Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 12619 Anno 2019
Penale Sent. Sez. 1 Num. 12619 Anno 2019
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 24/01/2019
SENTENZA
Sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato 1’01/08/1987;
Avverso la sentenza emessa il 14/12/2017 dalla Corte di appello di Palermo;
Sentita la relazione fatta dal Consigliere dott. NOME COGNOME
Sentito il Procuratore generale, nella persona di NOME COGNOME che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso;
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza emessa il 13/02/2017 il G.U.P. del Tribunale di Trapani, procedendo con rito abbreviato, giudicava NOME COGNOME in concorso con un altro soggetto per il quale si procedeva separatamente, colpevole del delitto di cui agli artt. 110 cod. pen., 12, commi 3, lett. a), b), 3-bis, d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286, commesso in territorio libico, nelle acque internazionali e a Trapani 1’08/10/2016, condannandolo alla pena di 5 anni di reclusione e 3.000,00 euro di multa.
L’imputato, inoltre, veniva condannato alle pene accessorie di legge e al pagamento delle spese processuali e di mantenimento durante la custodia in carcere.
Con sentenza emessa il 14/12/2017 la Corte di appello di Palermo, pronunciandosi sull’impugnazione proposta da NOME COGNOME confermava la decisione impugnata e condannava l’appellante al pagamento delle ulteriori spese processuali.
Da entrambe le sentenze di merito, pienamente convergenti, emergeva che 1’08/10/2016, l’imputato, agendo in concorso con NOME COGNOME compiva atti diretti a procurare l’ingresso nel territorio italiano di 140 citta extracomunitari, trasportandoli a bordo di un gommone partito dalle coste libiche e guidato dal ricorrente, che veniva coadiuvato nelle attività di conduzione del natante dal predetto COGNOME, che si occupava di monitorare la rotta marittima seguita dall’imbarcazione.
Tale attività delittuosa veniva disvelata grazie alle operazioni di salvataggio marittimo dei cittadini extracomunitari che si trovavano a bordo del gommone condotto da COGNOME, effettuate dalla nave militare tedesca “Mecklenburg Vorpomnnern”. Concluse le operazioni di salvataggio, i 140 immigrati clandestini venivano trasferiti a bordo della motonave della Guardia di Finanza “NOME COGNOME“, che, alle ore 9 dell’08/01/2016, li faceva sbarcare presso il Porto di Trapani.
In questo contesto processuale, presupposta la competenza territoriale del G.U.P. del Tribunale di Trapani, che procedeva con le forme del rito abbreviato, per effetto della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti del mare, sottoscritta a Montego Bay il 12 dicembre 1982, ratificata dalla legge 2 dicembre 1994, n. 689, le sentenze di merito evidenziavano che, sulla scorta delle verifiche investigative condotte nell’immediatezza dello sbarco dei migranti, eseguito a Trapani dalla motonave della Guardia di Finanza, sopra citata, NOME COGNOME e
NOME COGNOME venivano individuati quali scafisti dell’equipaggio che aveva consentito il trasporto degli immigrati clandestini dalle coste libiche alle acque territoriali contigue al territorio italiano, a bordo del gommone condotto dal ricorrente, con le modalità di cui si è detto.
L’imputato NOME COGNOME in particolare, veniva riconosciuto dai migranti NOME COGNOME, NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME i quali, sentiti quali indagati di reato connesso, dopo avere reso dichiarazioni finalizzate a ricostruire le operazioni di trasporto marittimo che li riguardavano, eseguivano un’attività di riconoscimento fotografico, identificando il ricorrente nel soggetto effigiato nella fotografia di cui al n. 330 del fascicolo sottoposto alla loro vision dalla polizia giudiziaria.
Il riconoscimento fotografico di COGNOME quale scafista dell’operazione di trasporto marittimo oggetto di vaglio, veniva ulteriormente confermato nel corso dell’incidente probatorio al quale venivano sottoposti i migranti NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME; non si poteva, invece, esaminare con tali modalità rituali il migrante NOME COGNOME essendosi nel frattempo resosi irreperibile.
Sulla scorta di tale ricostruzione degli accadimenti criminosi, l’imputato veniva condannato alle pene di cui in premessa.
Avvero la sentenza di appello NOME COGNOME a mezzo dell’avv. NOME COGNOME ricorreva per cassazione, deducendo quattro motivi di ricorso.
Con il primo motivo si deduceva la violazione di legge della sentenza impugnata, conseguente all’incompetenza territoriale del G.U.P. del Tribunale di Trapani, che aveva proceduto nei confronti dell’imputato con le forme del rito abbreviato. Tale incompetenza discendeva dal fatto che il delitto contestato a Chidokwe, ai sensi degli artt. 110 cod. pen., 12, commi 3, lett. a), b), 3 -bis, d.lgs. n. 286 del 1998, era stato commesso oltre il limite delle acque territoriali nazionali, in relazione al quale si imponeva l’applicazione dell’art. 86 della Convenzione delle Nazioni Unite di Montego Bay, che stabilisce tale limite nella misura di 12 miglia dalle coste nazionali.
Con il secondo motivo si deducevano violazione di legge e vizio di motivazione del provvedimento impugnato, in riferimento all’art. 54 cod. pen., conseguenti al fatto che la decisione in esame risultava sprovvista di un percorso argomentativo che desse esaustivamente conto delle ragioni che non consentivano l’applicazione al caso in esame dell’esimente dello stato di necessità, invocata nei giudizi di merito dalla difesa di COGNOME. L’applicazione di tale esimente si imponeva alla luce del fatto che l’imputato si era posto alla guida del gommone, dal quale erano stati prelevati i 140 immigrati clandestini
soccorsi dalla nave tedesca “Mecklenburg Vorpommern” e fatti sbarcare nel Porto di Trapani, non essendovi altri soggetti in grado di condurre il natante, senza essere in alcun modo collegato all’organizzazione criminale transnazionale che aveva pianificato le attività delittuose in contestazione.
Con il terzo motivo si deducevano violazione di legge e vizio di motivazione del provvedimento impugnato, conseguenti al fatto che la decisione in esame risultava sprovvista di un percorso argonnentativo che desse esaustivamente conto degli elementi costitutivi del reato contestato all’imputato ex art. 12, commi 3, lett. a), b), d.lgs. n. 286 del 1998, in relazione ai quali si censurava l’insussistenza del nesso di causalità tra la condotta ascritta a Chidokwe e lo sbarco sul territorio italiano, che si riteneva indispensabile per la configurazione dell’ipotesi delittuosa in contestazione.
Infine, con il quarto motivo, si deducevano violazione di legge e vizio di motivazione del provvedimento impugnato, in riferimento all’art. 62-bis cod. pen., conseguenti al fatto che la decisione in esame risultava sprovvista di un percorso argomentativo che desse esaustivamente conto del trattamento sanzionatorio irrogato a Chidokwe, che veniva censurato per il mancato riconoscimento delle attenuanti generiche, che si imponeva tenuto conto delle circostanze di tempo e di luogo nelle quali la condotta illecita dell’imputato si concretizzava.
Queste ragioni imponevano l’annullamento della sentenza impugnata.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso proposto da NOME COGNOME è inammissibile.
Deve ritenersi inammissibile il primo motivo di ricorso, con cui si deduceva la violazione di legge della sentenza impugnata, conseguente all’incompetenza territoriale del G.U.P. del Tribunale di Trapani che aveva proceduto nei confronti di NOME COGNOME essendo stato commesso il reato ascritto all’imputato, oltre il limite delle acque territoriali italiane, stabilito miglia dalle coste nazionali dall’art. 86 della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti del mare, sottoscritta a Montego Bay il 12 dicembre 1982, ratificata dalla legge 2 dicembre 1994, n. 689. Com’è noto, tale Convenzione, nota anche come UNCLOS che è l’acronimo della sua denominazione in lingua inglese ovvero United Nations Convention on the Law of the Sea – è un trattato internazionale che definisce i diritti e le responsabilità degli Stati nell’utilizzo dei mari e d oceani, nello sfruttamento delle risorse marittime e nella gestione dei rapporti interstatuali.
Osserva, in proposito, il Collegio che, per inquadrare giuridicamente la concatenazione degli atti integranti la condotta delittuosa contesta a NOME COGNOME, ai sensi degli artt. 110 cod. pen., 12, commi 3, lett. a), b), 3-bis, d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286, è necessario considerare che nella gestione di tali traffici internazionali di persone – di cui lo sbarco sul territorio di uno Sta europeo costituisce la fase terminale di una più complessa attività delittuosa accuratamente pianificata risultano generalmente coinvolti natanti provenienti dai Paesi dell’area africana settentrionale, i quali, mentre attraversano le acque extraterritoriali del Mar Mediterraneo, vengono affiancate da imbarcazioni più piccole, senza bandiera, cui viene rimessa, nella programmazione complessiva, la realizzazione dell’obiettivo illecito, non prima che venga operato il trasbordo dei migranti e che venga lanciata la richiesta di soccorso marittimo, giustificata dall’inadeguatezza del mezzo nautico e dalle condizioni del mare.
Può anche verificarsi l’ipotesi, assimilabile a quella in esame, che le operazioni di trasporto marittimo dei migranti abbiano luogo a bordo di natanti di modeste dimensioni, che percorrono le medesime rotte che collegano il territorio dell’Africa settentrionale a quello italiano, sopra indicate, che sono condotti da soggetti direttamente collegati alle organizzazioni criminali transnazionali che si occupano della pianificazione dei traffici internazionali di persone che si stanno considerando. Anche in questo caso, i soggetti preposti alla guida dell’imbarcazione, dopo l’allontanamento del natante dalle coste nordafricane, lanciano una richiesta di soccorso marittimo, giustificata dall’estrema perigliosità della navigazione.
Tale modus operandi, come detto coordinato da organizzazioni transnazionali attive sul territorio di più Stati, non può che apparire come il frutto di un’accurata programmazione criminosa, volta a preservare il natante utilizzato e il suo equipaggio – nel nostro caso rappresentato da NOME COGNOME e NOME COGNOME – da possibili attività di captazione investigativa da parte delle forze dell’ordine dei Paesi europei, tenendolo al riparo dall’esercizio della giurisdizione negli Stati di approdo; condizioni, queste, che determinano un aumento esponenziale del rischio fatto correre agli immigrati clandestini di volta in volta trasportati.
In questo stratificato contesto organizzativo, l’ultimo tratto dell’attività trasporto marittimo rappresenta un passaggio essenziale e pianificato di una concatenazione articolata di condotte che non può essere interrotta o spezzata nella sua continuità, per la semplice ragione che l’intervento di soccorso in mare non è un fatto imprevedibile, che possa interrompere la serialità causale, ma una circostanza non solo prevista dall’organizzazione transnazionale ma voluta e addirittura provocata. In buona sostanza, come anche gli ultimi accadimenti
hanno consentito di accertare senza tema di smentita processuale, l’azione di abbandono in acque extraterritoriali dei migranti è destinata proprio a produrre una situazione di necessità, finalizzata a stimolare le operazioni di salvataggio marittimo – poste in essere da navi appartenenti alle marinerie nazionali ovvero alle organizzazioni non governative (ONG) presenti sulle acque extraterritoriali che consentono l’approdo sul territorio italiano degli immigrati clandestini e il raggiungimento degli obiettivi illeciti perseguiti dalle consorterie transnazionali di riferimento.
Ne discende che le operazioni di salvataggio marittimo dei migranti non possono essere considerate isolatamente rispetto alla condotta illecita pregressa, che volutamente determina lo stato di necessità, proprio perché si tratta di una condizione di pericolo causata volontariamente dagli organizzatori del traffico internazionale di persone di cui si discute, che si collega alla scelta di abbandonare in mare uomini in attesa dei soccorsi, imposti dalla Convenzione delle Nazioni Unite di Montego Bay, nella ragionevole speranza che siano condotti sulle coste europee sotto la protezione dell’intervento soccorritore.
Tali conclusioni discendono dall’obbligo di prestare soccorso espressamente previsto dall’art. 98, par. 1, della Convenzione delle Nazioni Unite di Montego Bay, che prevede: «Ogni Stato deve esigere che il comandante di una nave che batte la sua bandiera, nella misura in cui gli sia possibile adempiere senza mettere a repentaglio la nave, l’equipaggio o i passeggeri: a) presti soccorso a chiunque sia trovato in mare in condizioni di pericolo; b) proceda quanto più velocemente è possibile al soccorso delle persone in pericolo, se viene a conoscenza del loro bisogno di aiuto, nella misura in cui ci si può ragionevolmente aspettare da lui tale iniziativa; c) presti soccorso, in caso di abbordo, all’altra nave, al suo equipaggio e ai suoi passeggeri e, quando è possibile, comunichi all’altra nave il nome della propria e il porto presso cui essa è immatricolata, e qual è il porto più vicino presso cui farà scalo».
Ne discende che la giurisdizione dello Stato italiano deve essere riconosciuta, laddove in ipotesi di traffico di migranti dalle coste africane a quelle nostrane, questi siano abbandonati in mare in acque extraterritoriali su natanti del tutto inadeguati, allo scopo di provocare l’intervento del soccorso in mare e consentire che i trasportati siano accompagnati nel tratto di acque territoriali dalle navi dei soccorritori, operanti sotto la copertura della scriminate dello stato di necessità. In questi casi, infatti, l’azione di messa in grave pericolo per i migranti, integrante lo stato di necessità, è direttamente riconducibile ai trafficanti che l’hanno provocato e si collega, senza soluzione di continuità, al primo segmento della condotta commessa in acque extraterritoriali, venendo così a ricadere nella previsione dell’art. 6 cod. pen.
Ne deriva ulteriormente che l’azione dei soccorritori, che consente ai migranti di giungere nel nostro territorio, è riconducibile alla figura dell’autor mediato di cui all’art. 48 cod. pen., conseguente allo stato di necessità provocato e strumentalizzato dagli organizzatori dei traffici internazionali di persone, che è sanzionabile nel nostro Stato, ancorché i trafficanti abbiano operato materialmente in un ambito extraterritoriale
Sul punto, è opportuno richiamare la giurisprudenza di questa Corte, secondo cui: «Sussiste la giurisdizione del giudice italiano relativamente al delitto di procurato ingresso illegale nel territorio dello Stato di cittadini ext comunitari nella ipotesi in cui i migranti, provenienti dall’estero a bordo di navi “madre”, siano abbandonati in acque internazionali, su natanti inadeguati a raggiungere le coste italiane, allo scopo di provocare l’intervento dei soccorritori che li condurranno in territorio italiano, poiché la condotta di questi ultimi, che operano sotto la copertura della scriminante dello stato di necessità, è riconducibile alla figura dell’autore mediato di cui all’art. 48 cod. pen., in quanto conseguente allo stato di pericolo volutamente provocato dai trafficanti, e si lega senza soluzione di continuità alle azioni poste in essere in ambito extraterritoriale» (Sez. 1, n. 20503 dell’08/04/2015, Iben COGNOME, Rv. 263670; si veda, in senso sostanzialmente conforme, anche Sez. 1, n. 18354 dell’11/03/2014, Hamada, Rv. 262543).
Queste ragioni impongono di ribadire l’inammissibilità del primo motivo di ricorso.
Deve ritenersi inammissibile il secondo motivo di ricorso, con cui si deducevano violazione di legge e vizio di motivazione del provvedimento impugnato, in riferimento all’art. 54 cod. pen., conseguenti al fatto che la decisione in esame risultava sprovvista di un percorso argomentativo che desse esaustivamente conto delle ragioni che non consentivano l’applicazione al caso in esame dello stato di necessità, invocato nei giudizi di merito in favore di NOME COGNOME
Secondo la difesa del ricorrente, l’applicazione di tale esimente si imponeva alla luce del fatto che COGNOME si era posto alla guida del gommone su cui i migranti erano stati trasportati esclusivamente per consentirne il trasporto marittimo, altrimenti non realizzabile, senza essere in alcun modo collegato alla consorteria transnazionale che gestiva il traffico internazionale di persone che si sta considerando.
Osserva il Collegio che l’assunto sul quale la difesa del ricorrente fonda la doglianza in esame risulta smentito dalle emergenze probatorie, dovendosi evidenziare, conformemente a quanto affermato dalla Corte di appello di
Palermo, che sulla base delle dichiarazioni rese dagli immigrati clandestini sbarcati presso il Porto di Trapani – NOME COGNOME, NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME – si riuscivano a ricostruire il modus operandi dell’organizzazione criminale transnazionale che aveva pianificato il trasporto marittimo dei 140 migranti e il ruolo svolto in tale contesto da NOME COGNOME e NOME COGNOME Infatti, grazie alle dichiarazioni di tali migranti, si accertava ch COGNOME e COGNOME venivano incaricati dagli esponenti dell’organizzazione criminale transnazionale che avevano accompagnato gli immigrati clandestini alla partenza dalle coste libiche di guidare la navigazione, effettuata a bordo del gommone che, nelle prime ore dell’08/01/2016, veniva soccorso nelle acque extraterritoriali dalla nave militare tedesca “Mecklenburg Vorpommern”.
Occorre, dunque, ribadire che gli accertamenti investigativi eseguiti nell’immediatezza dello sbarco consentivano di acclarare che COGNOME e COGNOME non erano semplici passeggeri del natante a bordo del quale venivano trasportati i migranti, avendo assunto in tale contesto il ruolo di capitano il primo e di assistente di rotta il secondo. Ne consegue che la prospettazione difensiva secondo cui i due scafisti sarebbero stati costretti a collaborare alla traversata a causa delle minacce e delle violenze subite – peraltro richiamate genericamente e senza indicare gli autori di tali forme di coartazione – risulta smentita dalle dichiarazioni rese dai migranti COGNOME, COGNOME NOME e COGNOME, che non consentono di ritenere sussistenti i presupposti necessari al riconoscimento dello stato di necessità.
In questa cornice, deve rilevarsi che, per configurare l’esimente dello stato di necessità di cui all’art. 54 cod. pen., le evidenze processuali avrebbero dovuto fare emergere che COGNOME aveva agito in uno stato di insuperabile costrizione, fisica o morale, sul quale l’imputato aveva un onere di allegazione al quale non adempiva. Non può, in proposito, non ribadirsi che il ruolo svolto dal ricorrente nelle operazioni di trasporto marittimo dei migranti e la sua consapevolezza che tali attività si inserivano in un più vasto contesto illecito, imponevano di escludere la sussistenza di uno stato di condizionamento psicologico insuperabile, conformemente alla giurisprudenza consolidata di questa Corte, secondo cui: «In tema di stato di necessità (art. 54 cod. pen.), l’imputato ha un onere di allegazione avente per oggetto tutti gli estremi della causa di esenzione, sì che egli deve allegare di avere agito per insuperabile stato di costrizione, avendo subito la minaccia di un male imminente non altrimenti evitabile, e di non avere potuto sottrarsi, nemmeno putativamente, al pericolo minacciato, con la conseguenza che il difetto di tale allegazione esclude l’operatività dell’esimente» (Sez. 5, n. 8855 del 30/01/2004, COGNOME, Rv. 228755; si veda, in
senso sostanzialmente conforme, anche Sez. 6, n. 45065 del 02/07/2014, COGNOME, Rv. 260839).
Si aggiunga che le dichiarazioni rese dai suddetti migranti – oltre a venire confermate, con la sola eccezione di NOME COGNOME resosi irreperibile, nell’incidente probatorio di cui si è detto – venivano corroborate da un’individuazione fotografica, effettuata nei confronti di COGNOME contestualmente al loro esame, suggellando l’attendibilità del loro resoconto dichiarativo.
Osserva il Collegio che su tale profilo corroborativo del compendio probatorio la motivazione del provvedimento impugnato appare congrua e conforme alle emergenze processuali, dovendosi evidenziare che l’individuazione fotografica effettuata dinanzi alla polizia giudiziaria costituisce uno strumento probatorio la cui utilizzabilità discende dalla sua natura di prova atipica, che, nell’ipotesi in cui si procede con le forme del rito abbreviato, non deve essere recepita in una testimonianza che ne confermi il riconoscimento (Sez. 5, n. 6456 dell’01/10/2015, dep. 2016, Rv., 266023; Sez. 2, n. 5043 del 15/01/2004, COGNOME, Rv. 227511).
3.1. Non è, al contempo, possibile dubitare della riconducibilità delle operazioni di trasporto marittimo in questione a un più ampio progetto criminoso, atteso che, come evidenziato nella sentenza impugnata, tale pianificazione, che esclude l’estemporaneità della condotta illecita di COGNOME, risulta dimostrata dalle dichiarazioni dei migranti esaminati nell’immediatezza dei fatti, dalle quali si evinceva l’esistenza di una programmazione degli spostamenti, che aveva consentito la raccolta e il successivo trasporto marittimo dalle coste libiche a quelle italiane degli immigrati, in termini incompatibili con l’applicazione dell’esimente di cui all’art. 54 cod. pen.
Sulla scorta di tali elementi probatori, la Corte di appello di Palermo riteneva dimostrato il coinvolgimento dell’imputato nelle attività di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina che gli venivano contestate, essendo incontroverso il suo collegamento con l’organizzazione criminale transnazionale – operante secondo il modello normativo prefigurato dall’art. 3 della Convenzione delle Nazioni Unite contro il Crimine organizzato transnazionale sottoscritta a Palermo il 15 dicembre 2000, ratificata dalla legge 16 marzo 2006, n. 146 – che aveva pianificato le operazioni di trasporto marittimo dei migranti. Ne consegue che la prospettazione difensiva risulta smentita dalle evidenze processuali, dalle quali emergeva che COGNOME forniva un contributo, specifico e preordinato, alla concretizzazione delle attività di accompagnamento dei 140 immigrati clandestini sbarcati presso il Porto di Trapani, il cui elevato numero appare ulteriormente indicativo di un’accurata progettazione criminosa.
Sul punto, non si possono non condividere le conclusioni alle quali giungev la Corte di appello di Palermo, che, in ordine all’insussistenza dell’esimente stato di necessità, nel passaggio motivazionale esplicitato a pagina 5, afferm che «non essendo quindi ravvisabile lo stato di necessità invocato dalla Difes fatti contestati La rilevanza quantitativa di migranti trasportati, che almeno trecento, appare circostanza compatibile sul piano logico vann ricostruiti nei termini riferiti dai migranti sentiti in qualità di indagat connesso ed integrano certamente la tipicità del delitto di cui all’art. 12 co d.lgs. n. 286/1998 ».
3.2. Queste ragioni impongono di ritenere inammissibile il secondo motivo di ricorso.
GLYPH Dall’inammissibilità GLYPH del GLYPH secondo GLYPH motivo GLYPH di GLYPH ricorso GLYPH discende l’inammissibilità del terzo motivo, con cui si deducevano violazione di legg vizio di motivazione del provvedimento impugnato, conseguenti al fatto che la decisione in esame risultava sprovvista di un percorso argonnentativo che dess esaustivamente conto degli elementi costitutivi dell’ipotesi delittuosa ascr NOME COGNOME ex art. 12, commi 3, lett. a), b), d.lgs. h. 286 del 1998 relazione ai quali si censurava l’insussistenza del nesso di causalità condotta ascritta a Chidokwe e lo sbarco dei migranti presso il Porto di Trapa che si riteneva indispensabile per la configurazione dell’ipotesi delittu contestazione.
Deve, in proposito, ribadirsi che COGNOME nell’assumersi la responsabili della conduzione del viaggio nel contesto organizzativo di cui si è detto paragrafo 3.1, cui si rinvia, si attivava al fine di consentire il viaggio ma dei 140 immigrati clandestini sbarcati presso il Porto di Trapani, impegnandos consentire all’organizzazione criminale transnazionale alla quale era collegat trasporto dei migranti dalle coste libiche a quelle italiane.
Né è dubitabile alla stregua delle verifiche condotte nell’immediatezza d fatti e delle dichiarazioni dei migranti escussi – NOME COGNOME, NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME – che l’imputato, nei termini gi vagliati nel paragrafo 3, si occupava della conduzione dell’imbarcazione a bor della quale venivano trasportati gli immigrati clandestini fin dalla loro par dalle coste libiche, venendo coadiuvato nello svolgimento di tali attivit NOME COGNOME che si occupava di monitorare la rotta marittima seguita d natante.
Queste ragioni, in linea con quanto già esposto nei paragrafi 3 e 3 impongono di ritenere inammissibile il terzo motivo di ricorso.
5. Infine, deve ritenersi inammissibile il quarto motivo di ricorso, con c deducevano violazione di legge e vizio di motivazione del provvedimento impugnato, in riferimento all’art. 62-bis cod. pen., conseguenti al fatto decisione in esame risultava sprovvista di un percorso argomentativo che dess esaustivamente conto del trattamento sanzionatorio irrogato a NOME COGNOME censurato per il mancato riconoscimento delle attenuanti generiche, che imponeva tenuto conto delle circostanze di tempo e di luogo nelle quali condotta illecita dell’imputato si concretizzava.
Osserva, in proposito, il Collegio che, nel caso di specie, il trattam sanzionatorio irrogato a Chidokwe risulta suffragato dalla ricostruzione compiut dalla Corte di appello di Palermo, che si soffermava correttamente sul connotazioni, oggettive e soggettive, del reato ascrittogli, ai sensi degli ar cod. pen., 12, commi 3, lett. a), b), 3-bis, d.lgs. n. 286 del 1998, escludendo, sulla base di un giudizio dosimetrico ineccepibile, che fosse possibile atten sotto i profili invocati dalla difesa – tenuto conto della gravità della c illecita e del contesto ambientale nel quale si sviluppava – la pena appl all’imputato.
Ne discende che, tenuto conto dell’elevato disvalore dei fatti delitt ascritti al ricorrente, nelle sentenze di merito, veniva formulato un giu dosimetrico conforme ai parametri previsti dall’art. 133 cod. pen., nel valuta quale non si può non ribadire che – al contrario di quanto dedotto dalla dife COGNOME con la doglianza in esame – il trattamento sanzionatorio risul congruo rispetto alla gravità del suo comportamento criminoso, in relazione quale non era desumibile alcun atteggiamento resipiscente o collaborativo. Su punto, appaiono pienamente condivisibili le conclusioni alle quali giungeva Corte di appello di Palermo, che, nel passaggio argomentativo esplicitato pagina 8 della sentenza impugnata, evidenziava che il mancato riconoscimento delle attenuanti generiche, discendeva dal fatto che l’imputato e il suo comp «prestandosi a realizzare una traversata in mare gestita da organizzazi criminali di carattere transnazionale hanno dimostrato di essere sogge particolarmente pericolosi non meritevoli di tale trattamento di favore».
Si consideri, infine, con specifico riferimento alla posizione di NOME COGNOME, che le attenuanti generiche di cui all’art. 62-bis cod. pen. rispondono alla funzione di adeguare la pena al caso concreto nella globalità degli elem oggettivi e soggettivi che la connotano, sul presupposto del riconoscimento situazioni fattuali concretamente riscontrate. La necessità di un giudizio coinvolga tale posizione nel suo complesso – e che impediva la concessione COGNOME delle attenuanti generiche sulla scorta delle argomentazioni che s sono richiamate – è sintetizzata dal principio di diritto affermato da questa C
secondo cui: «Le attenuanti generiche non possono essere intese come oggetto di benevola e discrezionale “concessione” del giudice, ma come il riconoscimento di situazioni non contemplate specificamente, non comprese cioè tra le circostanze da valutare ai sensi dell’art. 133 cod. pen., che presentano tuttavia connotazioni tanto rilevanti e speciali da esigere una più incisiva, particolare, considerazione ai fini della quantificazione della pena» (Sez. 6, n. 2642 del 14/01/1999, COGNOME, Rv. 212804; si veda, in senso sostanzialmente conforme, anche Sez. 2, n. 30228 del 05/06/2014, COGNOME, Rv. 260054).
Queste ragioni impongono di ribadire l’inammissibilità del quinto motivo di ricorso.
Per queste ragioni, il ricorso proposto da NOME COGNOME deve essere dichiarato inammissibile, con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, non ricorrendo ipotesi di esonero, al versamento di una somma alla cassa delle ammende, determinabile in tremila euro, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso il 24/01/2019.