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Soggetto estraneo al reato: quando è legittimo?

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di una società contro un sequestro preventivo. La Corte ha stabilito che la società non può essere considerata un ‘soggetto estraneo al reato’ in quanto, pur essendo un’entità distinta, il suo legale rappresentante ha consapevolmente permesso a un terzo, ideatore della frode fiscale, di utilizzare in modo esclusivo il conto corrente aziendale. Tale condotta è stata ritenuta un supporto operativo all’attività illecita, rendendo legittimo il sequestro dei fondi presenti sul conto quale profitto del reato.

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Pubblicato il 11 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Sequestro e frode fiscale: quando una società non è considerata un soggetto estraneo al reato

La Corte di Cassazione, con una recente sentenza, torna a delineare i confini di una figura cruciale nel diritto penale tributario: il soggetto estraneo al reato. La pronuncia analizza il caso di una società i cui beni sono stati sottoposti a sequestro preventivo per una frode fiscale orchestrata da un terzo. La questione centrale è stabilire quando un’entità giuridica, formalmente distinta dall’autore del reato, perda la qualifica di ‘terzo estraneo’ e, di conseguenza, i suoi beni possano essere legittimamente aggrediti.

I fatti di causa

La vicenda trae origine da un’articolata frode fiscale. Un individuo, amministratore di una società (la ‘società principale’), avrebbe realizzato ingenti profitti illeciti attraverso operazioni commerciali non dichiarate. Per schermare tali proventi, l’individuo si sarebbe avvalso di un’altra società (la ‘società interposta’), formalmente amministrata da una persona diversa.

In particolare, l’amministratrice della società interposta aveva aperto un conto su una nota piattaforma di pagamenti digitali, per poi concederne l’uso esclusivo all’ideatore della frode. Su questo conto confluivano i profitti illeciti. Il Giudice per le Indagini Preliminari (GIP), su richiesta della Procura, disponeva il sequestro preventivo, diretto e per equivalente, fino a concorrenza del profitto del reato, individuato in oltre 16 milioni di euro. Il sequestro veniva eseguito anche sul saldo attivo del conto della società interposta.

Contro tale provvedimento, la società interposta proponeva istanza di riesame, che veniva rigettata. Il Tribunale del Riesame sosteneva che la società non potesse considerarsi ‘terza’ rispetto alla frode, in quanto strumento consapevole nelle mani dell’artefice del reato. Da qui il ricorso in Cassazione.

La nozione di soggetto estraneo al reato nel ricorso

La società ricorrente basava la sua difesa su due argomenti principali. In primo luogo, contestava la sua qualificazione come mero schermo, rivendicando la propria piena operatività commerciale e sostenendo di essere il reale attore delle operazioni economiche. A suo dire, si trattava di un’interposizione reale e non fittizia, circostanza che escluderebbe l’applicabilità della fattispecie di reato contestata.

In secondo luogo, la difesa lamentava la mancanza di motivazione riguardo al coinvolgimento diretto dell’ideatore della frode nelle attività della società interposta. Sostanzialmente, si cercava di dimostrare una netta separazione tra la propria gestione e le attività illecite del terzo, al fine di ottenere la qualifica di soggetto estraneo al reato e, di conseguenza, la restituzione delle somme sequestrate.

Le motivazioni della Corte

La Corte di Cassazione ha dichiarato entrambi i ricorsi (quello presentato dall’amministratrice in proprio e quello presentato in qualità di legale rappresentante della società) inammissibili.

Per quanto riguarda la posizione personale dell’amministratrice, la Corte ha rilevato una carenza di legittimazione, poiché non era stata parte del precedente giudizio di riesame a titolo personale e il sequestro non aveva colpito i suoi beni diretti.

Nel merito della posizione della società, la Corte ha formulato il principio decisivo. Per essere definito ‘soggetto estraneo al reato’ ai sensi dell’art. 12-bis del D.Lgs. 74/2000, non è sufficiente essere formalmente distinti dall’autore materiale del crimine. È necessario che il soggetto non abbia ricavato alcun vantaggio o utilità dal reato e che sia in buona fede. La buona fede, a sua volta, implica l’impossibilità di conoscere, usando la normale diligenza, l’utilizzo illecito del bene.

Nel caso specifico, la Corte ha ritenuto che la società interposta fosse ‘indubbiamente coinvolta’. La prova di tale coinvolgimento risiede nel fatto che la sua legale rappresentante ha aperto un conto corrente aziendale e ne ha poi consentito l’uso esclusivo e autonomo all’ideatore della frode, fornendogli di fatto un supporto operativo essenziale per la commissione del reato. Questa consapevole messa a disposizione delle proprie strutture operative fa venir meno la buona fede e la terzietà, rendendo la società partecipe, a vario titolo, della trama criminosa. Di conseguenza, la confisca (e prima ancora il sequestro) del profitto del reato presente sui suoi conti è da considerarsi legittima.

Infine, la Corte ha dichiarato inammissibile anche il secondo motivo di ricorso, ricordando che l’appello in Cassazione avverso le misure cautelari reali è consentito solo per ‘violazione di legge’ e non per vizi di motivazione o per una diversa ricostruzione dei fatti.

Le conclusioni

La sentenza ribadisce un principio fondamentale: la qualifica di soggetto estraneo al reato non dipende solo da un’apparenza formale, ma da un’analisi sostanziale del ruolo svolto nella vicenda. Una società che, attraverso i suoi amministratori, mette a disposizione le proprie risorse (come un conto corrente) per facilitare la commissione di un reato da parte di terzi, non può invocare la propria estraneità per proteggere i propri beni dal sequestro. La consapevolezza o la colpevole negligenza nel consentire l’uso illecito degli strumenti aziendali è sufficiente a far considerare l’ente come coinvolto nell’attività criminosa, legittimando l’applicazione delle misure ablatorie sul profitto del reato.

Quando una società può essere considerata ‘soggetto estraneo al reato’ in un sequestro per frode fiscale?
Una società è considerata estranea al reato solo se non ha tratto alcun vantaggio o utilità da esso e se era in buona fede, cioè non poteva conoscere, usando l’ordinaria diligenza, che i suoi beni venivano utilizzati per scopi illeciti.

Consentire a un’altra persona di usare il conto corrente aziendale può far perdere la qualifica di terzo estraneo?
Sì. Secondo la Corte di Cassazione, consentire a un terzo l’uso esclusivo e autonomo di un conto aziendale per attività che si rivelano criminali costituisce un supporto operativo al reato. Questo coinvolgimento fa venir meno la terzietà e rende la società passibile di sequestro.

È possibile impugnare in Cassazione un’ordinanza di sequestro per un vizio di motivazione?
No. Il ricorso per Cassazione contro i provvedimenti di sequestro (misure cautelari reali) è limitato alla sola ‘violazione di legge’. Non è possibile contestare la ricostruzione dei fatti o presunti difetti nella motivazione dell’ordinanza impugnata.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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