Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 4562 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 4562 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 12/11/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da: NOME nato a CATANZARO( ITALIA) il 10/05/1982
avverso il decreto del 21/02/2024 della CORTE APPELLO di CATANZARO
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME lette/septite le conclusioni del PG QAAA- Ut-a- GAA 42tA) — u-A kr
udito illif-ensore
RITENUTO IN FATTO
La Corte d’Appello di Catanzaro, con decreto del 21 febbraio 2024, ha confermato il decreto del Tribunale della medesima città che ha applicato ad NOME COGNOME la misura di prevenzione della sorveglianza speciale di P.S. con obbligo di soggiorno nel comune di residenza per anni cinque.
NOME COGNOME affida il proprio ricorso a un unico motivo con cui lamenta la violazione di legge e l’apparenza di motivazione in quanto la pena applicata di anni 5 e mesi 4 di detenzione è identica alla durata della misura di prevenzione e il decreto impugnato si limiterebbe a richiamare genericamente il provvedimento in forza del quale il ricorrente risulta detenuto per reati risalenti nel tempo senza precisare gli elementi in base ai quali è stato formulato il giudizio di attualità della pericolosità.
Con requisitoria scritta del 24 settembre 2024, il Procuratore Generale presso questa Suprema Corte, in persona del Sostituto, Dottor NOME COGNOME ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile.
Occorre premettere che il ricorso per cassazione avverso un provvedimento di prevenzione, anche a seguito dell’entrata in vigore del d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159, è ammesso soltanto per violazione di legge, nozione in cui va ricompresa la motivazione inesistente o meramente apparente del provvedimento, che ricorre quando il decreto omette del tutto di confrontarsi con un elemento potenzialmente decisivo nel senso che, singolarmente considerato, sarebbe tale da poter determinare un esito opposto del giudizio. (Sez. U, n. 33451 del 29/05/2014, Repaci, Rv. 260246-01). Da ciò consegue che non può essere proposta come vizio di motivazione, mancante o apparente, la sottovalutazione di argomenti difensivi che, in realtà, siano stati presi in considerazione dal giudice o comunque risultino assorbiti dalle argomentazioni poste a fondamento del provvedimento impugnato.
Ciò premesso deve rilevarsi che la motivazione del provvedimento impugnato è tutt’altro che apparente posto che, come osserva anche il Procuratore Generale, siffatto decreto si fonda sull’accertata e permanente appartenenza del ricorrente a una pericolosa cosca di ‘ndrangheta, facente capo a NOME COGNOME. La Corte d’appello, dopo aver ricordato, condividendole, le argomentazioni poste a sostegno della decisione di primo grado, ha evidenziato, in punto di attualità della pericolosità sociale, che gli elementi posti a fondamento del giudizio in parte qua «diversamente da quanto sostenuto dall’appellante, non sono circoscritte e datate nel tempo ma, al contrario,
forniscono la prova di plurimi, gravissimi fatti e condotte associative che hanno connotato la vita del proposto e che, come precisato dal tribunale, erano in atto alla data in cui quest’ultimo nel 2018 è stato attinto dalla più afflittiva misura custodiale, non sono cessate, ma sono state interrotte dall’esecuzione dell’ordinanza applicativa della misura di massimo rigore che lo ha privato della sua libertà personale». Siffatta motivazione, all’evidenza, non può dirsi assente o apparente dovendosi intendere per tale solo una motivazione «del tutto priva dei requisiti minimi di coerenza e completezza, al punto da risultare inidonea a rendere comprensibile l’iter logico seguito dal giudice di merito le linee argomentative del provvedimento siano talmente scoordinate da rendere oscure le ragioni che hanno giustificato il provvedimento» o del tutto avulse dalle risultanze processuali e da decisive deduzioni difensive o che si avvalga di argomentazioni di puro genere o di asserzioni apodittiche o di proposizioni prive di efficacia dimostrativa, cioè, in tutti i casi in cui il ragionamento espresso dal giudice a sostegno della decisione adottata sia soltanto fittizio e, perciò, sostanzialmente inesistente (Sez. 5, n. 9677 del 14/07/2014, dep. 2015, Rv. 263100; Sez. U, n. 25932 del 29/05/2008, Ivanov, Rv. 239692; Sez. 2, n. 20968 del 06/07/2020, Rv. 279435; Sez. 6, n. 21525 del 18/06/2020, Rv. 279284; Sez. 6, n. 33705 del 15/06/2016, Rv. 270080).
Manifestamente infondata è poi la dedotta violazione di legge concernente la durata della misura di prevezione posto che i Giudici di merito, nella loro discrezionalità, hanno ritenuto di dover fissare la durata della misura disposta in anni cinque così rispettando il dettato di cui all’art. 8, comma 1, d.lgs n. 159 del 2011 a norma del quale «il provvedimento del tribunale stabilisce la durata della misura di prevenzione che non può essere inferiore da un anno né superiore a cinque».
All’inammissibilità del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di euro 3000,00 a favore della Cassa delle ammende.
P. Q. M.
Dichiara l’inammissibilità del ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e del pagamento di C 3000,00 a favore della Cassa delle ammende.
Roma, 12 novembre 2024