a ATRIPALDA( ITALIA) il 11/09/1989
avverso il decreto del 16/04/2024 della CORTE APPELLO di NAPOLI udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
lette/sentite le conclusioni del PG
RITENUTO IN FA170
NOME COGNOME tramite il proprio difensore, ha proposto ricorso per cassazione avverso il decreto della Corte di appello di Napoli in data 16 aprile 2024, che ha confermato il decreto del Tribunale di quella stessa città in data 19 dicembre 2023, che ha disposto l’applicazione nei suoi confronti della misura di prevenzione della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza, con obbligo di soggiorno nel comune di residenza, per la durata di anni due, con imposizione di cauzione, nonché contro l’ordinanza della stessa Corte in data 9 luglio 2021, che ha rigettato l’istanza formulata nell’interesse del proposto, intesa a farg ottenere l’autorizzazione a rientrare presso la sua abitazione alle ore 24:00, in alcuni giorn della settimana, onde potere svolgere attività lavorativa presso un esercizio commerciale di pizzeria, ubicato in Benevento.
L’impugnativa consta di quattro motivi, quivi enunciati nei limiti richiesti per motivazione, secondo quanto stabilito dall’art. 173 disp. att. cod. proc. pen..
Il primo motivo contesta, sotto il profilo della violazione «degli artt. 4, 13, Cost. in relazione all’art. 2 Prot. 4 CEDe del vizio di motivazione «carente/illogica» ., l’operata valutazione di attualità della pericolosità sociale del ricorrente. Condizion soggettiva, invero, non più esistente nel momento di applicazione della misura di prevenzione personale, perché Testa aveva commesso reati fino al 2020; perché egli, da quella data, si era trasferito in Benevento ed aveva preso a lavorare stabilmente; perché gli esigui redditi da lavoro dipendente così percepiti non costituivano indice di possibil ricaduta in attività delittuose lucrogenetiche.
Il secondo motivo denuncia violazione dell’art. 5 d.lgs. n. 159 del 2011, in relazione all’incompetenza funzionale di un Sostituto del Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Avellino a formulare la richiesta di applicazione di misura di prevenzione personale, e vizio di motivazione da travisamento del contenuto del corrispondente motivo di gravame.
Il terzo motivo denuncia vizio di motivazione carente con riguardo all’imposizione al proposto di prescrizioni aggiuntive – quale quella di non allontanarsi dalla propria abitazione prima di averne dato avviso all’Autorità – rispetto a quelle connaturate alla misura della sorveglianza speciale.
Il quarto motivo denuncia la violazione dell’art. 31 d.lgs. n. 159 del 2011, per essere stata imposta d’ufficio al proposto una cauzione, e il vizio di omesso esame delle deduzioni al riguardo formulate con il corrispondente motivo di gravame.
Con requisitoria in data 8 novembre 2024, il Procuratore Generale presso questa Suprema Corte, in persona del Sostituto, Dottoressa NOME COGNOME ha concluso per la dichiarazione di inammissibilità del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile.
Ragioni di ordine logico impongono il prioritario esame del secondo motivo di ricorso, che eccepisce la nullità del decreto di applicazione a NOME COGNOME della misura di prevenzione personale della sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno e del decreto che l’ha confermato, per essere stata la relativa proposta avanzata non dal Procuratore della Repubblica di Avellino ma da un suo Sostituto.
Il motivo è manifestamente infondato.
Incontestata la legittimità della proposta di applicazione al ricorrente della misura di prevenzione personale della sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno da parte del Procuratore della Repubblica di Avellino, la censura che sostiene il motivo – ossia, che sarebbe stato compito del Procuratore della Repubblica e non di un suo Sostituto sottoscriverla -, è articolato senza tener conto del principio secondo cui l’ufficio del pubblica accusa deve essere considerato impersonale, sicché tutti i componenti, e ciascuno, sono legittimati a svolgere attività nel procedimento, con la conseguenza che l’eventuale ripartizione di compiti all’interno dell’ufficio o nell’ambito delle deleghe rilasciate e direttive impartite dal titolare rimangono fatti interni privi di rilievo all’esterno (Sez 8957 del 28/05/1993, Rv. 195192).
Il primo motivo, anche sotto l’egida formale del vizio di violazione di legge, muove, in realtà, sostanzialmente ed unicamente, censure all’argomentazione rassegnata dalla Corte territoriale per confermare il giudizio di attualità della pericolosità sociale proposto: argomentazione che non esibisce alcun profilo di apparenza o inesistenza, avendo il giudice censurato dato ragione in maniera completa e congrua di come, all’epoca di applicazione della misura di prevenzione – ossia il 29 novembre 2023 – il proposto non si fosse affatto affrancato dal sistematico ed abituale esercizio di attività delittuose, aven egli commesso, almeno fino all’anno 2020, delitti contro il patrimonio, realizzati con modalità organizzate e tramite condotte per lo più fraudolente, ma, talvolta, anche violente. Delitti, questi, dunque, certamente indicativi di una pericolosità socia perdurante nel tempo, anche perché frutto di una dimestichezza con il crimine sempre più
A
affinata e di una refrattarietà al rispetto delle regole (annoverando il proposto anche un recente precedente per evasione) e tale da non potersi dire superata per effetto del semplice trasferimento del proposto in altra città ovvero dello svolgimento di attività lavorativa. Ne viene che il motivo in disamina è inammissibile perché affidato a censure non consentite, posto che nel procedimento di prevenzione il ricorso per cassazione è ammesso soltanto per violazione di legge, secondo il disposto dell’art. 4 legge 27 dicembre 1956, n. 1423, richiamato dall’art. 3 -ter, comma, legge 31 maggio 1965, n. 575, con la conseguenza che, in tema di sindacato sulla motivazione, è esclusa dal novero dei vizi deducibili in sede di legittimità l’ipotesi dell’illogicità manifesta di cui all’art. 606, cod. proc. pen., potendosi esclusivamente denunciare con il ricorso, poiché qualificabile come violazione dell’obbligo di provvedere con decreto motivato imposto al giudice d’appello dal nono comma del predetto art. 4 legge n.1423 del 56, il caso di motivazione inesistente o meramente apparente, essendo, dunque, inibita la deduzione, sotto la veste formale del vizio di motivazione mancante o apparente, di sottovalutazione di argomenti difensivi che, in realtà, siano stati presi in considerazione dal giudice o comunque risultino assorbiti dalle argomentazioni poste a fondamento del provvedimento impugnato (Sez. U, n. 33451 del 29/05/2014, Repaci, Rv. 260246).
3. Il terzo motivo deduce un vizio non consentito e, comunque, generico.
Invero, il diniego di autorizzazione del proposto a protrarre la sua attività lavorativ presso la pizzeria di Benevento, all’insegna ‘RAGIONE_SOCIALE‘, non esibisce alcun profilo di illegittimità, neppure sul versante della motivazione apparente, avendolo, la Corte territoriale, giustificato sulla base dell’ inopportunità per il richiedente – peraltro, già t di altra attività lavorativa -, aduso a commettere reati, di trattenersi fino a tarda ser un luogo di promiscua frequentazione, con possibilità, dunque, di incontro, con soggetti pregiudicati, il primo dei quali individuato nello stesso titolare della pizzeria, e con occasi di probabile manifestazione della sua pericolosità.
4. Il quarto motivo è manifestamente infondato.
Dal tenore testuale della dispone di cui all’art. 31, comma 1, d.lgs. n. 159 del 2011, secondo la quale «Il tribunale, con l’applicazione della misura di prevenzione, dispone che la persona sottoposta a tale misura versi presso la cassa delle ammende una somma, a titolo di cauzione, di entità che, tenuto conto anche delle sue condizioni economiche e dei provvedimenti adottati a norma dell’articolo 22, costituisca un’efficace remora alla violazione delle prescrizioni imposte» emerge che l’imposizione della cauzione al soggetto
sopposto a misura di prevenzione rientra tra i doveri dell’organo che la dispone senza necessità di alcuna sollecitazione di parte.
Gli ulteriori rilievi difensivi articolati con riferimento alla cauzione imposta al prop – sotto il profilo del vaglio della sua possibilità di versarla – sono generici e, comunqu deducono un vizio argomentativo che sfugge al sindacato di questa Corte, per quanto in precedenza già illustrato.
Il ricorso, pertanto, va dichiarato inammissibile. Segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso il 26/11/2024.