Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 18629 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 18629 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 02/04/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da
COGNOME NOMECOGNOME nato a Palermo il 3/9/1972
avverso il decreto del 25/10/2024 emesso dalla Corte di appello di Palermo visti gli atti, il decreto impugnato e il ricorso; udita la relazione del consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso.
RITENUTO IN FATTO
La Corte di appello di Palermo confermava il decreto con il quale il ricorrente era stato sottoposto alla misura di prevenzione della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza, con obbligo di soggiorno, per la durata di tre anni e sei mesi, nonché la confisca di plurimi beni.
Avverso tale ordinanza, la difesa ha formulato due motivi di ricorso.
2.1. Con il primo motivo, la difesa eccepisce che la Corte di appello avrebbe reso una motivazione apparente in ordine all’attualità della pericolosità del prevenuto, desumendo tale requisito esclusivamente dalla motivazione della sentenza di condanna per il reato di concorso esterno in associazione mafiosa. Invero, risulterebbe che il ricorrente aveva intrattenuto rapporti con l’associazione nel periodo intercorrente tra il 2009 e il 2015, allorquando la sua condizione mutava, passando da quella di imprenditore colluso a vittima di estorsione da parte del sodalizio.
A riprova della predetta delimitazione temporale, si evidenzia come la pena inflitta al ricorrente in quel procedimento sia stata parametrata ai limiti edittali previsti prima degli innalzamenti introdotti nel 2015.
A fronte di tale accertamento, la Corte di appello avrebbe genericamente ritenuto la perdurante vicinanza del ricorrente all’associazione mafiosa, pur in assenza di elementi concreti di supporto. Né poteva valere al riguardo il richiamo alla sottoposizione a misura cautelare disposta nel 2018, stante la diversità dei presupposti e la conseguente erronea valorizzazione del rischio di reiterazione del reato ai fini del giudizio sull’attualità della pericolosità sociale.
2.2. Con il secondo motivo, il ricorrente deduce l’omessa valutazione dei presupposti della confisca, sottolineando come i giudici di merito avrebbero sottoposto a confisca integrale il complesso aziendale riferibile al prevenuto, omettendo di valutare l’epoca di acquisto dei beni, la loro provenienza lecita e l’assoluta manca nza di correlazione temporale tra la costituzione delle diverse società riferibili all’imputato e i rapporti con il sodalizio.
In buona sostanza, la difesa lamenta che difetterebbero tutti i presupposti per ricondurre l’attività imprenditoriale del ricorre nte nell’ipotesi del concetto di ‘impresa mafiosa’ , posto che le società, i cui beni sono stati oggetto di confisca, non sono riconducibile ad un partecipe al sodalizio, né possono ritenersi costituite e gestite mediante il reimpiego di proventi illeciti.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è infondato.
Nel procedimento di prevenzione, il ricorso per cassazione è ammesso soltanto per violazione di legge, ne consegue che è esclusa dal novero dei vizi deducibili in sede di legittimità l’ipotesi dell’illogicità manifesta di cui all’art. 606, lett. e), cod. proc. pen., potendosi esclusivamente denunciare con il ricorso il caso di motivazione inesistente o meramente apparente (Sez. U, n.33451 del
29/05/2014, COGNOME, Rv. 260246; sulla compatibilità costituzionale di tale disciplina si veda anche Sez. 2, n. del 19/12/2014, COGNOME, Rv. 261954, che ha dichiarato manifestamente infondata la relativa questione).
Tale principio, enunciato dalle Sezioni Unite con rifermento alla disciplina previgente rispetto a quella contenuta nel d.lgs. 16 settembre 2011, n.159, è valido anche nei procedimenti nei quali sono operanti le disposizioni introdotte dalla novella, in quanto anche l’art. 10, comma 3, d.lgs. n.169 del 2011 prevede espressamente che il ricorso in cassazione avverso il decreto della corte di appello possa essere presentato solo per violazione di legge (così, da ultimo, Sez. 6, n. 21525 del 18/06/2020, Mulè, rv.279284; Sez.2, n.20968 del 6/07/2020, COGNOME, Rv. 279435).
Quanto detto comporta che nel giudizio di legittimità non possono essere dedotti meri vizi della motivazione, afferenti alla illogicità e contraddittorietà della valutazione degli elementi dimostrativi sottoposti ai giudici di merito, potendo essere rilevati solo quei vizi che concretizzino una motivazione del tutto assente o apparente, intesa quest’ultima come motivazione priva dei requisiti minimi di coerenza e completezza, al punto da risultare inidonea a rendere comprensibile l’iter logico seguito dal giudice di merito, ovvero configurabile qualora le linee argomentative del provvedimento siano talmente scoordinate da rendere oscure le ragioni che hanno giustificato il provvedimento (così, tra le tante, Sez. U, n. 33451 del 29/05/2014, Repaci, Rv. 260246).
Fatta tale premessa, è agevole rilevare come il primo motivo di ricorso, pur palesando la mera apparenza della motivazione, introduce un sindacato in ordine alla tenuta motivazionale del decreto impugnato, andando a contestare gli indici dai quali la Corte di appello ha desunto l’attualità della pericolosità sociale.
Invero, il provvedimento impugnato ricostruisce con dovizia di particolari i rapporti intercorsi tra il ricorrente e l’associazione mafiosa, sottolineandone la stabilità e l’incidenza sull’ampliamento del giro di affari di cui il prevenuto ha beneficiato avvantaggiandosi dell’appoggio ricevuto dal sodalizio.
Il decreto descrive ampiamente (pg.18-20) i rapporti e i benefici ottenuti dal ricorrente per effetto della sua vicinanza al sodalizio mafioso, illustrando anche il fatto che le condotte delittuose non si sono limitate al concorso esterno, bensì hanno riguardato il reimpiego dei proventi illeciti e l’intestazione fittizia dei beni, delineando un quadro di complessiva illegalità nell’esercizio dell’attività imprenditoriale.
Tali elementi sono stati valorizzati al fine di ritenere l’attualità della pericolosi tà sociale che, secondo l’impostazione recepita nel decreto impugnato,
non può essere valutata con esclusivo riferimento al periodo in cui si è manifestato il concorso esterno nell’associazione mafiosa (p.24).
Si tratta di una motivazione che non può certamente definirsi apparente, essendo stata fornita adeguata e puntuale risposta alle doglianze sollevate con l’appello.
Considerazioni analoghe valgono anche in ordine alla disposta confisca, dovendosi rilevare come la Corte di appello ha ritenuto che l’ attività imprenditoriale del ricorrente è sorta e si è sviluppata, fino al punto di attribuirgli la posizione di sostanziale monopolista nel settore dei giochi da intrattenimento (p.27-28) , grazie all’appoggio della consorteria mafiosa.
Una volta individuata la genesi illecita dell ‘attività imprenditoriale, anche in relazione al reimpiego dei rilevanti profitti conseguiti, risulta insussistente il vizio di violazione di legge denunciato dal ricorrente, essendo stata fornita adeguata motivazione del provvedimento di confisca, non sindacabile sotto il profilo della manifesta illogicità o contraddittorietà.
Sulla base di tali considerazioni, il ricorso deve essere rigettato, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
PQM
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 2 aprile 2025