Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 20996 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2 Num. 20996 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 30/04/2024
SENTENZA
Sul ricorso proposto da: COGNOME NOME, nato a Crotone il DATA_NASCITA, avverso il decreto del 07/12/2023 della Corte di appello di Bologna; visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso; udita la relazione della causa svolta dal consigliere NOME COGNOME; lette le conclusioni scritte del Pubblico ministero, nella persona del AVV_NOTAIO, che ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso;
RITENUTO IN FATTO
Con il provvedimento in epigrafe, la Corte di appello di Bologna, Sezione Misure di Prevenzione, parzialmente riformando il decreto del Tribunale di Bologna depositato il 24 maggio 2022, ha confermato l’applicazione al ricorrente della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza con obbligo di soggiorno nel territorio del Comune di residenza, riducendone la durata a tre anni, misura disposta in ragione della pericolosità sociale “qualificata” anche derivante dalla condanna del ricorrente per il reato di partecipazione ad associazione di stampo mafioso e per reati posti in essere nell’interesse della consorteria, costituita da una cellul emiliana della ‘ndrangheta.
Ricorre per cassazione NOME COGNOME, deducendo, con unico motivo, violazione di legge per avere la Corte adottato una motivazione apparente in ordine alla pericolosità sociale del ricorrente, affrontata senza specificità e senza indicare i requisiti di concretezza ed attualità, non tenendo in considerazione le decisive circostanze che le condotte erano molto risalenti nel tempo, il ricorrente non era soggetto organico, non avrebbe potuto più svolgere la sua attività di commercialista a disposizione della cosca in quanto cancellatosi dal relativo albo professionale ed aveva reso dichiarazioni collaborative.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile perché proposto per motivo non consentito.
1.Deve premettersi che secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, qui condivisa, nel procedimento di prevenzione il ricorso per cassazione è ammesso soltanto per violazione di legge, secondo il disposto dell’art. 4 legge 27 dicembre 1956 n. 1423, richiamato dall’art.3 ter, secondo comma, legge 31 maggio 1965 n. 575; ne consegue che, in tema di sindacato sulla motivazione, è esclusa dal novero dei vizi deducibili in sede di legittimità l’ipotesi dell’illogicità manifesta di cui 606, comma 1, lett.e) cod. proc. pen., potendosi esclusivamente denunciare con il ricorso, poiché qualificabile come violazione dell’obbligo di provvedere con decreto motivato imposto al giudice d’appello dal nono comma del predetto art. 4 legge 1423 del 56, il caso di motivazione inesistente o meramente apparente (Sez.0 n. 33451 del 2014, COGNOME; sez. 6, n. 50946 del 18/09/2014, COGNOME). Lo stesso prevede anche l’art. 10, comma 3, d.lgs. n.159 del 2011.
Ciò posto, la Corte di Appello ha ampiamente motivato, in modo tutt’altro che apparente, su tutti i motivi di ricorso, sicché non si rinviene alcuna violazione di legge.
E’ stato precisato nel provvedimento impugnato che il ricorrente, sebbene formalmente non organico, era soggetto pienamente inserito nell’apparato del sodalizio criminale di riferimento ed in rapporto diretto con i vertici di esso, aven dimostrato di utilizzare anche il metodo intimidatorio e la sua particolare specializzazione nella gestione degli interessi economici della cosca e nell’occultamento dei flussi di danaro di provenienza illecita, attività che la Cort visto il fascio di conoscenze dimostrato anche con esponenti di altri gruppi ‘ndranghetistici stanziati al Nord Italia, ha ritenuto esplicabile nell’attu indipendentemente dalla cancellazione dall’albo professionale, non reputando decisive a recidere il vincolo le dichiarazioni rese nel corso del procedimento.
A fronte di questi dati, le censure del ricorrente non veicolano nella sostanza alcuna violazione di legge, ma si limitano ad attaccare la tenuta logica della motivazione, il che non è consentito in questa sede.
Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila alla RAGIONE_SOCIALE delle Ammende, commisurata all’effettivo grado di colpa dello stesso ricorrente nella determinazione della causa di inammissibilità.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della RAGIONE_SOCIALE delle Ammende.
Così deliberato in Roma, udienza in camera di consiglio del 30.04.2024.