Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 5168 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 5168 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 20/11/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da
Sanvittori NOME, nato a Como il 14/09/1978
avverso la sentenza del 15/05/2024 della Corte d’appello di Milano visti gli atti, il provvedimento impugnato, il ricorso e la memoria; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza emessa in data 15 maggio 2024, la Corte di appello di Milano, in parziale riforma della sentenza pronunciata dal Tribunale di Lecco, ha confermato la dichiarazione di penale responsabilità di NOME COGNOME per vari reati di cui agli artt. 2, 5, 8 e 10-ter d.lgs. n. 74 del 2000, ha dichiarato estinti altri reati di cui all’art. 8 d.gs. n. 74 per prescrizione, ed ha rideterminato la pen in tre anni e tre mesi di reclusione, ritenuta la continuazione e concesse le circostanze attenuanti generiche.
Secondo quanto ricostruito dai giudici di merito, NOME COGNOME avrebbe: 1) nella qualità di amministratore di fatto delle società “RAGIONE_SOCIALE“, “RAGIONE_SOCIALE” e “RAGIONE_SOCIALE“, emesso fatture per operazioni inesistenti al fine di consentire al “RAGIONE_SOCIALE“, poi “RAGIONE_SOCIALE“, poi “RAGIONE_SOCIALE” l’evasione dell’IVA dal 2014 al 2017 (capi b, c, d, q); 2) nella qualità di amministratore di diritto del “RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE“, poi “RAGIONE_SOCIALE“, poi “RAGIONE_SOCIALE“, indicato elementi passivi fittizi nelle dichiarazioni ai fini dell presentate per le annualità 2013, 2014, 2015, 2016 e 2017, avvalendosi di fatture per operazioni inesistenti emesse dalle società RAGIONE_SOCIALERAGIONE_SOCIALE“, “RAGIONE_SOCIALE“, “RAGIONE_SOCIALE” e “RAGIONE_SOCIALE” (capi e, f, g, h, p); 3) nella qualità di amministratore di fatto della società RAGIONE_SOCIALE a mutualità prevalente”, omesso di presentare la dichiarazione a fini IVA per l’anno 2013 (capo i); 4) nelle qualità di amministratore di fatto della società RAGIONE_SOCIALE” e di amministratore di diritto della società RAGIONE_SOCIALE, omesso di versare l’imposta sul valore aggiunto dovuta per i periodi di imposta 2016 (capo n) e 2017 (capo o).
Ha presentato ricorso per cassazione avverso la sentenza indicata in epigrafe NOME COGNOME con atto sottoscritto dall’Avv. NOME COGNOME articolando due motivi.
2.1. Con il primo motivo, si denuncia violazione di legge, in riferimento agli artt. 178, comma 1, lett. c), e 179 cod. proc. pen., a norma dell’art. 606, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., avuto riguardo alla violazione del diritto dell’imputato a comparire in giudizio.
Si deduce che illegittimamente l’imputato è stato dichiarato assente dal Tribunale con riguardo all’udienza del 31 gennaio 2023, fissata per eventuali repliche prima della pronuncia della sentenza, poiché il medesimo era stato arrestato in data 14 gennaio 2023, e tale misura era stata convalidata il 16 gennaio 2023. Si osserva che i diritti dell’imputato sono stati lesi perché il medesimo, ad esempio, avrebbe potuto esercitare il suo diritto a rendere dichiarazioni spontanee, e che la mancata eccezione del difensore è ininfluente, in quanto questi nulla sapeva, avendo l’attuale ricorrente nominato un diverso legale nel procedimento seguito al suo arresto.
2.2. Con il secondo motivo, si denuncia violazione di legge, in riferimento agli artt. 2, 8 e 10-ter d.lgs. n. 74 del 2000, a norma dell’art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen., avuto riguardo alla ritenuta sussistenza dei reati per i quali è stata pronunciata sentenza di condanna.
Si deduce, in primo luogo, che i reati di cui agli artt. 2 e 8 d.lgs. n. 74 de 2000 non sono configurabili, perché: a) le prestazioni indicate nelle fatture sono state effettivamente eseguite dalle società cooperative; b) la società “RAGIONE_SOCIALE” ha integralmente pagato gli importi riportati sulle fatture ricevute; c dipendenti delle cooperative sono stati regolarmente pagati; d) non è mai stata contestata l’intermediazione illegale di manodopera nei confronti della “RAGIONE_SOCIALE” o delle cooperative.
Si contesta, in particolare, l’affermazione secondo cui le cooperative sarebbero soggetti inesistenti, anche perché gli amministratori delle stesse sono stati condannati. Si segnala, in primo luogo, che la “RAGIONE_SOCIALE” non ha tratto alcun vantaggio dai rapporti con le cooperative, in quanto ha pagato VIVA sulle fatture da queste ad essa rilasciate, ha sopportato costi che sarebbero stati comunque a suo carico per la necessità di procedere ad assunzione diretta di personale, e, anzi, nel 2017 ha risolto i contratti con tali ditte assumendo gran parte del loro personale. Si osserva, poi, che: a) l’imputato era in origine dipendente di una cooperativa, ed è stato introdotto nella gestione dell’attività da un terzo, l’avvocato COGNOME; b) la modesta giacenza sui conti correnti delle cooperative evidenza semplicemente un problema di liquidità, tipico di tale tipologia di imprese, in quanto soggetti scarsamente patrimonializzati; c) le violazioni fiscali delle cooperative erano una costante già quando il sistema faceva capo all’avvocato COGNOME e proprio per questo costui si preoccupava di estinguerle e sostituirle periodicamente; d) l’imputato ha praticato prezzi molto bassi perché costretto dalla società committente, e ha fatto il possibile per ottenere prezzi più remunerativi, anche ampliando il numero dei clienti e facendo cessare i contratti di subappalto.
Si deduce, in secondo luogo, che il reato di cui all’art. 10-ter d.lgs. n. 74 del 2000 con riguardo all’omesso versamento dell’IVA da parte della società “RAGIONE_SOCIALE” (capo o) non è configurabile, perché detta società aveva ottenuto un piano di rateizzazione e fino al sequestro del conto, disposto in sede penale, aveva onorato tutte le rate stabilite.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile per le ragioni di seguito precisate.
Manifestamente infondate sono le censure esposte nel primo motivo, le quali deducono la nullità assoluta dell’udienza del 31 gennaio 2023 davanti al Tribunale e di tutti gli atti conseguenti, perché la stessa è stata celebrata
nonostante l’imputato non abbia potuto parteciparvi per essere stato privato della libertà a partire del 14 gennaio 2023.
2.1. Il Collegio ritiene che costituisca onere dell’imputato, regolarmente citato in stato di libertà e dichiarato contumace, segnalare tempestivamente al giudice il suo sopravvenuto stato di detenzione per altro procedimento, se non desumibile dagli atti né altrimenti comunicato, sicché, ove tale circostanza non sia dallo stesso comunicata o comunque risulti agli atti, non è configurabile alcuna nullità assoluta, o anche solo di ordine generale, riguardante l’intervento, l’assistenza e la rappresentanza dell’imputato, e, quindi, anche la sua partecipazione al giudizio.
Questo principio, infatti, si pone in linea di continuità con quello ripetutamente ribadito in giurisprudenza, secondo cui è onere dell’imputato, regolarmente citato in stato di libertà e dichiarato contumace, segnalare tempestivamente al giudice il suo sopravvenuto stato di detenzione, se non desumibile dagli atti né altrimenti comunicato, e la sua volontà di prendere parte al giudizio, non potendo egli, in caso contrario, invocare a posteriori la rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale in appello per non aver potuto partecipare al processo (cfr., in particolare, Sez. 2, n. 27817 del 22/03/2019, COGNOME, Rv. 276563 – 01, e Sez. 2, n. 30258 del 14/03/2017, COGNOME, Rv. 270594 – 01).
Lo stesso, inoltre, è stato espressamente affermato, in motivazione, da Sez. U, n. 7635 del 30/09/2021, dep. 2022, Costantino, Rv. 282806 – 01. In particolare, questa pronuncia, premettendo la «parificazione degli effetti delle forme di restrizione, carceraria o domiciliare, ai fini della valutazione dell’impedimento», ha osservato che, qualora «tale condizione non emerga dagli atti, non può che farsi carico all’imputato correttamente citato, o al suo difensore, di comunicare la condizione di restrizione sopraggiunta, che abbia effetto impeditivo della libertà di accesso all’udienza». E, a fondamento della indicata conclusione, ha evidenziato, tra l’altro, che, dopo la corretta instaurazione del rapporto processuale, «sarebbe impensabile, sul piano funzionale, gravare l’ufficio che procede di ricerche negli istituti carcerari o presso gli uffici giudiziari in ordi allo stato di restrizione, carceraria o domiciliare, in tutti i casi in cui l’imput libero per il procedimento in corso, non compaia» (vds., per le frasi testualmente trascritte, §§ 11 e 11.1 del Considerato in Diritto).
2.2. Facendo applicazione del principio indicato nel caso di specie, deve escludersi la sussistenza di qualunque nullità concernente la partecipazione dell’imputato al giudizio.
Invero, la sentenza impugnata rappresenta, e non è contestato nel ricorso, che: a) l’imputato, fino all’udienza del 31 gennaio 2023, era stato presente nel processo, e versava in stato di libertà; b) l’udienza del 31 gennaio 2023 era stata fissata esclusivamente per eventuali repliche, e queste non erano intervenute,
nonché per la decisione, effettivamente pronunciata in quella data; c) i verbali di udienza non dànno conto di alcuna comunicazione, nemmeno da parte del difensore, in ordine al sopravvenuto stato di detenzione dell’imputato.
Né può ritenersi che l’imputato fosse nella assoluta impossibilità di fornire comunicazione del proprio stato di detenzione perché: a) l’arresto, secondo quanto indicato nel ricorso, è avvenuto il 14 gennaio 2023, ed è stato convalidato il 16 gennaio 2023, ossia, rispettivamente, diciassette e quindici giorni prima dell’udienza; b) non sono state indicate altre circostanze da cui inferire l’impossibilità per l’imputato di comunicare il suo stato di detenzione; c) al detenuto è espressamente riconosciuta la facoltà di presentare dichiarazioni e richieste scritte all’autorità competente mediante il direttore dell’istituto detenzione, a norma dell’art. 123 cod. proc. pen.
Prive di specificità nonché diverse da quelle consentite in sede di legittimità sono le censure formulate nel secondo motivo, le quali contestano l’affermazione di responsabilità per i reati di cui agli artt. 2, 8 e 10-ter d.lgs. n. 74 del 2000, deducendo, in relazione ai primi due, l’effettività delle prestazioni documentate nelle fatture oggetto delle imputazioni, e, in relazione al terzo, il pagamento delle rate del condono fino al momento del sequestro.
3.1. La sentenza impugnata, anche mediante puntuale sintesi della motivazione della sentenza di primo grado, ha indicato in modo analitico le ragioni poste a fondamento delle sue conclusioni in ordine alla colpevolezza dell’imputato per i reati per i quali ha confermato l’affermazione di responsabilità.
3.1.1. La Corte d’appello ritiene che l’attuale ricorrente NOME COGNOME abbia diretto e gestito un’articolata struttura diretta all’evasione dell’IVA negli anni tra il 2013 ed il 2017.
In particolare, evidenzia che: a) l’attuale ricorrente, quale amministratore di diritto del “RAGIONE_SOCIALE“, poi della società “RAGIONE_SOCIALE“, quindi della “RAGIONE_SOCIALE” si è procurato appalti di servizi, generalmen afferenti alla logistica, e li ha eseguiti, fino a tutto il 2016, mediante subappal affidati a quattro cooperative, da lui amministrate di fatto attraverso prestanome, la “RAGIONE_SOCIALE a mutualità prevalente”, la “RAGIONE_SOCIALE cooperativa”, la “RAGIONE_SOCIALE” e la “RAGIONE_SOCIALE“; b) i contratti di subappalto appena indicati prevedevano corrispettivi in favore delle società cooperative appena sufficienti a consentire il pagamento dei dipendenti e dei fornitori, ma non anche VIVA dovuta in relazione alle fatture emesse per i subappalti, e nemmeno gli oneri previdenziali e assistenziali; c) le società cooperative hanno pagato i salari e gli stipendi ai dipendenti, nonché i fornitori per quanto necessario, mentre hanno sistematicamente omesso di pagare
VIVA correlata alle fatture rilasciate a “RAGIONE_SOCIALE“, poi a “RAGIONE_SOCIALE“, quindi a “RAGIONE_SOCIALE“, nonché i contributi previdenzial ed assistenziali; d) le quattro cooperative si sono succedute tra di loro nell’esecuzione dei subappalti, ognuna cessando l’attività dopo aver ricevuto richieste di pagamenti dall’Amministrazione finanziaria, e trasferendo i suoi dipendenti alla cooperativa che le subentrava; e) “RAGIONE_SOCIALE“, “RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE” e “RAGIONE_SOCIALE“, quindi, hanno potuto detrarre VIVA recata sulle fatture rilasciate in loro favore dalle società cooperative, le quali invece non hanno versato quanto da loro dovuto; f) la “RAGIONE_SOCIALE“, nel 2017, anno in cui non si è più avvalsa dei subappalti, ha omesso di versare VIVA per 547.361,27 euro.
In sintesi, secondo la Corte d’appello, “RAGIONE_SOCIALE“, “RAGIONE_SOCIALE” e “RAGIONE_SOCIALE“, nel periodo tra il 2013 ed il 2016, e co dichiarazioni presentate fino al 2017, hanno potuto praticare prezzi altamente competitivi, e così aggiudicarsi appalti per milioni di euro, in quanto hanno eseguito questi contratti di appalto mediante subappalti affidati alle quattro società cooperative precedentemente indicate, subappalti in relazione ai quali hanno sopportato costi per importi sostanzialmente corrispondenti a quelli che sarebbero stati necessari per retribuire manodopera propria, al netto, però, dei contributi previdenziali ed assistenziali, ed inoltre fruendo di crediti di IVA, utilizzati p compensare (e sostanzialmente “azzerare”) i debiti per VIVA connessa alle fatture emesse alle ditte appaltanti. Con questo meccanismo, l’elevata competitività di “RAGIONE_SOCIALE“, “RAGIONE_SOCIALE” e “RAGIONE_SOCIALE” è stata conseguita in danno dell’Erario, perché questo non ha incassato – di fatto l’IVA dovuta per i corrispettivi degli appalti conseguiti dalle ditte appena indicate, e non ha inoltre ricevuto i versamenti dei contributi previdenziali ed assistenziali relativi ai lavoratori impiegati per eseguire le prestazioni pattuite.
3.1.2. La penale responsabilità dell’attuale ricorrente per i reati di emissione di fatture per operazioni inesistenti e di dichiarazioni fraudolente mediante uso di fatture per operazioni inesistenti, è stata dichiarata in quanto: a) le società cooperative che eseguivano i subappalti erano esistenti solo in apparenza, ma in realtà costituivano dei meri “schermi” formali utilizzati per eludere le obbligazioni tributarie; b) l’attuale ricorrente era “sia” il legale rappresentante delle ditte ch hanno presentato le dichiarazioni mendaci, nonché firmatario di tali dichiarazioni, “sia” l’amministratore di fatto e dominus delle società cooperative emittenti le fatture mendaci, in quanto, in relazione a queste, si occupava degli aspetti contabili, reclutava i dipendenti, che sposta dall’una all’altra, organizzava il lavoro e si curava anche dei provvedimenti disciplinari a carico dei dipendenti.
L’assenza di qualunque autonomia ed alterità, rispetto all’imputato, delle quattro società cooperative – la “RAGIONE_SOCIALE prevalente”, la “RAGIONE_SOCIALE“, la “RAGIONE_SOCIALE” e la “RAGIONE_SOCIALE” – è stata affermata sulla base di numerosi elementi di prova, documentali e testimoniali.
Si segnala, in particolare, che: a) nelle amali del 17 luglio 2013 e dell’i settembre 2013, intercorse tra NOME COGNOME, dipendente della “RAGIONE_SOCIALE“, e l’attuale ricorrente, risulta che quest’ultimo si occupava direttamente della gestione del personale della “RAGIONE_SOCIALE a RAGIONE_SOCIALE prevalente”; b) dalle amali tra lo studio incaricato della gestione della contabilità della “RAGIONE_SOCIALE“, e NOME COGNOME, dipendente del “RAGIONE_SOCIALE“, risulta che un dipendente di questo consorzio curava la redazione dei documenti contabili della cooperativa; c) dalla amali del 13 giugno 2013, risulta che la “RAGIONE_SOCIALE” trasmetteva all’attuale ricorrente il prospetto delle ferie dei lavoratori, e, quindi, gli rimetteva la diretta gestione della sua forza lavoro; d) dalle dichiarazioni di NOME COGNOME, dipendente del “RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE“, poi di “RAGIONE_SOCIALE“, quindi di “RAGIONE_SOCIALE“, emerge la continua sostituzione tra le cooperative, nonché una generale confusione e commistione nella gestione di tutte le società, confermata anche da una mali in cui la medesima dichiarante riferiva ad una collega di essersi occupata dei rinnovi del personale di “RAGIONE_SOCIALE“; e) dalle dichiarazioni di NOME COGNOME, dipendente del “RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE“, poi di “RAGIONE_SOCIALE“, quindi di “RAGIONE_SOCIALE“, risulta che le cooperative non avevano né una sede, né personale che si occupava della loro gestione, essendo questa interamente demandata al “Consorzio” e poi alle società successivamente subentrate, e che per i pagamenti degli stipendi occorreva sempre interfacciarsi con l’attuale ricorrente; f) dalle dichiarazioni dei testi NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME i quali hanno affermato di essere stati assunti dalle società cooperative, ma previo colloquio con l’imputato, di essere stati informati dal medesimo dei possibili passaggi da una cooperativa all’altra, e di aver continuato ad avere come punto di riferimento l’imputato anche dopo il licenziamento da una cooperativa e la riassunzione presso l’altra. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Si rimarca, poi, che la denuncia presentata dall’attuale ricorrente nei confronti dell’amministratore di diritto della “RAGIONE_SOCIALE” per aver sottratto 135.000,00 euro dalle casse sociali evidenzia come all’imputato fossero note vicende conoscibili solo mediante l’accesso al conto corrente di tale cooperativa, e come lo stesso, inoltre, avesse specifico interesse all’attività di questa cooperativa, pur essendo alla stessa formalmente estraneo, tanto da presentare denuncia per ‘ 7’ fatti interni a quest’ultima.
Si rappresenta, quindi, che: 1) l’attuale ricorrente aveva provveduto alla creazione ed alla messa in liquidazione di tutte e quattro le cooperative; 2) gli importi indicati nelle fatture emesse dalle cooperative, sebbene formalmente riferiti ai kg. di merce lavorata, si basavano, come emergeva da documentazione extracontabile acquisita, sul monte ore delle prestazioni svolte dai lavoratori; 3) i conti correnti delle cooperative disponevano di somme appena sufficienti a pagare i dipendenti; 4) più volte la “RAGIONE_SOCIALE” aveva effettuato pagamenti ad una cooperativa sebbene la fattura fosse stata emessa da una delle altre; 5) il turnover tra le società cooperative consentiva di eludere i controlli periodici effettuati dal Ministero dello Sviluppo Economico, e si realizzava mediante l’integrale ed automatico trasferimento della forza lavoro, la quale conservava l’identica posizione lavorativa e le medesime condizioni.
Si espone, ancora, che il ruolo dell’imputato nella gestione delle società cooperative non poteva essere posto in dubbio per l’attività svolta dall’Avv. COGNOME perché questi, sebbene in un primo momento fosse stato l’ideatore del sistema, aveva poi acquisito il ruolo di mero consulente dell’imputato, e si era interfacciato solo con questo, come evidenziato da plurime dichiarazioni testimoniali, ma anche da email in cui il professionista richiedeva all’attuale ricorrente la restituzione di somme anticipate a coloro che si erano prestati a svolgere il ruolo di amministratori formali delle società cooperative, e gli rammentava come l’equilibrio economico del Consorzio dipendesse proprio dai rischi penali assunti da questi ultimi.
Si precisa, ulteriormente, che la “RAGIONE_SOCIALE” aveva cessato di avvalersi dei subappalti solo a partire dal periodo marzo-aprile 2017, e, da tale data, si era mantenuta operativa omettendo di versare VIVA dovuta per 547.361,27 euro
3.1.3. La penale responsabilità dell’attuale ricorrente per il reato di omesso versamento dell’IVA è stata affermata perché la “RAGIONE_SOCIALE“, di cui il medesimo era legale rappresentante, ha omesso di versare VIVA dovuta per il 2017 per la somma di 547.361,27 euro.
In particolare, la Corte d’appello rappresenta che la “RAGIONE_SOCIALE” aveva indicato in dichiarazione IVA un debito per l’anno 2017 pari a 656.478,00 euro, aveva omesso di pagare fino alla notifica dell’avviso di accertamento, aveva poi rateizzato il debito ed aveva quindi effettuato, tra il 19 dicembre 2017 ed il 29 febbraio 2019, dodici versamenti per complessivi 109.096,72 euro. Osserva, inoltre, che è irrilevante il collegamento tra l’avvenuta cessazione dei pagamenti rateali nel 2019 ed il sequestro penale dei conti aziendali, poiché il debito fiscale avrebbe potuto essere puntualmente soddisfatto mediante gli opportuni accantonamenti, ed anzi l’omissione dei versamenti dovuti evidenzia una indebita scelta della società di autofinanziarsi non pagando VIVA.
3.2. Le conclusioni della sentenza impugnata sono immuni da vizi.
Per quanto concerne la ricostruzione dei fatti sussunti nelle figure delittuose di cui agli artt. 2 e 8 d.lgs. n. 74 del 2000, la sentenza impugnata è correttamente motivata, perché evidenzia, sulla base di precisi, plurimi e convergenti elementi di fatto, apprezzati sulla base di accettabili massime di esperienza, come le società cooperative siano state meri schermi formali, utilizzati e gestiti dall’attuale ricorrente, per evadere le obbligazioni tributarie e previdenziali e tenere formalmente indenni le società dal medesimo (anche) formalmente amministrate, al fine di consentire a queste ultime di praticare prezzi tanto vantaggiosi da consentire l’acquisizione di appalti per milioni di euro. E le censure contenute nel ricorso, tutte dirette a contestare l’affermazione della effettiva inesistenza delle società cooperative, si confrontano in modo del tutto parziale con gli elementi indicati dai Giudici di merito e segnalano circostanze le quali, lungi dall’evidenziare vizi logici, costituiscono meri spunti per una ipotetica rivalutazione del materiale istruttorio, operazione non consentita in sede di legittimità.
Una volta accertato che le società cooperative erano meri schermi formali, privi di effettiva esistenza, è conseguenziale ritenere che le fatture da esse emesse, ed utilizzate nelle dichiarazioni delle ditte di cui l’attuale ricorrente era i legale rappresentante, erano fatture per operazioni inesistenti: le operazioni indicate in tali fatture, infatti, siccome dichiaratamente attribuite ad ent costituenti meri schermi formali, sono da ritenere riferite «a soggetti diversi da quelli effettivi», così come precisa l’art. 1, comma 1, lett. a), d.lgs. n. 74 del 2000, nel definire la nozione di «fatture o altri documenti per operazioni inesistenti».
Per quanto attiene alla configurabilità del reato di cui all’art. 10-ter d.lgs. n. 74 del 2000, la sentenza è correttamente motivata perché evidenzia che nessuna impossibilità ad adempiere è stata allegata con riguardo all’inadempimento fino al giorno in cui si è consumato il reato.
Ed infatti, nel ricorso si segnala solo la difficoltà relativa al pagamento delle rate a partire dal marzo 2019, a causa dell’intervenuto sequestro dei conti aziendali. Ora, deve osservarsi che l’allegata impossibilità di pagamento, siccome riferita al sequestro, applicato nel 2019, si è verificata solo dopo la consumazione del reato. Tale rilievo è risolutivo, perché la rateizzazione, richiesta solo dopo la notifica della cartella esattoriale relativa all’imposta evasa, non esclude la configurabilità del reato, ma può al più rilevare come causa di non punibilità, e sempre che il debito sia stato estinto prima della dichiarazione di apertura del dibattimento. Si può inoltre aggiungere che non è stata data nemmeno allegazione di una richiesta al giudice penale di disporre il dissequestro parziale delle somme finalizzato al pagamento delle rate in scadenza.
(
Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché – ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità – al versamento a favore della cassa delle ammende, della somma di euro tremila, così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso il 20/11/2024.