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Sorveglianza speciale: quando c’è abitualità

La Corte di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso di un soggetto condannato per la violazione della sorveglianza speciale. Il caso verteva sulla frequentazione di un pregiudicato, e la Corte ha stabilito che, per integrare il requisito dell’abitualità, è sufficiente che l’atto di accusa menzioni gli episodi precedenti, anche se indica come data di commissione del reato solo quella dell’ultimo incontro. Questa modalità non viola il diritto di difesa né il principio di correlazione tra accusa e sentenza.

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Pubblicato il 21 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Sorveglianza Speciale e Frequentazione di Pregiudicati: Quando Scatta il Reato?

La misura della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza impone restrizioni severe, tra cui il divieto di associarsi a persone con precedenti penali. Ma cosa succede se gli incontri sono più di uno? Quando una semplice frequentazione diventa un reato abituale? Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha fornito chiarimenti cruciali su come deve essere formulata l’accusa per non ledere il diritto di difesa dell’imputato.

Il caso analizzato riguarda un individuo condannato in primo e secondo grado per aver violato le prescrizioni della sorveglianza speciale dopo essere stato sorpreso in compagnia di un noto pregiudicato. La difesa ha tentato di smontare l’accusa sostenendo che il requisito dell’abitualità, necessario per configurare il reato, non fosse stato correttamente contestato.

I Fatti del Caso

Un uomo, già sottoposto alla misura della sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno, veniva condannato per il reato previsto dall’art. 75 del D.Lgs. 159/2011. La sua colpa era quella di essersi associato a un soggetto con precedenti penali in più occasioni. In particolare, erano stati documentati tre incontri, avvenuti il 21 dicembre 2017, il 28 dicembre 2017 e, infine, il 20 febbraio 2018.

L’imputato, tramite il suo difensore, presentava ricorso in Cassazione, lamentando che l’accusa facesse riferimento esplicito solo all’ultima data, quella del 20 febbraio 2018. Secondo la tesi difensiva, un singolo episodio non sarebbe stato sufficiente a integrare il requisito dell'”abitualità” richiesto dalla norma, e i due incontri precedenti non sarebbero stati oggetto di una concreta contestazione.

La Questione Giuridica: Abitualità e Diritto di Difesa

Il fulcro del ricorso si basava su un punto tecnico ma fondamentale del diritto processuale penale: il principio di correlazione tra accusa e sentenza. Questo principio garantisce che l’imputato possa difendersi efficacemente solo sui fatti che gli sono stati formalmente addebitati.

La difesa sosteneva che, indicando solo l’ultima data, l’accusa avesse di fatto contestato un unico episodio, insufficiente a dimostrare la serialità e la stabilità dei contatti che configurano il reato di violazione della sorveglianza speciale. Di conseguenza, la condanna basata anche sui due episodi precedenti sarebbe stata illegittima.

La Decisione della Corte di Cassazione sulla Sorveglianza Speciale

La Suprema Corte ha respinto il ricorso, dichiarandolo inammissibile e manifestamente infondato. I giudici hanno chiarito che, sebbene l’imputazione indicasse la data dell’ultimo incontro come momento di consumazione del reato, essa conteneva anche un riferimento esplicito alle denunce relative ai due episodi precedenti (21 e 28 dicembre 2017).

Questo riferimento, secondo la Corte, era più che sufficiente a mettere l’imputato nelle condizioni di comprendere l’intera portata dell’accusa e di esercitare pienamente il proprio diritto di difesa su tutti e tre gli episodi. La scelta di indicare l’ultima data come quella della commissione del reato trova una spiegazione logica: è solo con il terzo incontro che la condotta ha raggiunto la soglia dell’abitualità richiesta dalla giurisprudenza per integrare il reato.

Le Motivazioni

La Corte ha motivato la sua decisione ribadendo un principio consolidato: il reato di violazione della prescrizione di non associarsi a pregiudicati, imposta con la sorveglianza speciale, è un reato abituale. Ciò significa che non si perfeziona con un singolo atto, ma richiede una serie di comportamenti che dimostrino una continuità e stabilità nei contatti vietati.

Nel caso specifico, l’imputazione era completa e chiara. L’aver menzionato che l’imputato era “già denunciato in data 21.12.2017 e 28.12.2017” ha reso evidente che la contestazione riguardava una condotta seriale. L’ultimo episodio del 20 febbraio 2018 rappresentava semplicemente il momento in cui la serie di violazioni si era consolidata, integrando pienamente i requisiti del reato. Pertanto, la contestazione non ha pregiudicato in alcun modo il diritto di difesa, e non vi è stata alcuna violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza.

Conclusioni

Questa sentenza offre un’importante lezione pratica: nel contesto dei reati abituali come la violazione della sorveglianza speciale, l’accusa non deve necessariamente elencare ogni singola data come un capo d’imputazione separato. È sufficiente che dal complesso dell’atto di accusa emerga chiaramente la natura seriale della condotta contestata. La data di commissione del reato può legittimamente coincidere con quella dell’ultimo atto della serie, poiché è in quel momento che la fattispecie criminosa si perfeziona nella sua interezza. Per gli operatori del diritto, ciò conferma che la chiarezza e la completezza dell’imputazione sono essenziali, ma non è richiesto un formalismo esasperato che potrebbe andare contro la logica e la natura stessa del reato contestato.

Cosa si intende per ‘abitualità’ nel reato di violazione della sorveglianza speciale?
Per ‘abitualità’ si intende la ripetizione di una condotta nel tempo. Nel contesto di questo reato, non è sufficiente un singolo e occasionale incontro con un pregiudicato, ma sono necessari contatti plurimi e stabili che dimostrino una frequentazione seriale.

È valida un’accusa che indica solo la data dell’ultimo incontro se il reato è abituale?
Sì, è valida a condizione che nell’atto di accusa siano menzionati anche gli episodi precedenti che contribuiscono a formare l’abitualità. In questo modo, l’imputato è pienamente informato della natura seriale della condotta contestata e può difendersi adeguatamente.

Perché il ricorso è stato dichiarato inammissibile in questo caso?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché ritenuto manifestamente infondato. La Corte ha stabilito che l’accusa, menzionando esplicitamente le denunce per i due incontri precedenti, aveva correttamente contestato la condotta abituale, anche indicando come data di commissione del reato solo quella dell’ultimo episodio. Non vi è stata quindi alcuna violazione del diritto di difesa.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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