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Sorveglianza speciale: limiti al ricorso in Cassazione

La Cassazione conferma la sorveglianza speciale per un professionista legato a un’associazione mafiosa, chiarendo i limiti del ricorso. Il ricorso è inammissibile se critica la logica della motivazione anziché una violazione di legge, come la motivazione apparente. La pericolosità sociale attuale può sussistere anche se le condotte sono risalenti e l’attività professionale cessata.

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Pubblicato il 20 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Sorveglianza Speciale: Quando il Ricorso in Cassazione è Inammissibile?

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 20996/2024, torna a definire i confini del sindacato di legittimità in materia di misure di prevenzione, in particolare riguardo alla sorveglianza speciale. La decisione sottolinea come il ricorso possa essere proposto solo per violazione di legge, escludendo censure sulla logica della motivazione, a meno che questa non sia del tutto assente o meramente apparente. Analizziamo il caso che ha portato a questa importante precisazione.

I Fatti del Caso

La vicenda riguarda un professionista condannato per partecipazione a un’associazione di stampo mafioso, operante come cellula di una nota organizzazione criminale in Emilia. La Corte di Appello di Bologna, pur riducendone la durata a tre anni, aveva confermato l’applicazione della misura di prevenzione della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza con obbligo di soggiorno nel comune di residenza. Tale misura si fondava sulla ritenuta “pericolosità sociale qualificata” del soggetto, derivante proprio dai suoi legami con la consorteria criminale e dai reati commessi nel suo interesse.

I Motivi del Ricorso alla Suprema Corte

L’interessato ha proposto ricorso per cassazione, sostenendo che la motivazione della Corte territoriale fosse solo apparente. Secondo la difesa, i giudici di merito non avrebbero adeguatamente valutato l’attualità e la concretezza della sua pericolosità sociale. A sostegno della sua tesi, il ricorrente evidenziava diverse circostanze:

* Il lungo tempo trascorso dai fatti contestati.
* La sua posizione non “organica” all’interno del sodalizio.
* L’impossibilità di proseguire la sua attività di commercialista a favore della cosca, essendo stato cancellato dall’albo professionale.
* Le dichiarazioni collaborative rese nel corso del procedimento.

In sostanza, il ricorrente lamentava una valutazione incompleta e illogica da parte della Corte d’Appello, che non avrebbe tenuto conto di elementi decisivi per escludere la sua attuale pericolosità.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione sulla Sorveglianza Speciale

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, ritenendolo fondato su un motivo non consentito dalla legge. Gli Ermellini hanno ribadito un principio consolidato: nel procedimento di prevenzione, il ricorso in Cassazione è ammesso esclusivamente per “violazione di legge”.

Questo significa che non è possibile contestare l'”illogicità manifesta” della motivazione, vizio previsto dall’art. 606, comma 1, lett. e) c.p.p. per i procedimenti penali ordinari. L’unica anomalia della motivazione che può essere denunciata in sede di legittimità è quella che si traduce in una violazione di legge, ovvero il caso di motivazione “inesistente o meramente apparente”.

Nel caso di specie, la Corte ha stabilito che la motivazione della Corte d’Appello era tutt’altro che apparente. I giudici di secondo grado avevano spiegato in modo ampio e dettagliato le ragioni per cui ritenevano ancora attuale la pericolosità del soggetto. Era stato precisato che, sebbene non fosse un membro “organico”, egli era pienamente inserito nell’apparato criminale, con rapporti diretti con i vertici. Aveva dimostrato di saper utilizzare metodi intimidatori e di mettere a disposizione la sua specializzazione professionale per gestire gli interessi economici della cosca e occultare i flussi di denaro illecito. Secondo la Corte, queste capacità e conoscenze, unite ai contatti con altri gruppi criminali, erano ancora spendibili, indipendentemente dalla cancellazione dall’albo. Neppure le dichiarazioni collaborative sono state ritenute sufficienti a recidere il vincolo con l’ambiente criminale.

Di fronte a questa argomentazione, le censure del ricorrente, secondo la Cassazione, non denunciavano una reale violazione di legge, ma si limitavano ad attaccare la “tenuta logica” del ragionamento dei giudici, un tipo di critica non ammessa in questa sede.

Conclusioni

La sentenza in esame riafferma la natura del giudizio di legittimità in materia di misure di prevenzione. La valutazione sull’attualità della pericolosità sociale è un giudizio di fatto, ampiamente discrezionale, che spetta ai giudici di merito. La Corte di Cassazione non può sostituire la propria valutazione a quella della Corte d’Appello, ma solo verificare che la decisione sia supportata da una motivazione reale e non meramente di facciata. Per chi è sottoposto a sorveglianza speciale, ciò significa che il ricorso avrà successo solo se si riesce a dimostrare un’autentica violazione di norme di legge o un’assenza totale di giustificazione nel provvedimento, e non semplicemente proponendo una diversa lettura degli elementi fattuali.

Quando è possibile ricorrere in Cassazione contro un provvedimento di sorveglianza speciale?
Il ricorso per cassazione in materia di misure di prevenzione è ammesso soltanto per violazione di legge. Non è possibile contestare la logica o la coerenza della motivazione, a meno che questa non sia talmente carente da risultare inesistente o meramente apparente, configurando così una violazione dell’obbligo di motivare i provvedimenti.

La cessazione dell’attività professionale può far decadere la pericolosità sociale di un individuo legato alla mafia?
Secondo la sentenza, non necessariamente. La Corte ha ritenuto che la pericolosità sociale potesse rimanere attuale anche dopo la cancellazione dall’albo professionale, qualora le competenze, le conoscenze e la rete di contatti del soggetto fossero ancora utilizzabili nell’interesse dell’organizzazione criminale.

Cosa si intende per “motivazione apparente” in una sentenza di prevenzione?
Si ha una motivazione apparente quando il giudice utilizza formule generiche, frasi di stile o argomentazioni palesemente illogiche o contraddittorie che, pur esistendo formalmente, non forniscono una reale spiegazione delle ragioni della decisione. Equivale, nella sostanza, a una motivazione mancante e costituisce una violazione di legge.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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