Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 25946 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 25946 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 21/05/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da
NOMECOGNOME nato a Cosenza il 13/09/1975
avverso il decreto emesso in data 15/11/2024 dalla Corte di appello di Catanzaro;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto di dichiarare inammissibile il ricorso; lette le conclusioni dell’avvocato NOME COGNOME che ha insistito per l’accoglimento dei motivi di ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con il provvedimento impugnato la Corte di appello di Catanzaro ha confermato il decreto emesso in data 8 maggio 2023 dal Tribunale di Catanzaro, che ha disposto nei confronti di NOME COGNOME la misura di prevenzione della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza, con obbligo di soggiorno nel comune di residenza per la durata di due anni.
L’avvocato NOME COGNOME difensore di Fantasia, ha proposto ricorso avverso tale decreto e ne ha chiesto l’annullamento, deducendo quattro motivi e, segnatamente:
la violazione degli artt. 10, comma 1-bis e 27, comma 2, d. Igs. 6 settembre 2011 n. 159 e la lesione del contraddittorio per effetto di una rivalutazione in peius della pericolosità sociale del proposto.
La Corte di appello avrebbe, infatti, fatto riferimento, nel motivare il giudizio di pericolosità del proposto, anche a «recenti ordinanze cautelari che hanno superato il vaglio dei giudici delle impugnazioni». Queste ordinanze, tuttavia, non sarebbero state versate in atti.
La Corte di appello avrebbe, dunque, violato il principio del contraddittorio, in quanto avrebbe utilizzato atti ulteriori rispetto a quelli utilizzati in primo gra e non avrebbe consentito alcuna interlocuzione sulle prove sopravvenute.
la motivazione meramente apparente in ordine alla condizione economicopatrimoniale del ricorrente e all’appropriazione di profitti illeciti generati dal commissione di reati.
La Corte di appello avrebbe apoditticamente affermato che il proposto, non avendo mai svolto alcuna attività lavorativa, trarrebbe il provento per il proprio sostentamento da condotte illecite. Non sarebbero, tuttavia, state svolte adeguate indagini patrimoniali per accertare queste circostanze.
I giudici di appello, inoltre, in assenza di motivazione avrebbero superato e considerato insufficienti le autodichiarazioni del ricorrente in sede di ammissione al patrocinio a spese dello Stato.
la violazione di legge in ordine all’applicazione dell’obbligo di soggiorno nel comune di residenza, in quanto la Corte di appello non avrebbe tenuto in debita considerazione l’esiguo numero di reati commessi dal ricorrente anche fuori dal territorio del comune di residenza.
L’imposizione della misura dell’obbligo di soggiorno, dunque, violerebbe il principio di proporzionalità.
la motivazione meramente apparente in ordine alla condizione di indigenza del ricorrente, in quanto la Corte di appello non avrebbe considerato che attualmente il ricorrente è detenuto e versa effettivamente in condizioni di indigenza.
Con la requisitoria e le conclusioni scritte depositate in data 15 aprile 2025, il Procuratore generale, NOME COGNOME ha chiesto di dichiarare inammissibile il ricorso.
Con memoria depositata in data 15 maggio 2025 l’avvocato NOME COGNOME ha insistito per l’accoglimento dei motivi di ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, in quanto i motivi proposti sono diversi da quelli ·consentiti dalla legge e, comunque, manifestamente infondati.
2. Nel delibare i motivi di ricorso, occorre premettere che nel procedimento di prevenzione il ricorso per cassazione è ammesso soltanto per violazione di legge, secondo il disposto dell’art. 4 legge 27 dicembre 1956, n. 1423, richiamato dall’art. 3 ter, secondo comma, legge 31 maggio 1965, n. 575, e ribadito dall’art. 10, comma terzo, del d.lgs. 159 del 2011; ne consegue che, in tale ambito, è esclusa dal novero dei vizi deducibili in sede di legittimità l’ipotesi dell’illogi manifesta di cui all’art. 606, lett. e), cod. proc. pen., potendosi esclusivamente denunciare con il ricorso, poiché qualificabile come violazione dell’obbligo di provvedere con decreto motivato imposto al giudice d’appello dal nono comma del predetto art. 4 legge n. 1423 del 56, il caso della motivazione inesistente o meramente apparente (ex plurimis: Sez. U, n. 33451 del 29/05/2014, Repaci, Rv. 260246; Sez. 2, n. 20968 del 06/07/2020, COGNOME, Rv. 279435 – 01; Sez. 1, n. 6636 del 07/01/2016, COGNOME, Rv. 266365).
Il sindacato di legittimità sui provvedimenti in materia di prevenzione è, dunque, limitato alla violazione di legge e non si estende al controllo dell’iter giustificativo della decisione, a meno che questo sia del tutto assente (ex plurimis: Sez. 6, n. 35044 del 08/03/2007, Bruno, Rv. 237277), e non può essere dedotta come vizio di motivazione mancante o apparente la sottovalutazione di argomenti difensivi che, in realtà, siano stati presi in considerazione dal giudice o che, comunque, risultino assorbiti dalle argomentazioni poste a fondamento del provvedimento impugnato (Sez. U, n. 33451 del 29/05/2014, Repaci, Rv. 260246). Tale limitazione è, peraltro, stata ritenuta non irragionevole dalla Corte costituzionale, stante la peculiarità del procedimento di prevenzione rispetto a quello penale, sia sul terreno processuale che su quello sostanziale (sentenze n. 321 del 22/06/2004 e n. 106 del 15/04/2015 della Corte costituzionale).
3. Il difensore, con il primo motivo, ha dedotto l’inosservanza degli artt. 10, comma 1-bis e 27, comma 2, d. Igs. 6 settembre 2011 n. 159 e la lesione del contraddittorio per effetto di una rivalutazione in peius della pericolosità sociale del proposto sulla base di «recenti ordinanze cautelari che hanno superato il vaglio dei giudici delle impugnazioni», che, tuttavia, non sarebbero presenti in atti.
Il motivo è manifestamente infondato.
La Corte di appello non ha posto a fondamento del proprio apprezzamento “prove sopravvenute” e ignote alle parti, ma elementi di fatto a confutazione delle deduzioni difensive consistenti in risultanze del casellario e in provvedimenti cautelari emessi nei confronti del proposto, come tali ben noti alle parti e in ordine ai quali non può dunque ritenersi sussistente alcuna violazione del contraddittorio (come rilevato dalla Corte di appello a pag. 7 del decreto impugnato).
Con il secondo motivo il difensore ha eccepito la motivazione meramente apparente in ordine alla condizione economico-patrimoniale del ricorrente e all’appropriazione di profitti illeciti generati dalla commissione di reati.
Il motivo è manifestamente infondato, in quanto la Corte di appello ha ravvisato l’attualità della pericolosità sociale del proposto, ai sensi dell’art. comma 1, lett. b), del d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159, con motivazione effettiva e congrua.
I giudici di appello hanno, infatti, logicamente posto a fondamento del proprio apprezzamento la lunga teoria di precedenti penali riportata dal ricorrente per reati lucro-genetici (reati contro il patrimonio e in materia di stupefacenti) nell’ampio lasso temporale considerato (dal 1990 al 2023) e l’assenza di una sua documentata attività lavorativa lecita.
Con il terzo motivo il difensore ha eccepito la violazione di legge in ordine all’applicazione dell’obbligo di soggiorno nel comune di residenza, in quanto questa prescrizione violerebbe il principio di proporzionalità.
Il motivo è inammissibile, in quanto le censure proposte sull’obbligo di dimora si risolvono in un mero dissenso valutativo, inammissibile a fronte della motivazione, logica e congrua, contenuta nel provvedimento impugnato.
Con il quarto motivo il difensore ha dedotto la motivazione meramente apparente in ordine all’esclusione delle condizione di indigenza del ricorrente, che non avrebbe tenuto conto della documentazione prodotta a fondamento della istanza di ammissione al patrocinio a spese dello Stato al fine di escludere l’imposizione della cauzione.
Il motivo è manifestamente infondato, in quanto la Corte di appello non ha pretermesso le dichiarazioni rese dal proposto al fine di ottenere l’ammissione al beneficio del patrocinio a spese dello Stato, ma, con motivazione effettiva e
logica, le ha ritenute generiche e inidonee a confutare le risultanze probatorie atte a dimostrare come il proposto tragga dalla commissione di delitti motivati da fini
di lucro il proprio sostentamento.
Le censure dedotte sul punto sono, peraltro, inammissibili, in quanto si tki9
risolvo in una sollecitazione ad un rinnovato esame di merito delle risultanze
istruttorie, non consentito in sede di legittimità.
11. Alla stregua di tali rilievi, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
Il ricorrente deve, pertanto, essere condannato, ai sensi dell’art. 616, comma
1, cod. proc. pen., al pagamento delle spese del procedimento.
In virtù delle statuizioni della sentenza della Corte costituzionale del 13
giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso siano stato presentato senza «versare in colpa nella determinazione della
causa di inammissibilità», deve, altresì, disporsi che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di tremila euro in favore della cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 21/05/2025.