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Soggiorno illegale: ricorso inammissibile, ecco perché

Un cittadino straniero, condannato per il reato di soggiorno illegale, ha presentato ricorso in Cassazione sostenendo l’esistenza di una procedura di regolarizzazione e l’avvenuta espulsione. La Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, specificando che per estinguere il reato è necessaria una comunicazione ufficiale di espulsione da parte del Questore e che il semplice avvio di una pratica di regolarizzazione lavorativa non rientra nelle cause di non procedibilità previste dalla legge.

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Pubblicato il 4 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Soggiorno Illegale: Quando il Ricorso in Cassazione è Inammissibile

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 19804 del 2025, ha ribadito importanti principi in materia di soggiorno illegale, chiarendo le condizioni che rendono un ricorso inammissibile. La decisione analizza due aspetti cruciali: le cause che estinguono il reato, come l’espulsione, e i limiti per contestare la mancata ammissione di prove in giudizio. Questo caso offre una guida preziosa per comprendere i rigorosi requisiti procedurali e sostanziali previsti dalla legge.

I Fatti del Caso

Un cittadino moldavo veniva condannato dal Giudice di Pace di Roma a una pena di 5.000 euro di ammenda per il reato di ingresso e soggiorno illegale nel territorio dello Stato, previsto dall’art. 10-bis del d.lgs. 286/1998.

Contro questa decisione, l’imputato, tramite il suo difensore, proponeva ricorso per cassazione, basandolo su due motivi principali: un vizio di motivazione della sentenza di primo grado e la mancata assunzione di una prova ritenuta decisiva.

I Motivi del Ricorso: Regolarizzazione e Prova dell’Espulsione

Il ricorrente lamentava che il giudice di pace non avesse adeguatamente considerato due elementi a suo favore.

Primo Motivo: Insufficienza della Motivazione

L’imputato sosteneva che il giudice avesse ignorato le dichiarazioni del suo datore di lavoro, il quale affermava di aver avviato le pratiche per regolarizzare la sua posizione. Inoltre, la difesa aveva prodotto documentazione da cui, a suo dire, si poteva desumere l’avvenuta espulsione dal territorio nazionale, una circostanza che avrebbe dovuto portare all’estinzione del giudizio.

Secondo Motivo: Mancata Assunzione di Prova Decisiva

Il secondo motivo di ricorso si concentrava sul rifiuto del giudice di sentire, come testimone, la madre del datore di lavoro. Questa testimonianza, secondo la difesa, avrebbe confermato l’intenzione di regolarizzare la posizione del lavoratore e avrebbe rappresentato una prova decisiva per l’esito del processo.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, giudicando entrambi i motivi manifestamente infondati.

L’irrilevanza della Procedura di Regolarizzazione sul Soggiorno Illegale

La Corte ha smontato il primo argomento, chiarendo che l’avvio di una procedura di regolarizzazione per motivi di lavoro non è, di per sé, una causa di estinzione del reato di soggiorno illegale. L’articolo 10-bis, comma 6, del Testo Unico sull’Immigrazione elenca tassativamente le ipotesi in cui il giudice deve pronunciare una sentenza di non luogo a procedere. Tra queste figurano, ad esempio, il riconoscimento della protezione internazionale o il rilascio di specifici permessi di soggiorno (per protezione speciale, per le vittime di violenza domestica, etc.). La semplice intenzione di regolarizzare un rapporto di lavoro non rientra in questo elenco. Pertanto, anche se le dichiarazioni del datore di lavoro fossero state veritiere, non avrebbero potuto cambiare l’esito del giudizio.

Inoltre, per quanto riguarda la presunta espulsione, la Cassazione ha richiamato la sua giurisprudenza consolidata: l’unica prova valida dell’avvenuta esecuzione dell’espulsione è la comunicazione formale che il Questore deve inviare all’autorità giudiziaria. Non è possibile dimostrarla tramite “fatti concludenti” o deduzioni, come la mancata presenza dell’imputato in un Centro di Permanenza per i Rimpatri (CPR).

I Limiti alla Contestazione sulla Mancata Assunzione di Prove

Anche il secondo motivo è stato ritenuto infondato. La Corte ha precisato che il vizio di “mancata assunzione di una prova decisiva” può essere fatto valere in Cassazione solo se la prova era stata richiesta formalmente dalla parte all’inizio del dibattimento, ai sensi dell’art. 495, comma 2, del codice di procedura penale.

Nel caso specifico, la difesa si era limitata a sollecitare il giudice a usare i suoi poteri discrezionali di integrazione probatoria (previsti dall’art. 507 c.p.p.). Poiché si tratta di un potere discrezionale, il giudice non è obbligato ad accogliere la richiesta se la ritiene non necessaria ai fini della decisione. Il suo rifiuto, in questo contesto, non è quindi un errore procedurale che può essere contestato in sede di legittimità.

Le Conclusioni

Con questa sentenza, la Corte di Cassazione conferma un orientamento rigoroso sul reato di soggiorno illegale. La decisione sottolinea due principi fondamentali: primo, le cause di estinzione del reato sono solo quelle espressamente previste dalla legge e non possono essere estese per analogia a situazioni come l’avvio di una pratica di regolarizzazione lavorativa. Secondo, la prova dell’espulsione, per avere efficacia nel processo penale, deve seguire canali formali e non può essere lasciata a deduzioni o prove indirette. Infine, la sentenza ribadisce i precisi limiti procedurali per contestare il mancato accoglimento di una richiesta di prova, distinguendo nettamente tra le prove richieste dalle parti in apertura di dibattimento e quelle sollecitate nel corso del processo attraverso i poteri istruttori del giudice. Di conseguenza, il ricorso è stato dichiarato inammissibile e il ricorrente condannato al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della cassa delle ammende.

L’avvio di una procedura di regolarizzazione estingue automaticamente il reato di soggiorno illegale?
No. La Corte di Cassazione ha chiarito che solo le specifiche cause di estinzione previste dall’art. 10-bis, comma 6, del d.lgs. 286/1998 (come il rilascio di un permesso per protezione internazionale) possono portare a una sentenza di non luogo a procedere. Il semplice avvio di una pratica di regolarizzazione per motivi di lavoro non rientra tra queste.

Come si può provare in giudizio l’avvenuta espulsione per ottenere la chiusura del procedimento per soggiorno illegale?
La prova dell’avvenuta esecuzione dell’espulsione deve provenire da una comunicazione ufficiale del Questore all’autorità giudiziaria. Non è sufficiente dedurla da fatti concludenti, come la mancata presenza dello straniero in un Centro di Permanenza per i Rimpatri (CPR).

È possibile impugnare in Cassazione la decisione del giudice di non ammettere una testimonianza richiesta nel corso del processo?
Si può impugnare per “mancata assunzione di una prova decisiva” solo se la prova era stata richiesta all’inizio del dibattimento (ai sensi dell’art. 495 c.p.p.). Se la richiesta è un semplice invito al giudice ad usare i suoi poteri discrezionali per integrare le prove (art. 507 c.p.p.), il suo rifiuto non è un motivo valido per un ricorso in Cassazione.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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