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Sorveglianza speciale: divieto uso cellulare e recidiva

Un individuo sotto sorveglianza speciale viene condannato per aver violato il divieto di utilizzare un telefono cellulare. La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 3051/2024, ha confermato la legittimità di tale prescrizione se motivata dall’autorità giudiziaria. Tuttavia, ha annullato la decisione della Corte d’Appello riguardo l’applicazione della recidiva, giudicando la motivazione troppo generica e carente. Il caso è stato quindi rinviato per una nuova valutazione su questo specifico punto.

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Pubblicato il 26 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Sorveglianza speciale: Quando il divieto di usare il cellulare è legittimo?

La misura della sorveglianza speciale rappresenta uno degli strumenti più incisivi a disposizione dell’ordinamento per prevenire la commissione di reati da parte di soggetti ritenuti socialmente pericolosi. Tra le varie prescrizioni che possono essere imposte, il divieto di possedere o utilizzare telefoni cellulari è una delle più discusse. Una recente sentenza della Corte di Cassazione, la n. 3051 del 2024, è intervenuta su un caso emblematico, offrendo chiarimenti fondamentali sulla legittimità di tale divieto e, al contempo, sulla necessità di una motivazione rigorosa per l’applicazione della recidiva.

I Fatti del Caso

Un individuo, già sottoposto alla misura di prevenzione della sorveglianza speciale, veniva sorpreso da una pattuglia dei carabinieri mentre era al telefono. Consapevole di violare una delle prescrizioni imposte dal decreto applicativo della misura, l’uomo tentava di nascondere immediatamente il cellulare nei propri indumenti.
Sia il Tribunale di primo grado che la Corte d’Appello lo condannavano per il reato previsto dall’art. 75, comma 2, del d.lgs. 159/2011, confermando la pena a 8 mesi di reclusione. La difesa decideva quindi di ricorrere in Cassazione, sollevando due questioni principali: l’anacronismo e la sproporzione del divieto di uso del cellulare e la carenza di motivazione sull’applicazione della recidiva.

L’Analisi della Corte sulla sorveglianza speciale

Il primo motivo di ricorso si concentrava sulla presunta illegittimità del divieto di utilizzare il telefono. La difesa sosteneva che tale prescrizione fosse ormai anacronistica, in contrasto con le moderne esigenze lavorative e sociali, e potenzialmente lesiva del percorso di risocializzazione del soggetto.
La Corte di Cassazione ha respinto questa doglianza, ritenendola infondata. Richiamando un importante precedente della Corte Costituzionale (sentenza n. 2 del 2023), i giudici hanno ribadito che la limitazione della libertà di comunicazione è costituzionalmente legittima se vengono rispettate due condizioni fondamentali: il principio di legalità e la riserva di giurisdizione. In altre parole, il divieto è valido se previsto da una norma e imposto da un giudice con un’espressa e adeguata motivazione. Nel caso di specie, la Corte d’Appello aveva correttamente evidenziato che l’argomentazione difensiva sulla necessità del cellulare per cercare lavoro era rimasta una mera affermazione, priva di qualsiasi riscontro concreto. La strada corretta, suggerisce la Corte, non era quella di violare la prescrizione, ma di chiederne formalmente la revoca o la modifica all’autorità giudiziaria competente, dimostrando la sussistenza di reali esigenze.

La Censura sulla Motivazione della Recidiva

Se il primo motivo è stato respinto, il secondo ha invece trovato accoglimento. La difesa lamentava che la Corte d’Appello avesse motivato l’applicazione della recidiva in modo del tutto inadeguato, con un generico riferimento a “pregresse condotte penali riguardanti reati per sentenze recenti”.
Su questo punto, la Cassazione è stata netta. Ha affermato che il giudice d’appello, di fronte a uno specifico motivo di gravame, non può limitarsi a un rinvio generico alla sentenza di primo grado o a formule di stile. Ha l’obbligo di fornire una motivazione puntuale e analitica. Nel caso concreto, il semplice riferimento alle indicazioni presenti nel certificato penale, senza una valutazione specifica e adeguata dei precedenti (che peraltro risalivano al biennio 2014-2015), integra un vizio di motivazione. L’applicazione della recidiva non è un automatismo, ma una valutazione discrezionale del giudice che deve essere supportata da un ragionamento esplicito e completo.

Le motivazioni

La Corte Suprema ha distinto nettamente i due profili del ricorso. Da un lato, ha confermato la piena legittimità di una prescrizione come il divieto di uso del cellulare nell’ambito della sorveglianza speciale, purché sia disposta dall’autorità giudiziaria con una motivazione che ne giustifichi la necessità ai fini della prevenzione. Le giustificazioni generiche addotte dall’imputato non erano sufficienti a scalfire la validità della misura. Dall’altro lato, ha censurato duramente l’operato della Corte d’Appello sul fronte sanzionatorio. La motivazione fornita per giustificare la recidiva è stata giudicata apparente e insufficiente, poiché un mero rinvio al certificato penale non soddisfa l’obbligo di spiegare perché i precedenti reati rendano il soggetto meritevole di un trattamento sanzionatorio più severo.

Le conclusioni

La sentenza si conclude con una decisione parziale: rigetta il ricorso per quanto riguarda l’affermazione di responsabilità per la violazione commessa, ma annulla la sentenza impugnata limitatamente alla sussistenza della recidiva e alle statuizioni sanzionatorie conseguenti. La causa viene quindi rinviata a un’altra sezione della Corte d’Appello di Bari per un nuovo giudizio su questo specifico punto. Questa decisione riafferma un principio cardine del diritto penale: ogni elemento che incide sulla determinazione della pena, specialmente un aggravante come la recidiva, deve essere oggetto di una valutazione attenta e di una motivazione specifica, concreta e non stereotipata.

È legittimo vietare l’uso del cellulare a una persona sottoposta a sorveglianza speciale?
Sì, secondo la Corte di Cassazione, che si allinea a una precedente pronuncia della Corte Costituzionale, il divieto è legittimo a condizione che sia imposto dall’autorità giudiziaria con un provvedimento che contenga un’espressa e adeguata motivazione.

Perché la Corte di Cassazione ha annullato la sentenza pur ritenendo l’imputato colpevole?
La Corte ha annullato la sentenza solo parzialmente. Ha confermato la colpevolezza per la violazione della prescrizione, ma ha annullato la parte relativa all’applicazione della recidiva perché la Corte d’Appello non aveva fornito una motivazione specifica e adeguata, limitandosi a un generico riferimento ai precedenti penali.

Cosa deve fare un giudice per applicare correttamente la recidiva?
Un giudice non può applicare la recidiva in modo automatico. Deve fornire una motivazione puntuale e analitica, spiegando perché i precedenti reati, considerati nel loro complesso e nella loro distanza temporale, giustificano un aumento della pena per il nuovo reato commesso. Un semplice riferimento al certificato penale non è sufficiente.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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