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Sorveglianza speciale e motivazione: la Cassazione

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso contro un’ordinanza di sorveglianza speciale di cinque anni. La Corte ha stabilito che la motivazione del provvedimento non è apparente quando si fonda sulla provata e permanente appartenenza del soggetto a un’associazione criminale, elemento che dimostra un’attuale pericolosità sociale, interrotta solo dalla detenzione. La durata della misura rientra nella discrezionalità del giudice, purché nei limiti di legge.

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Pubblicato il 11 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Sorveglianza Speciale: Quando la Motivazione Resiste al Vaglio della Cassazione

La Corte di Cassazione, con una recente sentenza, è tornata a pronunciarsi sui requisiti di validità della sorveglianza speciale, una delle più incisive misure di prevenzione previste dal nostro ordinamento. Il caso in esame offre spunti fondamentali per comprendere quando la motivazione di un provvedimento restrittivo può essere considerata solida e non meramente apparente, soprattutto in contesti di criminalità organizzata. Analizziamo insieme la decisione e le sue implicazioni.

I Fatti del Caso: Una Misura di Prevenzione Contestata

Un soggetto, già condannato e sottoposto a detenzione, si vedeva applicare dalla Corte d’Appello la misura della sorveglianza speciale di Pubblica Sicurezza per una durata di cinque anni, con obbligo di soggiorno nel comune di residenza. Contro tale decisione, proponeva ricorso per cassazione, lamentando due vizi principali: la violazione di legge e, soprattutto, l’apparenza della motivazione.

Secondo la difesa, il provvedimento impugnato si limitava a richiamare genericamente reati risalenti nel tempo, senza specificare gli elementi concreti che dimostrassero l’attualità della sua pericolosità sociale. Inoltre, si sottolineava come la durata della misura fosse identica a una precedente pena detentiva, suggerendo un automatismo ingiustificato piuttosto che una valutazione autonoma e attuale.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile. I giudici hanno ritenuto che la motivazione della Corte d’Appello fosse tutt’altro che apparente, in quanto fondata su elementi solidi e coerenti. Di conseguenza, il ricorrente è stato condannato al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria.

Le Motivazioni: La Sorveglianza Speciale e il Pericolo Attuale

Il cuore della sentenza risiede nella distinzione tra una motivazione assente o apparente e una motivazione che, sebbene contestata, è giuridicamente valida. La Cassazione ricorda che il ricorso in materia di prevenzione è consentito solo per violazione di legge, categoria che include la motivazione inesistente.

Una motivazione è ‘apparente’ solo quando è talmente scoordinata, generica o priva di efficacia dimostrativa da rendere incomprensibile l’iter logico seguito dal giudice. Nel caso specifico, la Corte d’Appello aveva basato la sua decisione su un fatto cruciale: l’accertata e permanente appartenenza del ricorrente a una pericolosa cosca di ‘ndrangheta. Questo elemento, secondo i giudici, non è un dato datato nel tempo, ma la prova di una condotta criminale continua e radicata.

La Corte ha sottolineato che le condotte del soggetto non erano ‘cessate’, ma semplicemente ‘interrotte’ dall’esecuzione di una misura custodiale. L’affiliazione a un’organizzazione mafiosa, per sua natura stabile e vincolante, è di per sé un indicatore di pericolosità sociale attuale, che non viene meno con il solo trascorrere del tempo in carcere.

La Discrezionalità sulla Durata della Misura

Anche la censura relativa alla durata della misura è stata giudicata manifestamente infondata. La legge (art. 8 del d.lgs. 159/2011) stabilisce che la sorveglianza speciale può avere una durata da uno a cinque anni. I giudici di merito, fissandola a cinque anni, hanno esercitato la loro discrezionalità all’interno dei limiti legali, basando la loro scelta sulla gravità dei fatti e sulla persistente pericolosità del soggetto. La coincidenza con la durata di una pena precedente non costituisce, di per sé, un vizio di legittimità.

Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche della Sentenza

Questa pronuncia ribadisce un principio fondamentale: la valutazione della pericolosità sociale ai fini dell’applicazione della sorveglianza speciale deve basarsi su elementi concreti e attuali. Tuttavia, l’appartenenza stabile a un’associazione di stampo mafioso costituisce un elemento di tale gravità da connotare la pericolosità come persistente, a meno che non emergano prove concrete di un recesso o di un cambiamento di vita. La detenzione, in questo quadro, viene vista come una semplice parentesi che interrompe la condotta criminale, ma non necessariamente la annulla. Per i giudici, la motivazione che si fonda su tali basi è pienamente legittima e non può essere liquidata come meramente apparente.

Quando una motivazione può essere considerata ‘apparente’ in un provvedimento di sorveglianza speciale?
Una motivazione è ritenuta apparente quando è del tutto priva dei requisiti minimi di coerenza e completezza, risultando inidonea a rendere comprensibile l’iter logico del giudice, oppure quando si basa su argomentazioni generiche o proposizioni prive di efficacia dimostrativa.

L’appartenenza a un’associazione criminale è sufficiente a giustificare l’attualità della pericolosità sociale?
Sì, secondo la sentenza, l’accertata e permanente appartenenza a una pericolosa associazione criminale, come una cosca di ‘ndrangheta, è un elemento fondante del giudizio di attualità della pericolosità sociale. Si ritiene che le condotte criminali non siano cessate, ma solo interrotte dal periodo di detenzione.

I giudici possono fissare la durata della sorveglianza speciale in modo identico a una precedente pena detentiva?
Sì, i giudici hanno discrezionalità nel determinare la durata della misura di prevenzione entro i limiti stabiliti dalla legge (da uno a cinque anni). Il fatto che la durata scelta coincida con quella di una pena precedente non costituisce di per sé una violazione di legge, purché la decisione sia autonomamente motivata sulla base della valutazione della pericolosità attuale.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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