Soggiorno Illegale: Quando il Ricorso in Cassazione è Inammissibile
La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 6684/2024, ha affrontato un caso di soggiorno illegale, confermando principi fondamentali sia in materia di immigrazione che di procedura penale. La decisione chiarisce i limiti del ricorso per cassazione e la natura del reato contestato, offrendo spunti di riflessione sulla non applicabilità di alcuni istituti, come la particolare tenuità del fatto, in contesti di prolungata illegalità. Analizziamo nel dettaglio la vicenda e le conclusioni della Suprema Corte.
I Fatti del Caso
La vicenda riguarda un cittadino straniero destinatario di un ordine di espulsione emesso dal Questore nel lontano novembre 2015. L’uomo non aveva ottemperato all’ordine, rimanendo sul territorio nazionale. Nel novembre 2018, quasi tre anni dopo, veniva sottoposto a un controllo. Il giorno precedente al controllo, era stato scarcerato per altre cause e sottoposto alla misura cautelare dell’obbligo di firma presso la stazione dei carabinieri locale. Condannato dal Giudice di Pace per il reato di soggiorno illegale, l’imputato decideva di presentare ricorso in Cassazione.
I Motivi del Ricorso e la Questione del Soggiorno Illegale
La difesa basava il ricorso su due argomentazioni principali:
1. Violazione della legge sull’immigrazione: Si lamentava una presunta violazione dell’art. 14, comma 5-ter, del Testo Unico sull’Immigrazione.
2. Mancata applicazione della particolare tenuità del fatto: Si chiedeva l’applicazione dell’art. 34 del D.Lgs. 274/2000, sostenendo che il fatto fosse di lieve entità. A supporto di questa tesi, il ricorrente adduceva una generica condizione di indigenza e il fatto di essere sottoposto a una misura cautelare che, a suo dire, gli impediva di lasciare il paese.
La Decisione della Corte di Cassazione
La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile. Questa decisione non entra nel merito delle questioni sollevate, ma le blocca a monte, ritenendole non meritevoli di essere esaminate per vizi procedurali e di sostanza. Le motivazioni fornite sono nette e ribadiscono principi consolidati.
Le Motivazioni della Sentenza
La Corte ha ritenuto le censure del ricorrente manifestamente infondate e non consentite in sede di legittimità. In primo luogo, le argomentazioni erano semplici ripetizioni di quanto già correttamente valutato e respinto dal Giudice di Pace, senza introdurre nuovi elementi di diritto. Inoltre, le lamentele si risolvevano in doglianze in punto di fatto, ovvero tentativi di rimettere in discussione la ricostruzione della vicenda, un’operazione preclusa nel giudizio di Cassazione, che si occupa solo della corretta applicazione della legge.
Entrando nel dettaglio, la Corte ha sottolineato i seguenti punti cruciali:
* Natura del reato: Il reato di soggiorno illegale è un reato omissivo proprio. Ciò significa che la condotta illecita non si esaurisce nel momento in cui scade il termine per lasciare il Paese, ma si protrae per tutto il periodo in cui lo straniero rimane illegalmente sul territorio nazionale. La legge (art. 14, comma 5-bis del T.U. Immigrazione) fa espresso riferimento al “soggiorno illegale”, confermando la natura permanente dell’illecito.
* Esclusione della particolare tenuità del fatto: La richiesta di applicare la causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto è stata respinta. La Corte ha evidenziato che l’imputato non solo era un soggetto con precedenti penali (pregiudicato), ma era anche rimasto per un lungo periodo di tempo nel territorio dello Stato in condizione di illegalità. Questi elementi sono stati considerati ostativi al riconoscimento della lieve entità del reato.
* Irrilevanza delle giustificazioni: Le scusanti addotte dal ricorrente, come lo stato di indigenza (peraltro non documentato) e la sottoposizione a una misura cautelare, sono state giudicate irrilevanti. L’obbligo di lasciare l’Italia risaliva al 2015, ben prima che venisse imposta la misura dell’obbligo di firma nel 2018. Quest’ultima, quindi, non poteva essere considerata una causa di giustificazione per la precedente e prolungata violazione della legge.
Conclusioni e Implicazioni Pratiche
Questa ordinanza riafferma con chiarezza alcuni principi cardine. In primo luogo, il ricorso in Cassazione non può essere utilizzato per tentare una nuova valutazione dei fatti. In secondo luogo, il reato di soggiorno illegale è una violazione che perdura nel tempo, e la sua gravità aumenta con il protrarsi della permanenza indebita. Infine, la causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto non è un’esimente automatica e viene esclusa di fronte a elementi come la lunga durata della condotta illecita e la presenza di precedenti penali. La decisione serve da monito: la violazione di un ordine di espulsione costituisce un illecito grave e permanente, le cui conseguenze non possono essere facilmente eluse invocando circostanze successive o non provate.
Per quanto tempo si commette il reato di soggiorno illegale dopo un ordine di espulsione non rispettato?
Secondo la Corte, il reato di soggiorno illegale ha natura di reato omissivo proprio e si estende a tutto il periodo di permanenza nel territorio nazionale in violazione dell’ordine, non limitandosi solo al momento della mancata ottemperanza.
La particolare tenuità del fatto può essere applicata a un caso di soggiorno illegale prolungato?
No, la Corte ha escluso l’applicazione di tale istituto in ragione del fatto che l’imputato era rimasto a lungo nel territorio dello Stato illegalmente, oltre ad avere precedenti penali. La lunga durata della condotta è considerata un fattore che osta al riconoscimento della lieve entità.
Un ricorso in Cassazione può essere basato sulla contestazione dei fatti accertati dal giudice precedente?
No, la Corte di Cassazione ha ribadito che il ricorso non è ammissibile se si risolve in “doglianze in punto di fatto”, ovvero in un tentativo di ottenere una nuova valutazione della ricostruzione della vicenda. Il giudizio di Cassazione è limitato al controllo della corretta applicazione della legge.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 6684 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 6684 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 25/01/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da: RAGIONE_SOCIALE nato il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 02/10/2023 del GIUDICE DI PACE di AVEZZANO
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME;
Rilevato in fatto e considerato in diritto
Ritenuto che le censure dedotte nel ricorso di NOME COGNOME di cui al primo e al secondo motivo di ricorso – nei quali il difensore lamenta rispettivamente violazione dell’art. 14, comma 5 -ter, d. Igs. 5 luglio 1998, n. 286, e dell’art. 34 d. Igs. 28 agosto 2000, n. 274 – sono manifestamente infondate, oltre che non consentite in sede di legittimità, risolvendosi in doglianze in punto di fatto.
Osservato che dette doglianze sono reiterative di profili di censura già vagliati con argomentazioni non manifestamente illogiche e scevre da vizi giuridici dal Giudice di pace di Avezzano nel provvedimento impugnato.
In esso si evidenzia che: – l’imputato era stato oggetto di un ordine di espulsione emesso dal AVV_NOTAIO di Campobasso già dal 27.11.2015, al quale non aveva ottemperato (nei sette giorni da tale data), e il giorno prima del controllo, avvenuto 1’11.11.2018, era stato scarcerato e doveva essere sottoposto alla misura dell’obbligo di firma presso la Stazione dei carabinieri di Avezzano; – la fattispecie ha natura di reato omissivo proprio, in quanto il reato non si limita all’omissione del rispetto del provvedimento di espulsione, ma si estende a tutto il periodo di permanenza nel territorio nazionale in contrasto con il Testo Unico sull’Immigrazione, stante il richiamo all’art.. 14, comma 5 -bis dello stesso che espressamente fa riferimento al “soggiorno illegale”; – non può essere accolta la richiesta di applicazione dell’art. 34 d. Igs. 28 agosto 2000, n. 274, in ragione del fatto che l’imputato, oltre ad essere pregiudicato, è rimasto a lungo nel territorio dello Stato illegalmente.
Rilevato, pertanto, che il ricorso – nel quale genericamente si fa riferimento a una situazione di impossidenza neppure documentata e alla sottoposizione a misura cautelare impeditiva di un adempimento imposto ben prima, nonché ad una insussistente omessa valutazione della richiesta di applicazione del fatto di particolare tenuità – deve essere dichiarato inammissibile, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, non ricorrendo ipotesi di esonero, al versamento di una somma alla Cassa delle ammende, determinabile in tremila euro, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 25 gennaio 202l.