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Sorveglianza speciale: contatti abituali e reato

La Corte di Cassazione conferma la condanna di un soggetto in sorveglianza speciale per violazione del divieto di frequentare pregiudicati. La sentenza chiarisce che la reiterazione di incontri in un breve periodo, anche con un familiare, integra il reato, sottolineando l’irrilevanza del legame di parentela in assenza di autorizzazione. Il ricorso è stato dichiarato inammissibile per manifesta infondatezza.

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Pubblicato il 3 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Sorveglianza Speciale: Quando Frequentare Pregiudicati Diventa Reato

La misura della sorveglianza speciale rappresenta uno degli strumenti più incisivi a disposizione dello Stato per prevenire la commissione di reati da parte di soggetti ritenuti socialmente pericolosi. Tra le prescrizioni imposte, una delle più significative è il divieto di associarsi abitualmente con persone che hanno subito condanne. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha ribadito la severità di tale divieto, chiarendo quando le frequentazioni, anche con familiari, integrano il reato.

I Fatti del Caso

Un individuo, già sottoposto alla misura della sorveglianza speciale, proponeva ricorso in Cassazione avverso la sentenza della Corte d’Appello che lo aveva condannato per la violazione delle prescrizioni imposte. In particolare, gli veniva contestato di aver violato il divieto di frequentare abitualmente persone con precedenti penali. L’imputato aveva intrattenuto contatti con diversi soggetti pregiudicati, tra cui il proprio suocero non convivente.

I Motivi del Ricorso e il Ruolo della Sorveglianza Speciale

Il ricorrente basava la sua difesa su due argomenti principali. In primo luogo, contestava la sussistenza dell’elemento costitutivo del reato, ovvero la “stabilità” e “l’abitualità” delle frequentazioni, sostenendo che i contatti non fossero tali da integrare una consuetudine. In secondo luogo, si doleva dell’applicazione della recidiva, ritenendola ingiustificata.

Il Requisito dell’Abitualità

Il fulcro della questione giuridica risiede nell’interpretazione del concetto di “abitualità” previsto dall’art. 75 del D.Lgs. 159/2011 (Codice Antimafia). La norma punisce chi viola la prescrizione di “non associarsi abitualmente alle persone che hanno subito condanne e sono sottoposte a misure di prevenzione o di sicurezza”. La giurisprudenza è costante nel ritenere che non sia sufficiente un singolo incontro, ma sia necessaria una serialità di comportamenti, ovvero plurimi e stabili contatti.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, respingendo entrambe le censure del ricorrente e confermando la decisione della Corte d’Appello.

In merito al primo motivo, i giudici hanno ribadito che la valutazione dell’abitualità deve tenere conto di più fattori. Nel caso di specie, la Corte territoriale aveva correttamente evidenziato come la reiterazione degli incontri in un periodo di tempo ristretto, la loro estensione a un numero elevato di soggetti con precedenti anche gravi e l’assenza di valide giustificazioni concorrevano a integrare il requisito richiesto dalla norma.

Di particolare rilievo è la posizione della Corte sul legame di parentela. I giudici hanno specificato che il rapporto di parentela o affinità con i pregiudicati frequentati è irrilevante ai fini della configurabilità del reato. Se il sorvegliato speciale ha la necessità di incontrare familiari per motivi leciti, deve presentare un’apposita istanza all’autorità giudiziaria per essere autorizzato. In assenza di tale autorizzazione, anche i contatti con i parenti pregiudicati, se abituali, costituiscono reato.

Anche il secondo motivo, relativo alla recidiva, è stato ritenuto manifestamente infondato. La Corte ha spiegato che i giudici di merito non si sono limitati a un mero elenco dei precedenti penali, ma hanno correttamente desunto da essi (per omogeneità, gravità e recente consumazione) una specifica pericolosità sociale e una perdurante inclinazione al delitto, elementi che giustificano l’applicazione dell’aggravante.

Le Conclusioni

L’ordinanza in esame consolida un orientamento rigoroso in materia di sorveglianza speciale. La decisione sottolinea che l’obiettivo della misura è quello di recidere i legami del sorvegliato con ambienti criminali, impedendogli di mantenere contatti che potrebbero favorire la commissione di nuovi reati. La nozione di “abitualità” viene interpretata in senso sostanziale, valorizzando la frequenza e la natura dei contatti, a prescindere da eventuali legami familiari. Per chi è sottoposto a tale misura, diventa quindi fondamentale astenersi da qualsiasi frequentazione non autorizzata con persone pregiudicate, anche se parenti, per non incorrere in gravi conseguenze penali.

Frequentare un familiare con precedenti penali è reato per chi è in sorveglianza speciale?
Sì, può costituire reato. Se gli incontri sono abituali (cioè ripetuti e stabili) e non sono stati preventivamente autorizzati dall’autorità giudiziaria, violano la prescrizione. Il legame di parentela non è una giustificazione valida.

Cosa si intende per “associazione abituale” vietata dalla sorveglianza speciale?
Per “associazione abituale” si intende una serie di comportamenti ripetuti nel tempo, che dimostrano una consuetudine nei contatti. Non basta un singolo incontro, ma sono sufficienti plurimi e stabili contatti, anche in un arco temporale ristretto, per integrare il reato.

Perché la Corte di Cassazione ha ritenuto irrilevante il legame di parentela?
La Corte ha ritenuto irrilevante il legame di parentela perché lo scopo della misura di prevenzione è quello di interrompere i contatti del soggetto sorvegliato con ambienti potenzialmente criminogeni. Qualora vi sia una necessità legittima di incontrare un familiare pregiudicato, il sorvegliato ha l’onere di chiedere e ottenere una specifica autorizzazione dal giudice.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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